Il metodo Draghi /1 (e Auguroni!)

Lo sciopero generale che si è svolto il 16 dicembre, indetto da due dei maggiori sindacati italiani, verrà archiviato con il giudizio espresso dalla maggior parte dei leader politici, compreso il segretario del Pd (principale partito di riferimento della Cgil) e FdI (principale partito di opposizione): immotivato e incomprensibile. È stato uno sciopero dichiaratamente volto a contestate l’operato del governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi, le cui misure a sostegno dei redditi dei lavoratori sono state giudicate insoddisfacenti dai leader di Cgil e Uil. Immotivato e Incomprensibile perché ciò che è accaduto è in realtà esattamente l’opposto di ciò che i due sindacati contestano all’esecutivo Draghi:  nessun esecutivo come questo ha mai fatto tanto in così breve tempo per lavoratori e pensionati.

Si poteva fare di più, secondo il segretario della Cgil Landini, perché ora ci sono le ingenti risorse messe a disposizione del nostro Paese dal Piano di ripresa e resilienza dell’Unione Europea.

Non ci sarebbe stato bisogno di chiamare alla guida del governo l’ex presidente della banca centrale europea, nonché l’italiano che gode di maggiore prestigio a livello internazionale, se la cosa più urgente da fare fosse stata quella di mettere in atto azioni di semplice redistribuzione della ricchezza. Per fare questo sarebbe bastato il governo Conte. Le urgenze che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha consegnato nelle mani di Draghi erano (e in parte lo sono ancora) ben altre: affrontare l’emergenza sanitaria e affrontare l’emergenza economica. Su entrambe, un anno fa, le prospettive per il nostro Paese erano a dir poco molto preoccupanti.

Purtroppo sono ancora in tanti coloro che non hanno realizzato che l’enorme massa di denaro messaci a disposizione dal Pnrr non è frutto di semplice generosità o, addirittura, della “bravura” dell’allora presidente Conte, quanto della utilità avvertita dalla intera comunità europea che il motore inceppato dell’economia italiana (e più in generale del sistema Italia) ripartisse, nell’interesse generale. È per compiere questa impresa eccezionale che ci voleva un premier fornito di grande competenza e di grande prestigio.

Dieci mesi fa, nonostante tutti, a livello internazionale, riconoscessero che la scelta di affidare a Mario Draghi il compito di rimettere in carreggiata il Paese fosse la più giusta, rimaneva ancora un forte scetticismo circa la possibilità che l’impresa potesse realmente riuscire.

Il giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella incaricava l’ex presidente della Bce di formare un nuovo governo, l’autorevole giornale inglese Financial Times pubblicava un editoriale che esprimeva il forte pessimismo della business community europea:
Come tecnocrate non eletto in un’epoca di populismo, e senza una base di partito propria, Draghi sarà vulnerabile al cecchinaggio di chi dirà che le sue politiche non sono l’espressione della volontà popolare. Con le elezioni all’orizzonte, rischierà di diventare ostaggio dei partiti politici prima che il suo governo abbia la possibilità di attuare le riforme economiche e amministrative di cui l’Italia ha bisogno da decenni”.

Il Financial Times non ha espresso alcun dubbio sulle capacità di Mario Draghi, tutt’altro:
Come presidente della Bce ha avuto un ruolo decisivo nel salvare l’unione monetaria europea … ed ha mostrato eccezionali capacità politiche nel convincere alcuni leader dell’eurozona, in particolare la Germania, che le misure non ortodosse della banca centrale erano essenziali per il salvataggio. Draghi ha lasciato l’incarico con una reputazione mondiale brillante. Ma se il suo talento sarà sufficiente per tirare fuori l’Italia dai suoi problemi è un’altra questione”. Il timore, scriveva FT dieci mesi fa, è che a Draghi tocchi lo stesso destino di Mario Monti, “caduto gradualmente nelle mani dei partiti”. Partiti, quelli italiani, che sono visti in Europa come molto litigiosi ed egoisti e, quindi, incapaci di mantenere un impegno a lungo termine (come invece sarebbe necessario) per portare avanti quel  vasto programma di riforme ( “volte ad aumentare la produttività, migliorare i servizi pubblici, snellire il sistema giudiziario e sradicare la corruzione”) che a Draghi è stato chiesto di avviare.

Il pessimismo espresso da FT era legittimo. Ma è stato smentito dai fatti (almeno finora).

La maggior parte  delle forze politiche che hanno votato la fiducia al governo di unità nazionale (stando ai programmi con i quali si erano presentate alle elezioni ) avevano orientamenti totalmente difformi da quelli palesati dal presidente Draghi nel suo primo discorso in Parlamento, ad esempio quando ha parlato degli ancoraggi storici dell’Italia (Europa, Patto Atlantico, Nato) come forti punti di riferimento per la sua politica estera, quando ha parlato di differenza tra debito buono e debito cattivo per stigmatizzare la tendenza ad usare le risorse pubbliche per fini improduttivi  o per aiuti alle imprese zombies, quando ha parlato della necessità di rivedere alcune riforme avviate dai governi precedenti in tema di giustizia, di politiche attive del lavoro, di pensioni, ecc. .
Eppure, se andiamo a vedere, la quasi totalità delle decisioni prese nel Consiglio dei ministri e nelle aule parlamentari in questi dieci mesi sono state votate all’unanimità. E persino la principale forza di opposizione ha avuto con il presidente Draghi un buon rapporto (che il senatore Ignazio La Russa ha così recentemente riassunto: Nessuno lo dice: ma il 70 per cento dei provvedimenti del governo è passato finora con i nostri voti favorevoli o al massimo ci siamo astenuti”).

Cosa ha reso possibile tutto ciò?

È chiaro che la base principale su cui poggiano i consensi che Draghi è riuscito ad ottenere, nell’opinione pubblica come nel mondo politico, è costituita dalla competenza (sia personale che dei suoi collaboratori) con cui ha impostato e sta guidando il contrasto alla pandemia e la ripresa post pandemica.

Ma, come molti hanno fatto notare, un ruolo non irrilevante va riconosciuto al fatto che Draghi ha introdotto grosse novità anche nel modo di fare politica. Il termine che più ricorre nei commenti e che forse meglio riassume il cosiddetto metodo Draghi è “pragmatismo”. Si sostanzia di varie cose. In primo luogo di un approccio non ideologico ai problemi, una pratica che non privilegia lo scontro con chi la pensa diversamente ma la possibilità di costruire, attraverso il confronto, soluzioni che rappresentino un reale miglioramento nella vita dei cittadini.

Attenzione però, pragmatismo, disposizione al confronto, ricerca della possibile mediazione non vanno interpretati come  un atteggiamento remissivo, sono piuttosto espressione di forza delle idee, come ha scritto Mario Lavia su Linkiesta del 30 Ottobre ricordando anche ciò che ha postato in un tweet la regista Francesca Archibugi dopo aver ascoltato il premier in una conferenza stampa: “Un’idea e la persegue, non persegue voti”.
È avvenuto così (tanto per fare un esempio) nella discussione sul sistema pensionistico, per il superamento del regime di quota 100: di fronte a Salvini che non perdeva occasione per ripetere il suo slogan “quota 100 non si tocca”, Draghi ha pacatamente detto: “Io ho sempre sostenuto che non condividevo quota 100: ha una durata triennale e non verrà rinnovata. Quello che occorre fare ora è assicurare gradualità nel passaggio alla normalità. È questo l’oggetto della discussione oggi. Occorre essere graduali” (Come sappiamo nella legge di bilancio, con l’approvazione anche della Lega, è passata la proposta gradualista del premier di adottare per un anno il regime di quota 102).

Un’altra virtù collegata al pragmatismo è il modo di impostare la comunicazione. Scrive ancora Mario Lavia: “Quando si ascolta una conferenza stampa di Mario Draghi sembra di essere all’Università o a una tavola rotonda: parla, illustra, spiega cose complicate che a sentirle così tutti possono capirle.

Un po’ c’entra anche Max Weber, la politica come professione diventa politica come spiegazione, il fare diventa comunicazione. Le parole non sono mai ridondanti, meno che mai puntute o aggressive, nemmeno ironiche. È, quello di Draghi, quel che si dice un linguaggio piano, senza voli pindarici propri di altre leadership della Prima Repubblica … secondo il dettame che egli stesso aveva prescritto ai suoi ministri nella prima riunione del governo: Parlate quando avete delle cose da dire.

Ciò significa che non assisteremo più ai vecchi vizi dei politici italiani? Purtroppo no. Come dimostra il fatto che su temi che non rientrano nel programma di questo governo, i partiti tendono a ripetere gli schemi di sempre, fatti di sfide velenose, di ricerca dello scontro più che del confronto. Lo abbiamo visto nell’aula del Senato il giorno della votazione sul decreto Zan, dove non si sentivano discorsi ma solo urla e insulti.

Ma sui temi che vedono impegnata la compagine governativa il metodo Draghi sembra funzionare. Lo rilevano anche importanti commentatori internazionali. Come ha riportato Gianluca Mercuri sul Corriere della Sera online del 30 11 2021, il Think Tank Gzero, tra i più influenti e ascoltati del mondo, ha dichiarato: “L’Italia ha subìto una delle peggiori epidemie iniziali di Covid nel 2020, ma da quando è salito al potere 10 mesi fa, Mario Draghi ha inaugurato un raro periodo di stabilità in un Paese a lungo afflitto da grandi oscillazioni politiche. Draghi ha messo insieme una coalizione stabile, evitando elezioni che avrebbero potuto essere una manna per i partiti di estrema destra”. Dello stesso parere l’Economist: “L’Italia è cambiata, un’ampia maggioranza dei suoi politici ha seppellito le proprie divergenze per sostenere un programma di profonde riforme, che dovrebbe significare che il Paese ottiene i fondi a cui ha diritto nell’ambito del piano di ripresa post pandemia dell’UE”.

E i frutti dell’accoppiata competenza & pragmatismo già si vedono: sono ormai tanti gli osservatori internazionali che guardano all’Italia con un senso di ammirazione e di stima come non si vedeva da tempo  e stanno radicalmente cambiando nei nostri confronti  il loro giudizio e le loro aspettative.
La Banca Centrale Europea prevede per quest’anno una crescita economica “probabilmente ben oltre il 6%”. Standard & Poor’s, un’agenzia di rating, ha rivisto le sue prospettive per il debito italiano da stabile a positivo. Secondo The Economist, l’economia italiana si sta riprendendo meglio di quelle francesi e tedesche. Ma dice anche di stare attenti ad un eventuale “pericolo che questa insolita esplosione di governance possa subire un’inversione” (ad esempio nel caso in cui Draghi dovesse essere eletto Presidente della Repubblica e il posto di presidente del Consiglio venisse assunto da uno “meno competente”).

Nel suo ultimo numero,  l’autorevole settimanale inglese ha dichiarato l’ItaliaPaese  dell’anno 2021”:
Non per l’abilità dei suoi calciatori, che hanno vinto l’Europeo, né per le sue pop star, che hanno vinto l’Eurovision Song Contest, ma per la sua politica. Il vincitore che abbiamo scelto ha acquisito un primo ministro rispettato e competente nel 2021. … L’Italia ha raggiunto un alto tasso di vaccinazione contro il Covid nella popolazione, tra i più elevati d’Europa, e la sua economia si sta riprendendo più rapidamente rispetto ai paesi limitrofi”.
Così conclude il settimanale: ”è impossibile negare che oggi l’Italia sia un posto migliore rispetto a dicembre del 2020 e per questo è il nostro Paese dell’anno. Auguroni!”.

L’immagine in evidenza è tratta da: theitaliantimes.it;
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: quotidiano.net; ansa.it; ilsole24ore.com; ilsussidiario.net; avantionline.it; zoo.105.net

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