“Dio. La scienza, le prove: l’alba di una rivoluzione”. Pessima scienza e scadente teologia

Il libro di Michel-Yves Bollorè e Olivier Bonnassies, uscito in Francia alla fine del 2021, sta avendo un gran successo di vendite anche in Italia, suscitando critiche radicali di faciloneria e di mistificazione. Le due tesi centrali del libro riguardano i seguenti punti:

1) Come già tutta la comunità scientifica ha stabilito (pur ricordando che in scienza non ci sono verità assolute), il nostro universo ha avuto un inizio temporale col Big Ben, la cui esistenza è suffragata da solide prove. Di conseguenza, non essendo infinito nel tempo (e nello spazio) e avendo avuto un momento iniziale, il cosmo necessariamente è stato “originato” da Qualcosa, probabilmente da un Autore che possiamo chiamare tranquillamente “Dio”.

2) La validità del “Principio Antropico”, che, secondo i critici, il libro interpreta in maniera non scientifica. Il Principio Antropico consiste nel rilevare la coerenza straordinaria del nostro universo, in cui i valori delle “costanti” fondamentali (massa delle particelle fondamentali, la velocità della luce, carica elettrica del protone, ecc.) sembrano essere interconnessi. Se tali valori variassero anche di poco, il nostro universo non esisterebbe. In particolare, le condizioni che possono garantire la nascita della vita (la vita da noi conosciuta con la base di carbonio) sono tali da sembrare quasi impossibili. Secondo gli autori, Bollorè e Bonnassies,“(il passaggio dalla materia inorganica alla vita n.d.r.) si è trattato di un salto di un’enorme complessità. Poiché ha richiesto il concorso di numerosi fattori, tutti estremamente improbabili, se li consideriamo frutto della mera casualità…” La probabilità che una catena di un migliaio di amminoacidi si disponga nell’ordine giusto è di 1:10 elevato a 1500, quindi un evento al limite del possibile.

Con questa ed altre osservazioni simili, tutte enunciate con i rispettivi dati, che ne evidenziano l’estrema incertezza e postulano quindi la presenza di “disegno intelligente”, gli autori ritengono di aver acquisito – attraverso la scienza – le prove dell’esistenza di un Dio creatore e legislatore.

Le voci discordanti sono numerosissime, sia tra gli scienziati che tra i teologi, a partire da monsignor Gianfranco Basti, che unisce in sé le due competenze. Laureato in teologia e in filosofia della scienza, Gianfranco Basti è esperto in fisica quantistica, ricercatore presso il Cnr, consulente presso Agenzia Spaziale Italiana, organizzatore di numerosi congressi internazionali nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale. Un suo intervento sul tema in esame (di cui consigliamo l’ascolto) inizia dichiarando seccamente che le prove scientifiche dell’esistenza di Dio proposte dal libro sono una fake news. In sintesi, il professor Basti individua alcuni concetti chiave che rispondono ai due punti precedentemente elencati.

1) Prima ancora dell’esplosione del Big Ben e dell’origine del tempo lineare, vi era il vuoto quantistico, che è energia nel vuoto, come se fosse un campo di energia che fluttua continuamente in maniera assolutamente disordinata e dove vengono create e annichilite particelle. Da esso è scaturito il Big Ben, una mega fluttuazione del vuoto quantistico. Quindi potremmo chiederci perché esiste il vuoto quantistico. Questa, tuttavia, è una domanda assurda per lo scienziato, perché non è più una domanda fisica, ma è la domanda metafisica per eccellenza. Il professor Basti aggiunge che soltanto introducendo un ragionamento ideologico (cioè il modo in cui il libro interpreta l’inizio dell’Universo) è possibile formulare la presenza del Dio creatore, ma un dio creatore non fa parte e mai farà parte di alcuna teoria scientifica. Anche per la teologia, se “Dio”, per definizione, è ineffabile, inenarrabile, indicibile e impensabile, allora, quando conosci un qualcosa che ritieni di poter chiamare Dio, come già si sosteneva da Agostino fino ad oggi, quel Qualcosa non è Dio.

2) ” Per il Principio Antropico (nella sua versione ideologica sostenuto dal libro n.d.r.) Dio, per produrre la vita, ha fatto il tappabuchi, cioè ha creato le costanti cosmologiche – che rendono possibile la vita- ed è diventato poi sintonizzatore, aggiustando continuamente le costanti (che non sono tali perché mutano a causa dell’evoluzione dello stesso Universo in espansione)” sostiene il professor Basti, evidenziando quanto questa versione del Principio Antropico sia impregnata di ideologia e sia assolutamente non scientifica.

Poi aggiunge: “Il Principio Antropico come ipotesi scientifica (usato anche da Weinberg ed Hawkins, critici della teoria cosmologica del Principio Antropico) è quella di trovare quali sono le condizioni che rendono possibile la vita in questa età dell’universo, dove noi viviamo, e in questa localizzazione dell’universo.…Allora l’uso scientifico del Principio Antropico, come avviene normalmente in astrofisica, è quello di dire quali sono i valori delle costanti cosmologiche (che non sono costanti almeno su scala di tutta l’evoluzione dell’universo), che renderebbero possibile la vita – a partire da quelle che vediamo, che rendono possibile la vita sulla Terra – anche su altri pianeti, i famosi esopianeti, pianeti fuori del sistema solare…Quindi il Principio Antropico diventa il criterio di selezione di possibili stati di un universo non stazionario, per vedere dove potrebbero esserci altri pianeti per la vita. Questo è un discorso scientifico”.

Il professor Basti aggiunge, in conclusione, che l’approccio statistico in cosmologia rende inutile -e sbagliato – nominare Dio, perché il caso (che gli autori del libro sembrano identificare col “fato”, col “destino”) sta alla base della statistica e la statistica è una scienza che riesce a dimostrare come, secondo la legge dei grandi numeri, siano possibili risultati insperati, al limite del possibile,  “senza bisogno di ricorrere al dio regolatore che deve fare sintonia continua delle costanti che costanti non sono…”.

Il professor Basti infine sostiene che l’unico aspetto positivo del libro (da non comprare assolutamente perché ”la cattiva stampa non va incrementata”) riguarda il fatto che le evidenze scientifiche, legate al Principio Antropico, sono tutte elencate, come in un utile catalogo, ma “ovviamente il libro le elenca dal punto di vista sbagliato”.

È anche interessante conoscere chi sono i collaboratori e i promotori delle tesi del libro dal punto di vista religioso e Gianfranco Basti, come uomo di chiesa, che li conosce bene, li definisce “fondamentalisti cattolici”, appoggiati da “Benedetto XVI, che con tutto il rispetto, era un teologo, ma non certo un filosofo, e non aveva certo studiato logica, come Giovanni Paolo II e gli altri, e diede molto spazio a questa (“a questa versione del Principio Antropico), anche qualche Cardinale domenicano e teologo di Santa Romana Chiesa, va bene, teologi che non hanno studiato abbastanza filosofia e soprattutto logica, la fisica neanche a parlare!”. Non a caso tra i commenti finali del libro appare quello del cardinale Robert Sarah, rappresentante dell’ala più retriva del cattolicesimo, colui che ha dato indirettamente dell’eretico a Francesco per aver proposto la benedizione alle coppie “irregolari”

Utili osservazioni critiche sono presenti anche nell’articolo scritto a quattro mani del fisico Rovelli e del teologo Tanzella-Nitti (“Come ci ripetono all’unisono i migliori scienziati e i migliori teologi, cercare prove per le verità della Fede nella scienza è una sciocchezza”).

Ultima, ma non meno importante, è l’intervista al gesuita Francois Euvè, teologo e fisico di formazione, autore del libro “La Science, l’épreuve de Dieu?” non ancora tradotto in italiano. È la risposta a “Dio. La scienza, le prove” (“Quanto alla loro tesi (di Bollorè e Bonnassies n.d.r.) – la quale consiste nel dire che la scienza prima del XX secolo allontanava da Dio, mentre ora avvicina – mi pare caricaturale, e persino falsa…Non esiste una prova definitiva che il mondo abbia avuto un inizio assoluto, né tantomeno che Dio ne sia la causa”) ed è la conferma della necessaria distinzione dei campi della teologia e della scienza come condizione di un proficuo dialogo tra loro.

L’immagine in evidenza: Greg Rakozy su unsplash

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