Dieci anni di pontificato di papa Francesco

L’argomento è talmente vasto che ci permettiamo di fornire solo alcuni spunti di riflessione e suggerire un ottimo testo di approfondimento, ovvero “L’atlante di Francesco” del gesuita Antonio Spadaro, direttore della rivista “La Civiltà Cattolica” (commenteremo il libro di Spadaro nei prossimi articoli).

Pensiamo che il merito principale di Francesco, ciò che lo ha contraddistinto maggiormente dai due papi precedenti, sia stato proprio ciò che attualmente gli viene maggiormente rimproverato dai gruppi tradizionalisti (interni ed esterni alla Chiesa di Roma). Le critiche al suo operato riguardano numerosi temi, che vanno dalla concezione dell’ecumenismo – per i tradizionalisti definito “sincretismo” cioè cedimento dei principi fondamentali del Cristianesimo all’abbraccio delle altre fedi – fino alla rivalutazione dell’ecologismo – al centro non c’è più Cristo ma la Madre Terra, sostengono i suoi detrattori. Abbiamo scelto due elementi contestati (le concezioni della misericordia e della pastoralità) sia perché più spesso citati e sia perché da essi emerge con chiarezza l’originalità di papa Francesco.

In primo luogo, il concetto di misericordia. Essa, espressione dell’amore, condiziona e determina la legge morale, che perde il ruolo centrale e non negoziabile, precedentemente assegnatole dai papi Woytila e Ratzinger. Questo “cambio di paradigma” – così viene definito dai tradizionalisti- è apparso con evidenzia già nell’Esortazione apostolica post – sinodale “Amoris Laetitia”, in cui Francesco criticava “latteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche…(bisogna) non presentare un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono”. In concreto, il tema della eucarestia nei confronti delle coppie dei divorziati risposati civilmente viene affrontato, nell’Esortazione Apostolica, senza ribadire l’attuale norma generale di divieto, ma viene interpretato attraverso il “discernimento” (parola che piace a Francesco e che invece è intollerabile per i suoi oppositori), discernimento che, valutando la particolarità dei singoli casi, può consentire di offrire la comunione anche ai divorziati.

La differenza di metodo tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, da una parte, e papa Francesco, dall’altra, sta anche qui. Mentre ai primi due era venuto in mente, nel 1992, di scrivere, attingendo dalla Tradizione antica, il “Catechismo Universale” della Chiesa cattolica, quale soluzione per affrontare le contraddizioni della modernità e come risposta definitiva per i vecchi e per i nuovi interrogativi dell’umanità, a Francesco questo modo di procedere non appare risolutivo perché le regole del passato non coprono le questioni problematiche del presente e perché c’è bisogno non tanto di precetti generali quanto di valutazioni specifiche. Ecco perché i tradizionalisti accusano Francesco di avere attuato un cambiamento radicale del cristianesimo in direzione di “una apostasia che flagella la Chiesa e la fede dei piccoli” e che consiste nel “minimizzare” la legge morale, secondo loro la via sicura per raggiungere il fine (la salvezza dell’anima): infatti sostengono che “quando non c’è più la verità della legge morale che preserva la verità della persona umana da ogni abuso, si sfocia nell’indifferentismo morale e nella giustificazione della pluralità degli amori”.

In secondo luogo, il concetto e la pratica della “pastoralità”. L’altro elemento maggiormente contestato dell’operato di Francesco consiste nel suo “leggere” la società moderna e le sue novità non attraverso la dottrina, confezionata già da lungo tempo e pronta ad essere applicata ad ogni situazione come un “letto di Procuste”, ma di sostituire la teoria con la pratica della vita, entrando di persona nelle contraddizioni e nei conflitti esistenziali senza ricette preconfezionate. In altri termini, invece della imposizione del dogma, per Francesco, si tratta di mettere al primo posto il metodo pastorale, il metodo dell’ascolto e del confronto col Mondo, senza chiedergli anticipatamente di aderire ad una precettistica definita e definitiva. Soltanto nell’impatto con la concretezza delle realtà mondane sarà possibile forgiare una soluzione che, contemporaneamente, renda attuale il Vangelo e che sia condivisa. Questa pratica ha portato secondo i tradizionalisti a “a far posto all’amore omosessuale e alla cultura LGBTQ+, spingendo così la “rivoluzione dell’amore” (o meglio dell’egoismo) fino al ciglio del precipizio; ormai è evidente che è in gioco non il quanto si può essere pastorali, ma il vero significato attribuito all’essere umano”.

Nel linguaggio dei tradizionalisti la scelta di Francesco diventa quindi “l’instaurare, con la pastoralità, di una sorta di dottrina del metodo. Così la dottrina, come sempre concepita, diventa un modo, un metodo soggettivo.”  In altre parole, la ben salda ed “eterna” dottrina, definita compiutamente da Tommaso d’Aquino, viene sostituita dal metodo soggettivo di ponderare, come Ecclesia, cioè come massa dei fedeli uniti al proprio clero nelle diverse realtà socioculturali del pianeta, le risposte circostanziate – ma mai definitive, aggiungiamo noi – ai problemi reali. I tradizionalisti pur di avere una dottrina che li rassicuri e per non dover decidere responsabilmente in prima persona, accettano anche parole antiquate, perfino morte o prive di senso (le elucubrazioni del catechismo, il cristianesimo imbalsamato ed in pillole); almeno Francesco, nei limiti della sua visione religiosa, sta provando a “reinterpretare” il messaggio del suo Maestro alla luce di eventi che richiedono risposte “vive”, veritiere nella loro aderenza alla realtà.

Non ci stancheremo di ripetere con padre Balducci che le stesse formule del Cristianesimo sono apparse nella storia, e noi le abbiamo ereditate, quindi esse sono trasmesse dal passato. Le culture e le religioni sono relative così come sono relativi i modi di vivere la fede in Diola fede invece dovrebbe essere sempre adesione viva e sempre diversa da quella praticata nel passato. Amen.

L’immagine in evidenza è tratta da: ilmeteo.it

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