L’ARTE ANTICA CI PUÒ AIUTARE A CAPIRE LA REALTÀ ATTUALE
La presenza ed il ruolo delle immagini della croce e del crocifisso nell’Europa occidentale / 1

Come sostenuto in un precedente articolo, al quale rinviamo, le immagini  trasmesseci dall’arte antica (ovvero la loro interpretazione) possono aiutarci a capire aspetti della realtà contemporanea, delle ideologie che la attraversano. Ci riferiamo in particolare alla mistificazione della realtà operata dai tradizionalisti.

Nel presente articolo esemplificheremo tale assunto analizzando la presenza ed il ruolo delle immagini della croce e del crocifisso nell’Europa occidentale ed in particolare in Italia, a partire dal primo secolo a.C. Vogliamo raccontare la genesi di tali immagini e le incredibili metamorfosi che hanno subito nel corso dei secoli, a cui hanno corrisposto altrettanti cambiamenti radicali nell’approccio al sacro di coloro che le veneravano.

Si tratta di un Tema vastissimo che ha coinvolto tante popolazioni diverse in più di un millennio: perciò, più che conclusioni, proporremo delle tracce di riflessione. Faremo riferimento, a sostegno delle nostre interpretazioni, soprattutto al teologo Juan Maria Laboa, autore di “Momenti cruciali di storia della Chiesa” ed. Jaca Book. Laboa è stato preside della facoltà di teologia dell’Università Pontificia di Madrid ed è uno dei più acuti ed intelligenti interpreti di un Tradizionalismo moderno, meno superficiale del precedente, e del pensiero del teologo Ratzinger, di cui cerca di difendere e riproporre l’”ermeneutica della continuità”, cuore centrale della filosofia di Ratzinger (QUI, QUI e QUI gli articoli che ne definiscono i limiti, pubblicati su questo blog). 

Due premesse sono necessarie per capire l’importanza delle immagini e il loro ruolo nel determinare una altrettanto conforme religiosità tra i fedeli.

Prima premessa: l’immagine – dipinta o scolpita – nasce e mantiene nei secoli una forte valenza “magica”. Fin dalle prime pitture parietali nelle caverne le immagini sono state viste come dotate di proprietà vitali e, a seconda del soggetto rappresentato, sono state identificate come depositarie delle caratteristiche più significative di esso, in grado di percepire la realtà circostante e di modificarla attraverso doti taumaturgiche, salvifiche, rigeneratrici, miracolistiche. Insomma, le immagini erano considerate “vive” ed in grado di compiere prodigi1.

Seconda premessa: l’immagine, soprattutto nel medioevo e almeno fino al 1700, ha avuto, come funzione principale, anche se non esclusiva, quella di educare ed istruire il fruitore. “Le immagini dipinte e scolpite sono per gli analfabeti quello che la scrittura rappresenta per coloro che sanno leggere” sosteneva nel 600 il papa Gregorio Magno, ma già prima di lui – a partire dalla metà del IV secolo – teologi e pensatori cristiani avevano capito perfettamente il ruolo di trasmissione della pedagogia ecclesiastica che potevano svolgere le immagini. La pittura e la scultura diventano visualizzazione di concetti religiosi, anche molto complessi, ed accanto ad ogni artista/artigiano vi sarà sempre presente il clero a consigliare e correggere. 

L’arte è servita a plasmare un certo tipo di religiosità, sempre diversa nel corso delle epoche storiche, perché, come sintetizzò un illuminista, Louis de Jaucourt, “in ogni tempo coloro che hanno governato i popoli hanno sempre fatto uso dei dipinti e delle immagini per meglio ispirare loro i sentimenti che desideravano infondere”.

Una iniziale ostilità nei confronti delle immagini (dipinte o scolpite) da parte delle prime comunità cristiane è stata generata dall’interpretazione letterale del secondo comandamento Non ti fare scultura alcuna immagine… non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servire loro (Esodo 20:4-6). Ancora alla fine del 300, Epifanio di Salamina, santo vescovo Padre della Chiesa, contestava caparbiamente chi riteneva il divieto vetero testamentario sulle immagini superato e la venerazione delle immagini dei santi diversa dall’idolatria condannata dalla Bibbia.

Le più antiche raffigurazioni che ci sono giunte vogliono esprimere le verità cristiane in modo simbolico attraverso il pesce, l’ancora, la nave, l’agnello, la lira musicale, il pescatore, il Chi-Ro (X e P intrecciati); il dato importante è che comunque i fedeli di Cristo rinunciano a immagini che esprimono imitazione e somiglianza ma le utilizzino come segni simbolici della trascendenza, come sostiene Clemente Alessandrino (150-215).

Nei primi due secoli il simbolo della croce graffiato nel tufo o tracciato col colore è rarissimo mentre il crocifisso non compare mai perché non era né opportuno né lecito rappresentare la Divinità. Perché la semplice croce non è diventata subito una immagine diffusa, il “logo” caratterizzante l’adesione alla nuova religione?

Gli studiosi forniscono alcune spiegazioni quali una forma di rispetto e di pudore sulla fine così indecorosa del Figlio di Dio, considerando che la croce era lo strumento infamante di morte per schiavi e sediziosi, responsabile della fine più straziante ed indecente per un essere umano. 
Inoltre, al posto della croce, la prudenza di un gruppo religioso soggetto a persecuzioni periodiche consigliava l’uso di immagini meno compromettenti e di difficile interpretazione (basti l’esempio del “pesce” in greco “ichthýs”, acronimo di “Iesus Christos Theou Yos Soter”, cioè Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore).
Infine, anche una comprensibile vergogna personale faceva da freno alla ostensione pubblica della croce, irrisa e denigrata dai pagani.

Per cercare di capire meglio questa forma di reticenza nell’esposizione della croce proviamo a pensare che un nostro bisnonno sia stato condannato alla sedia elettrica come “terrorista” pur essendo non solo innocente, ma anche una persona eccellente in termini di rigore morale, di bontà nei confronti dei poveri e perfino capace di operare straordinarie guarigioni. Ricorderemo e commemoreremo il nome del nostro antenato, ma avremmo una repulsione istintiva verso lo strumento che lo ha ucciso e non ne conserveremo immagini nella nostra casa.

Insomma, i due elementi diffusi oggi in molti contesti, anche mondani, le croci e i crocifissi che siamo appunto abituati a vedere non solo nelle chiese, ma anche su campanili, angoli delle strade, sulle montagne, affrescati sui muri di abitazioni civili, appesi al collo delle persone, ecc.., in Occidente non appaiono immediatamente dopo la morte di Gesù. Per trecento lunghi anni le croci cristiane non vengono rappresentate e per vedere riprodotto un crocefisso bisogna aspettare il V secolo.

(1)Nella sua “Storia dell’Arte” Ernest Gombrich ci ricorda un residuo primitivo – sopravvissuto fino ad oggi nel nostro cervello – di questo modo di intendere l’immagine come se fosse dotata di vita. Fate questo semplice esperimento; prendete in mano la fototessera del volto di una persona a voi cara e poi provate, con un ago da cucire, a bucare lentamente gli occhi del rappresentato. Proverete -pur con tutte le vostre conoscenze sulla computer grafica e sui pixel – la sensazione spiacevole ed irrazionale che ciò che state facendo alla fotografia riguarda anche il soggetto raffigurato.

L’immagine in evidenza è di Recoleta su Unsplash
Le altre immagini sono anch’esse tratte da Unsplash (James e Alberti)

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