I cattolici tradizionalisti /2

Come può Benedetto XVI interpretare la storia della Chiesa, sempre ostile alla libertà religiosa (altrui), che viene negata ripetutamente e per secoli, come può interpretare questa posizione teorica e spesso pratica della sua Chiesa e giudicarla in continuità col diritto ammesso e riconosciuto a partire dal Vaticano II?

È chiaro che in tutti questi settori, (relazione scienza-fede, rapporto chiesa-stato, problema della tolleranza religiosa ndr) che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi – fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione. È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma.” (dal “Discorso di sua santità Benedetto xvi alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizidicembre 2005”).

Benedetto XVI assomiglia ad un provetto sciatore che si destreggia tra i paletti di continuità e discontinuità per poter giungere indenne all’arrivo e dichiarare che l’importante è la continuità nei principi, visto che la discontinuità non riguarda che aspetti provvisori e marginali e non la fede e la morale, le uniche eterne e intoccabili.

In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti – per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole. Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l’aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi essere sottoposte a mutamenti.

Quindi tutti i pronunciamenti che, partendo da Agostino nel IV secolo, giungono fino al papa Pio XII nel 1953 sono aspetti contingenti della pratica della Chiesa cattolica – secondo il papa emerito –  giustificati e comprensibili nel loro contesto storico, ma possono e devono essere mutati quando muta il contesto perché soltanto i principi hanno valore eterno e non possono essere modificati. Questi principi la Chiesa non li ha mai né dimenticati né abbandonati. 

Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare. Così, ad esempio, se la libertà di religione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza.

Insomma, la libertà religiosa, sostenuta da chi conserva dentro di sé un retro pensiero agnostico o relativista, deve essere rifiutata: siccome tutti coloro che, nel passato, l’hanno proposta consideravano ogni religione sullo stesso piano, era giusto opporsi alla loro richiesta, che introduceva nel diritto alla libertà religiosa anche il “veleno metafisico” del relativismo. Lo scarso rigore logico del Papa, in questo passaggio, è tale da fargli sostenere che una proposta, giudicata da lui stesso fondamentale sul piano dei diritti umani (addirittura proveniente dallo stesso Dio perché il diritto naturale alla libertà religiosa, per Benedetto XVI, è diritto divino) deve essere combattuta se chi la presenta ha poi una sua ideologia personale, in cui ogni fede è sullo stesso piano di verità. Ciò porta a concludere, implicitamente, che la tolleranza religiosa può essere avanzata soltanto da chi è cattolico! Pur non riconoscendo valido questo paradosso, proviamo pure ad accettarlo e a chiedere a Benedetto XVI come bisognava comportarsi, quando la libertà religiosa veniva richiesta proprio dai cattolici liberali, già nel 1800, cattolici che non erano relativisti/indifferentisti, ma sostanzialmente ortodossi, e perché i papa dell’epoca si siano opposti alla loro richiesta. Inoltre, chissà se Benedetto XVI si è ricordato di quei passaggi delle encicliche dei suoi predecessori in cui la condanna della libertà religiosa era totale e senza eccezioni, indipendentemente da chi la richiedeva, fosse relativista, massone, cattolico doc, protestante, ebreo? Chiediamo soprattutto come mai i papi precedenti hanno collegato la questione della libertà religiosa ai dogmi della fede e ad una scelta morale conseguente, che il cristiano deve accettare obbligatoriamente, e non l’hanno invece definita in rapporto a un evento storico-politico, quello dell’incontro fra Chiesa e istituzioni pubbliche, per definizione provvisorio e mai definitivo? Nessuno di questi pontefici ha ridotto il problema ad un aspetto – quasi intimo e segreto – circoscritto al vertice delle relazioni tra un entità astratta come lo Stato, rappresentato dal suo primo ministro, e un’altra altrettanto astratta come la Chiesa cattolica, incarnata nel segretario di stato vaticano. Invece la discontinuità, per Benedetto XVI, resta di ordine esclusivamente politico, ma non teologico e morale. Infatti

“La dottrina del Vaticano II e la “Quanta cura” con il suo “Syllabus errorum” non si contraddicono dunque al livello del diritto naturale, ma al livello della sua applicazione giuridico-politica nelle situazioni e di fronte a dei problemi concreti

sostiene il prof. Martin Rhonheimer, nel documento già citato, riprendendo il pensiero di Benedetto XVI. Come invece scriveva, nel 1974, il vescovo De Castro Mayer, tra i protagonisti qualificati del Vaticano II, commentando la “Dignitatis Humanae”:

In materia di libertà religiosa nell’ordine civile, tre punti capitali, tra gli altri, sono assolutamente chiari nella tradizione cattolica: 1)Nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la Fede; 2)L’errore non ha diritti; 3)Il culto pubblico delle religioni false può eventualmente essere tollerato dai poteri civili, in vista di un bene più grande da ottenere o di un male maggiore da evitarsi, però per se stesso deve essere represso anche con la forza se necessario …Alcuni principi di “Dignitatis Humanae” si oppongono all’insegnamento dei papi precedenti” 

Anche Monsignor Pivaranus, uno dei numerosi tradizionalisti cattolici e acuto portavoce dei papi pre conciliari:

Si potrà dire che l’uomo abbia il “diritto” di liberamente promuovere falsi insegnamenti su questioni di religione nella società e di diffondere promiscuamente tutte le forme di dottrine erronee? Si potrà dire che l’uomo possieda il “diritto” – il potere morale – di insegnare e far proseliti delle dottrine dell’Ateismo, Agnosticismo, Panteismo, Buddismo, Induismo, e Protestantesimo? E cosa, allora, riguardo a coloro che praticano la Stregoneria o il Satanismo? Si consideri questo specialmente riguardo alle nazioni cattoliche dove la religione del Paese è il Cattolicesimo. I governi cattolici sarebbero forse obbligati a garantire il “diritto” nella legislazione civile di propagandare tutte le forme di religione? I governi cattolici sarebbero obbligati a permettere per diritto civile la diffusione di ogni tipo di dottrina tenuta dalle svariate religioni?”.

Insomma, da ogni angolo visuale trova conferma il fatto che nella Tradizione della Chiesa non esiste, come non esisteva nel Sillabo e simili, nemmeno implicito o sottinteso, il cosiddetto “diritto naturale”, voluto da Dio, di tollerare le altrui fedi. Anzi, il diritto a professare la propria fede coincide col “delirio umano” nel consentire ciò.

Giungiamo ora alla parte più interessante, a nostro parere, del discorso di Benedetto XVI, rivolto, a questo punto, a fondare, finalmente con prove concrete, l’aspetto della “continuità” della Chiesa sul tema della libertà religiosa.

“Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento. Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa”.

Benedetto XVI riafferma che, quando la libertà religiosa viene proposta come necessità di convivenza pacifica e non più come indifferentismo religioso, allora essa può essere accolta anche dalla Chiesa. Quindi benissimo hanno fatto i papi del passato –aggiunge Benedetto XVI – nel contrastare la libertà religiosa allora presentata, ma oggi noi possiamo accettarla perché la sua genesi e scopo (pacifica convivenza) ne legittimano l’accoglimento. Non solo, e qua il teologo si espone assai, diventa consentito approvare la libertà religiosa soprattutto perché, in questo modo, ci si collega al “patrimonio profondo della Chiesa”. Ecco la continuità. E dove mai riscontra Benedetto XVI il “patrimonio profondo” che giustificherebbe la continuità tra il Vaticano II e la storia precedente della Chiesa?

Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l’insegnamento di Gesù stesso (cfr Mt 22,21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi….I martiri della Chiesa primitiva sono morti per la loro fede in quel Dio che si era rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sono morti anche per la libertà di coscienza e per la libertà di professione della propria fede – una professione che da nessuno Stato può essere imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio, nella libertà della coscienza.”

Perciò l’insegnamento di Gesù e la Chiesa dei martiri diventano la prova storica/oggettiva che la tolleranza religiosa era presente fin dalla nascita del Cristianesimo, nella Chiesa delle origini, e ad essa si può collegare, in perfetta continuità, la “Dignitatis Humanae”.

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