LA PRESENZA E IL RUOLO DELLE IMMAGINI DELLA CROCE E DEL CROCIFISSO NELL’EUROPA OCCIDENTALE /3
Il Cristo trionfante

Nell’articolo precedente abbiamo interpretato la croce nuda (sovente abbellita da gemme e foglia d’oro) come immagine di vittoria sulla morte, la quale non è più vista dai credenti con angoscia e paura, ma è diventata sinonimo di “sonno”, da realizzarsi nel cimitero, etimologicamente “dormitorio”, per i cristiani (per i pagani il luogo della sepoltura si chiamava, non a caso, “necropoli”). Nelle antiche epigrafi paleo cristiane accanto al nome del defunto c’è solo il giorno della morte, il “die natalis”, il giorno della nascita alla nuova vita, grazie alla Croce. Nelle antiche rappresentazioni della Croce, ancora senza il crocifisso, essa non viene mai isolata da un contesto in cui è sempre raffigurata – anche in maniera indiretta – la Resurrezione o l’Ascensione, a conforto del cristiano.

Troviamo conferma anche nelle omelie dei primi secoli, come in Melitone di Sardi (morto nel 190) quando affermava:” …il mistero di Cristo che innalzò sulla croce la carne, affinché si vedesse la sua carne esaltata e la morte caduta ai piedi della carne”, cioè, la Croce e la Passione sono sempre annuncio della sconfitta della morte e della Resurrezione. Non a caso la Croce fu considerata simbolo del duplice potere imperiale e sacerdotale del Basileus, a Costantinopoli; la croce poi costituiva l’ornamento maggiore della corona imperiale ed una croce sormontava il globo retto dalle mani dell’imperatore, già a partire da Giustiniano (482-565). La Croce, sotto questi aspetti, rappresentava non lo strumento di tortura, ma il Potere più grande che un umano potesse immaginare.

È bene precisare che le immagini che stiamo esaminando – e più in generale ogni immagine antica – mutano non casualmente, ma per motivi precisi perché il loro significato dipende strettamente dalla ricerca teologica, che a sua volta si sviluppa nel tempo. Quindi i contenuti della fede, definiti dal clero, sono determinanti nella costruzione delle immagini che, a loro volta, inducono modalità di preghiera, atteggiamenti mentali, stati d’animo particolari nella massa dei fedeli. Il modo di pregare è il riflesso del modo di credere (vale anche il contrario: col cambiare la modalità di preghiera viene modificato il modo di credere). Lex orandi e lex credendi si influenzano reciprocamente.

Finalmente nel V secolo, quasi quattrocento anni dopo la morte di Gesù, appare la croce con la persona inchiodata, col Crocifisso. Come viene raffigurato? È straordinario quanto poco sia stato insegnato al popolo cristiano (almeno in Italia) in merito all’ immagine del primo Crocifisso. Eppure questa immagine è stata mantenuta quasi identica per secoli in Occidente, è stata predominante fino al 1200 e, soprattutto, non ha avuto niente a che fare in termini formali e di significato con l’attuale, a noi bene nota. Rappresentava un altro e ben diverso Crocifisso a cui si assegnava un certo significato e a cui il fedele si rivolgeva con comportamenti e preghiere adeguati ad esso. Spieghiamo meglio entrando nel merito.

Fin dalla loro origine, nel V secolo, la quasi totalità dei Crocifissi (con rare eccezioni come il famoso crocifisso di Gerone della seconda metà del X secolo) fino al sorgere dei movimenti innovatori guidati da Francesco d’Assisi (1181-1226), non esprime sofferenza e dolore e ancor meno reca tracce dell’agonia e della morte. Infatti, l’uomo crocifisso è mostrato vivo, con gli occhi aperti (significa la vittoria sulla morte ed implicitamente la Resurrezione): si tratta dell’iconografia del Cristo Trionfante, la prima ad apparire nella storia dell’arte

(QUI per quella che viene considerata la prima immagine del Crocifisso il Cristo intagliato nella porta della chiesa di Santa Sabina a Roma, circa 425 d.C., dove appare Gesù centralmente, con folta capigliatura e barba, significativamente più grande dei “ladroni” laterali, a braccia aperte quasi fosse inchiodato, ma coi piedi piantati a terra, già vittorioso sulla morte, occhi ben aperti e nessuna manifestazione di dolore).  

Non soltanto egli non sarà mai rappresentato nudo (come invece la reale vicenda della sua morte vorrebbe, confermata dagli stessi Vangeli), ma sempre ricoperto ai fianchi almeno da una fascia di tela, da perizomi più o meno eleganti, alcune volte con cinture preziose, o addirittura rivestito da capo ai piedi col colubium (la lunga tunica senza maniche, con una cintura alla vita, usata dai romani e poi dai monaci). Sempre con gli occhi aperti, con lo sguardo in avanti e la posizione bene eretta, privo totalmente di alcun segno di sofferenza. Si giunge all’assurdo di porre, sul capo del Crocifisso scolpito o dipinto, una corona regale. Perché? Come mai questo travisamento della vicenda storica, l’incoronazione di colui che aveva rifiutato i poteri mondani, entrando anzi in contrasto con essi e dichiarandosi a disposizione degli ultimi e loro servitore? E perché poi questo evidente e totale rifiuto di esibire le sue sofferenze e la sua morte? Ricordiamo, per sottolineare questo aspetto, che la Flagellazione non apparirà mai in Occidente fin dopo l’anno Mille e che in Oriente è un soggetto praticamente inesistente.

La spiegazione iconologica- riferita all’arte antica – è quasi sempre teologica: infatti, con l’epoca costantiniana ed il cesaropapismo, accanto alle croci trasformate in trono imperiale, la figura del Crocifisso – il cui vicario sulla terra, detentore del potere spirituale, era il Papa mentre l’altro suo rappresentante detentore del potere temporale era l’Imperatore – come altrimenti poteva essere raffigurato se non come l’espressione più alta del potere, quello sulla morte? D’altronde il Cristo, che ha attraversato la Passione e che appare Resuscitato sulla croce indica proprio ciò che viene insegnato al popolo e che viene identificato essere il cuore del messaggio cristiano, l’essenza del cristianesimo secondo Paolo (Corinzi 15,14): “Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede…”. Gli artisti faranno spesso coincidere il Cristo Vincitore della morte, col Cristo Pantocratore, Sovrano del Mondo e quindi incoronato, e col Cristo Giudice, la cui espressione più significativa è forse il Volto Santo di Lucca1, definito “rex tremendae maiestatis”, anch’egli spesso presentato al popolo con la corona in testa.

Già nel 414, quando ancora dovevano apparire i primi crocifissi, Agostino d’Ippona scriveva, commentando la Passione del vangelo di Giovanni: “…se ben consideri, la croce stessa fu un tribunale; il giudice, posto in mezzo, ai lati il ladrone che credette e fu assolto e il ladrone che insultava e fu condannato. Segno di ciò che farà con i vivi e con i morti…”. Tradotto nel linguaggio dell’arte questo concetto viene a fare parte del nuovo modello dell’iconografia della crocifissione, che caratterizza il Cristo con gli attributi di trionfante, regale, giudice. Il Cristo non sembra inchiodato, ma eretto senza alcuno sforzo sui piedi, le braccia sono allargate quasi ad abbracciare il mondo, gli occhi aperti ed il viso non tradiscono alcun segno di dolore, ma in genere presentano un distacco ieratico.

Un altro esempio famoso è il Crocifisso di San Damiano, che, mentre Francesco pregava, gli parlò e chiese di riparare la sua casa (oggi si trova nella basilica di Santa Chiara ad Assisi): si trattava appunto di un Cristo Trionfante.  La regalità ed il potere che emanano dal Cristo Trionfante promuovono una tipologia di religiosità che non include il confronto con la sofferenza e l’umanità del Gesù crocifisso e propone invece l’inchinarsi proni ad un Onnipotenza lontana e infinitamente distante dalla realtà terrena. Il popolo in ginocchio trova nel Cristo Trionfante quello stesso potere terreno, ma esaltato all’ennesima potenza, di imperatori e clero, a cui doveva rivolgersi a capo chino perché solo da costoro, finché si era in vita, e dal Cristo, nell’Al di là, era possibile trovare rifugio e protezione. 

Il Cristo Trionfante, così come il clero medievale e i sovrani, fanno parte della stessa cultura allora dominante, fatta propria dalle masse cristiane e da loro praticata. Ad esse chiedono, tutti i detentori del potere, lo stesso atteggiamento: esigono che si costituisca e si conservi un popolo di sudditi intimoriti e remissivi – consapevoli della miseria della propria condizione e della distanza che li separa dal potere terreno e divino – e che a questo popolo, quindi, non resti che delegare a istituzioni superiori perché volute da Dio la propria salvezza, materiale e spirituale.

A partire dal IV secolo con la ricerca sempre più spasmodica delle reliquie, con la crescente devozione verso i martiri e poi soprattutto, dal V-VI secolo, con la schiera sempre più numerosa e specializzata dei santi, si creerà invece un vero e proprio “pantheon” cristiano che diventerà l’interlocutore privilegiato della religione popolare e servirà alla massa dei fedeli da intermediario verso il Cristo-Dio, lontano ed inaccessibile.

1 Vedi foto in evidenza all’inizio del testo: il Volto Santo di Lucca è una statua lignea, pare del IX secolo, colla testa incoronata come un sovrano ma soprattutto con uno sguardo profondamente indagatore, dato dagli occhi fissi e sporgenti che sembrano seguire il movimento dei fruitori e la cui severità è sottolineata dalla bocca serrata e dai folti baffi che coprono le labbra.
(la foto è tratta da Wikipedia.org)

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