DIECI ANNI DI PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO
Sul concetto di identità

Continuiamo,  attraverso la lettura del libro di padre Spadaro “L’Atlante di Francesco”, la ricostruzione di alcuni temi che hanno caratterizzato il suo episcopato.

Ha scritto papa Francesco: “…fate conoscere ai cattolici che Dio è al lavoro anche fuori dai confini della Chiesa, in ogni vera civiltà…la cultura viva tende a integrare, a moltiplicare, a condividere, a dialogare, a dare e a ricevere all’interno di un popolo e con gli altri popoli con cui entra in rapporto”. L’identità spirituale a cui indirizza questo Dio si fonda sul meticciato, la contaminazione, l’ibridismo, per usare le metafore dello stesso papa.

L’”identità” secondo il Devoto Oli:” Il complesso dei dati caratteristici e fondamentali che consentono l’individuazione o garantiscono l’autenticità…”.

Da sempre il tradizionalismo cattolico si è arrogato il diritto di rappresentare l’identità del vero cristiano mentre la destra populista ha colto ogni occasione per sventolare l’insegna dell’identità escludente, patrimonio immodificabile e caratteristico, a suo parere, degli elettori del proprio paese.

Sia il tradizionalismo religioso che la politica sovranista fanno riferimento a queste “radici” identitarie, che consentono il perpetuarsi di valori e pratiche di vita ancorate a un passato largamente superato. Confidano di suscitare consenso e contano su due elementi per promuoverlo. In primo luogo, il senso di sicurezza che forniscono la consuetudine e le abitudini: ciò che ci è già noto, pur con molti difetti, non provoca il disorientamento o l’incertezza della novità. Poi, ancora più importante, l’identità può portare alla valorizzazione di aspetti del passato utili e da mantenere, così come venivano conservati i tizzoni ancora ardenti del vecchio focolare domestico.

Questa sacrosanta operazione, (il mantenimento di ciò che è utile), tuttavia, non viene applicata, ma solo sbandierata dai tradizionalisti politici e religiosi per poter occultare la realtà: la difesa di modalità di vita anacronistiche e arretrate. Un esempio è la riproposizione del modello esclusivo della famiglia classica, possibilmente patriarcale, (paragonabile al mucchietto di cenere del solito focolare).   

Possiamo riappropriarci del termine “identità” senza venire meno alla nostra ricerca di sempre maggiore autonomia e di più ampi spazi di libertà? L’identità può non essere una corazza che limita i movimenti di liberazione personale e collettiva e diventare parte integrante di un progetto di cambiamento evolutivo? Quest’ultimo è il senso attribuitole da papa Francesco.

Le nozioni di radici e di identità non hanno, a parere del papa, il medesimo contenuto per il cristiano consapevole e per l’identitario tradizionalista/sovranista. Infatti, l’identità non è fatta solo di contenuti di un passato più o meno remoto: il tempo dell’identità, per Francesco, non è il passato che genera “tentazioni identitarie”, ma è principalmente il futuro, cioè l’identità rivela non solo chi siamo, ma soprattutto che cosa speriamo.

L’identità non è data da chi eri, ma da ciò che speri, commenta padre Spadaro. I piedi ben piantati sulla terra natia, come radici da cui traiamo linfa e sostentamento, devono infatti consentirci di fare dei passi in avanti, devono permetterci di camminare lungo la strada della vita e non di immobilizzarci per sempre in quel rettangolino di terreno, in cui siamo cresciuti e da cui provengono i nostri avi. E il movimento in avanti ci viene permesso dallo stare in piedi, guardando l’orizzonte (il nostro futuro, che fa parte decisiva della nostra identità) e non in ginocchio, immobilizzati e legati alla terra, testa china e sguardo basso, come ci vorrebbero i tradizionalisti, un silenzioso gregge di pecore che bruca.

“La bellezza radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili, di visioni», ha detto Francesco. Così egli vuole ridare a Dio il suo vero potere, che è quello dell’integrazione perché «integrare» significa «inserire le differenze di epoche, nazioni, stili, visioni, nel processo di costruzione». Questa è la base teologica che rende Francesco il papa totalmente lontano dai teorici dello «scontro di civiltà», in cui le identità nazionali esclusive si contrappongono, attraverso la violenza, al resto del mondo.

Riassumendo: l’identità personale o collettiva può essere inclusiva, avere la capacità di interagire ed integrare le differenze purché guardi sempre al futuro della solidarietà universale, del “fratelli tutti”, come ideale da perseguire. E sarà proprio questa speranza, questo obiettivo, a consentirci di separare il grano dalla zizzania, le braci dalla cenere, durante la costruzione della nostra identità, e, fuori di metafora, a scegliere del passato solo ciò che favorisce l’unità del genere umano e la sua crescita collettiva, non ciò che contrappone e divide senza possibilità di mediazione.

E, di riflesso, svuota di senso anche il millenarismo apocalittico che intende denominarsi «cristiano» e che si pone come giustificazione della guerra contro quello che viene definito in termini religiosi ed etici l’«asse del male». Su quale sentimento fa leva la tentazione suadente di un’alleanza spuria tra politica e fondamentalismo religioso? Sulla paura del caos. Anzi, essa funziona proprio grazie al caos percepito. La strategia politica diventa quella di innalzare i toni della conflittualità, esagerare il disordine, agitare gli animi del popolo con la proiezione di scenari inquietanti al di là di ogni realismo.

Francesco sa che l’uso della religione a fini politici è una costante della storia umana. Il jihadismo che genera il «terrorismo islamico» in realtà ha matrici socioeconomiche, non culturali e religiose, e ad esso corrisponde l’identitarismo «crociato» in Occidente, anch’esso innervato da interessi politici ed economici.

L’immagine in evidenza è tratta da: salvisjuribus.it

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2 risposte

  1. redirector ha detto:

    Vorrei capire meglio perché l’alleanza spuria tra politica e fondamentalismo religioso fa leva sulla paura del caos

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