Perché la destra è forte e perché non vincerà*

Per rispondere al primo interrogativo (perché la destra è forte) presente nel nostro titolo ci può essere d’aiuto un articolo di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera del 15 novembre.
Galli della Loggia ci ricorda, innanzitutto, che “la destra antiliberale è in ascesa dappertutto in Europa … è in grado d’inscenare manifestazioni di piazza che raccolgono folle imponenti. Ma non si tratta di un ritorno del fascismo. Del fascismo novecentesco, infatti, mancano alla destra antiliberale di oggi due tratti essenziali: l’organizzazione paramilitare e l’impiego della violenza contro gli avversari politici. … Oggi la destra antiliberale gioca le sue fortune sul terreno elettorale, e la violenza, quando c’è, è opera di gruppuscoli tutto sommato insignificanti. Oggi l’obiettivo non è quello di intimidire e ridurre al silenzio gli avversari, è quello di vincere democraticamente le elezioni.  Il che è possibile grazie a due fattori nuovi presenti sulla scena europea. Innanzi tutto, per la prima volta dal 1945 è presente nel continente una grande potenza reazionaria che si pone come punto di riferimento per tutta la destra antiliberale. È la Russia di Putin … “.

“Ma il fattore cruciale dell’ascesa della destra antiliberale è il nazionalismo. È Il nazionalismo, non il fascismo, il vero orizzonte … col quale la destra anima la sua propaganda e la sua influenza nell’opinione pubblica … un nazionalismo nuovo … non offensivo ma difensivo … La nazione non è più il luogo dove ‘armare la prora e salpare verso il mondo’. È un rifugio dal mondo. La sua invocata sovranità un’arma di difesa, una protezione.
E proprio per questo la nazione è un valore sempre più sentito e apprezzato specialmente da chi di protezione ha costituzionalmente bisogno, cioè dalle classi popolari. … La nazione è invocata come un rifugio dalle novità sottratte ad ogni nostro controllo … Novità economiche, innanzitutto. Un rifugio quindi dagli effetti negativi della globalizzazione: dalla chiusura incomprensibile di fabbriche che ancora ieri sembravano andare bene; dal brutale ridimensionamento dell’organico impiegatizio per l’arrivo dei computer; un rifugio dall’improvviso venir meno, deciso in una lontana capitale europea, di quella spesa pubblica che poteva permettere a un Comune di aggiustare una scuola o di assumere qualcuno”.

Il nazionalismo è invocato anche come un rifugio dai mutamenti intervenuti nei modi di vivere e di sentire delle società occidentali. Mutamenti che hanno prodotto una frattura tra una parte della società, dotata di maggiori risorse (anche culturali) orientata al nuovo, che si percepisce come cittadina del mondo; e un’altra parte, per lo più dotata di minore risorse, più legata ad un modo di pensare tradizionale ed orientata culturalmente al passato e a tutto ciò che rappresentava in precedenza i suoi valori.
Questa parte della società, dice Galli della Loggia, “ha cominciato da tempo a vedere nella nazione, nell’ovvia radice antica dell’identità nazionale, un utile scudo protettivo contro una modernità percepita come qualcosa di ostile e distruttivo che giunge da ‘fuori’ “. “Il cuore del nazionalismo attuale  -conclude Galli della Loggia- è costituito in tutti i sensi da una posizione polemica, perlopiù fatta propria dagli strati disagiati della società, contro il nuovo, contro la modernità”.

Tutto ciò, oltre a descrivere il quadro complessivo entro il quale si sta svolgendo la contesa politica, spiega, almeno in parte, perché i partiti della sinistra, che si sono sempre dichiarati a favore del progresso e della modernità, incontrano difficoltà a raccogliere consensi presso le classi popolari, che pure un tempo costituivano il grosso del loro elettorato e che da un po’ di tempo a questa parte sono invece su posizioni conservatrici. E spiega, almeno in parte, da dove trae origine il grande successo, in tutto l’occidente, delle formazioni politiche di destra illiberale. Formazioni che rispondono al bisogno di protezione dei ceti popolari promettendo di porre fine, nell’orizzonte del nazionalismo, alle diffuse paure, alle difficoltà ed ai disagi prodotti dalle crisi economiche, dalla rivoluzione tecnologica , dall’immigrazione. Promesse che possono fruttare anche larghi consensi, tali da consentire a qualche partito nazionalista di andare al potere, Ma una volta la potere difficilmente realizzano i propri obiettivi (cioè difficilmente si affermano realmente).

È quanto spiega molto bene Angelo Panebianco, sempre sul Corriere della Sera, in un articolo pubblicato il 19 novembre. In concreto, la risposta della destra neo-nazionalista  alle paure della gente è “un’offerta di ‘autarchia’  (ciò che loro chiamano ‘recupero della sovranità nazionale’) che funziona come richiamo elettorale quando sono all’opposizione ma che perde credibilità quando vanno al governo. Perché a quel punto devono fare i conti con la dura realtà. La realtà è che gli stati nazionali europei ‘non hanno più il fisico’, non hanno le risorse per dedicarsi a baldorie sovraniste. E infatti il neo-nazionalista parla di recuperare la sovranità nazionale (contro l’Europa) ma è disponibile a fare del proprio Paese un satellite della Russia”.
Ma il punto fondamentale del ragionamento di Panebiando è questo: “Una volta giunti al governo, inoltre, i neo-nazionalisti scoprono che non possono sbarazzarsi dei vincoli europei” (sono cioè obbligati ad agire in un quadro cosmopolitico).
Ci viene in mente, a questo proposito, un esempio fatto recentemente da Sabino Cassese (su Il Foglio del 26 novembre), che riguarda il caso della Lega. Nel periodo in cui Salvini è stato al potere, il suo nazionalismo, che si è espresso con la proclamazione della chiusura delle frontiere e con la firma di ben due decreti sulla sicurezza, non ha raggiunto gli obiettivi sbandierati: “gli sbarchi sono continuati sulle spiagge e non nei porti … e le due leggi sono ora applicate da giudici che debbono contemporaneamente tener conto sia della Costituzione, sia degli obblighi internazionali che discendono dai trattati che abbiamo firmato”.

La conclusione cui giunge Panebianco è la seguente: Salvini, dopo la caduta del governo di cui faceva parte e la costituzione del Conte 2, “sembra aver capito che le velleità antieuro degli sfasciacarrozze che un tempo tanto amava non possono portarlo da nessuna parte”.  Se non lo ha capito, “forse vincerà comunque le prossime elezioni. Ma saranno guai per tutti (lui compreso). Il motivo è chiaro: è l’impossibilità di essere sovranisti”.

E abbiamo così risposto, in parte, anche alla seconda domanda contenuta nel nostro titolo (perché la destra neo-nazionalista non vincerà).
Ma per rispondere più compiutamente a questa domanda utilizzeremo alcune riflessioni del  sociologo tedesco Ulrich Beck, contenute nel suo libro “La metamorfosi del mondo”.

I cambiamenti che stiamo vivendo, dice Ulrich Beck, non sono normali cambiamenti, sono qualcosa di più, sono delle “metamorfosi . … Un cambiamento significa che alcune cose mutano ma altre rimangono uguali. La metamorfosi, invece, implica una trasformazione molto più radicale, in cui le vecchie certezze della società moderna vengono meno e nasce qualcosa di totalmente nuovo”.

Viviamo nella “metamorfosi del mondo”, in un cambiamento epocale di “visioni del mondo”, provocato dagli effetti collaterali di una modernizzazione che si è imposta con successo (come la digitalizzazione o le capacità di previsione della catastrofe climatica che incombe sull’umanità).  “il rischio climatico, ad esempio, ci insegna che la nazione non è il centro del mondo. Il mondo non gira attorno alla nazione: sono le nazioni a girare attorno a quelle nuove stelle fisse che sono il ‘mondo’ e l’’umanità’. Internet ne è un esempio: crea il mondo in quanto unità della comunicazione, e crea l’umanità, per il semplice fatto che offre la potenzialità d’interconnettere, letteralmente, chiunque. È in questo spazio che i confini – nazionali e non – vengono superati, scompaiono e vengono costruiti ex novo: cioè, vanno incontro a ‘metamorfosi’ “  ( una “svolta copernicana 2.0”).
Il ‘nazionalismo metodologico’ dice che il Sole gira attorno alla Terra, ovvero il mondo gira attorno alla nazione. Il ‘cosmopolitismo metodologico’, al contrario, insegna che è  la Terra a girare attorno al Sole, ovvero che sono le nazioni a girare attorno al ‘mondo a rischio’. … La visione nazione-centrica del mondo appare storicamente falsa”. … “Ciò non comporta la dissoluzione e la scomparsa delle nazioni e degli Stati nazionali, ma soltanto la loro metamorfosi. Le nazioni devono trovare il loro posto nel mondo digitale, devono (re)inventare sé stesse girando attorno alle nuove stelle fisse: il mondo e l’umanità”… le ‘eterne certezze’ della visione nazionale del mondo non appaiono più come verità evidenti e si rivelano invece come credenze legate ad un’epoca”.

Cosa vuol dire tutto questo?
Nell’attuale variante storica, vuol dire essenzialmente due cose: primo, che molte  delle immagini del mondo già esistenti continuano ad esistere simultaneamente, una accanto all’altra ma alcune” hanno smesso di essere certe, hanno perso la loro supremazia; secondo, che nessuno sfugge alla dimensione globale. … Il globale -ossia la realtà cosmopolitizzata – non è semplicemente ‘là fuori’, da qualche parte, ma è la realtà strategica in cui vive ciascuno di noi”.
“Le dottrine potranno anche essere particolaristiche, orientate alle minoranza, anticosmopolite, antieuropee, religiosamente fondamentaliste, etniche, razziste; ma gli spazi d’azione sono inevitabilmente costituiti in termini cosmopolitici. Gli antieuropei di fatto siedono nel Parlamento europeo (se non lo facessero non conterebbero nulla)”.

“Ognuno si ritrova in un mondo sostanzialmente diverso da quello che immagina e si aspetta: un mondo in cui il solo fatto di usare un telefono mobile comporta la metamorfosi di una persona in risorsa (informativa), in consumatore trasparente esposto al controllo delle imprese transnazionali globali. Questa è una caratteristica chiave della metamorfosi. … Naturalmente ognuno è libero di non salire su un aereo o di non usare l’email; ma questa decisione equivale a tagliarsi fuori dagli spazi in cui può agire efficacemente. L’ordine del mondo si basa sulla necessità storica di operare fuori e oltre i confini per realizzare i propri fondamentali obiettivi. … Non importa in quale passato le persone cerchino di rifugiarsi mentalmente – se nell’Età della pietra, nel Biedermeier, ai tempi di Maometto, nell’Illuminismo italiano,nel nazionalismo ottocentesco: per avere  successo devono creare ponti con il mondo, con il mondo degli ‘altri’. All’inizio del ventunesimo secolo gli spazi d’azione sono ormai cosmopolitizzati: e ciò significa che il contesto in cui operiamo non è più soltanto nazionale e integrato, ma globale e disintegrato, e comprende le differenze tra le varie regole nazionali sul terreno delle leggi, della politica, della cittadinanza, dei servizi e via dicendo. …
Per chi continua a identificare la propria certezza metafisica con la nazione, l’etnia o la religione, il mondo si sta sfasciando. È per questo che centinaia di studi sociologici si chiedono cosa pensano le persone, cos’abbiano in mente, ci parlano di contraccolpo, di ritorno agli orientamenti nazionalistici. Sarà anche vero che le persone la pensano così, ma … come agiscono, quelle stesse persone? Se si guarda solo agli orientamenti si perde di vista l’essenziale, e cioè che nessuno, a prescindere da cosa pensi  e creda, può sfuggire a quel paradosso della metamorfosi che è il mondo cosmopolitizzato. … chi resta fermo al nazionalismo è destinato a perdere”.

Riprendendo, per concludere, il titolo dell’articolo già richiamato di Sabino Cassese: la destra illiberale è destinata a perdere perché “i problemi del mondo non si risolvono chiudendosi nei gusci nazionali”.

* l’espressione ‘non vincerà’ equivale a dire ‘non realizzerà i propri obiettivi’.

L’immagine in evidenza è tratta da IlSole24ore.com

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