Il metodo Draghi /2

Ci sembra un buon suggerimento quello contenuto nell’editoriale del Foglio del 28 12 2021 a firma del direttore Claudio Cerasa: studiare il cosiddetto metodo Draghi per carpirne i segreti  e proporli all’attenzione di chi lo sostituirà, nel prossimo futuro, alla guida del Paese, verso l’uscita (si spera) dalla pandemia nonché verso la realizzazione del complesso piano nazionale di ripresa e resilienza  (per ora solo appena impostato).

In verità avevamo già cominciato a farlo (nel post precedente). Abbiamo cioè già cominciato ad individuare alcune delle caratteristiche salienti del modo col quale il presidente Draghi ha operato per tenere insieme la composita compagine governativa che fa parte della maggioranza. Ma l’analisi di Cerasa è molto più puntuale, va nei particolari, e merita di essere presa in considerazione. Qui ci limitiamo a considerare solo alcuni passaggi che ci sono sembrati particolarmente significativi.

il segreto del draghismo – dice Claudio Cerasa –  è grosso modo questo: “depoliticizzare i problemi complessi trasformando ogni soluzione potenzialmente divisiva in una soluzione di buonsenso e facendo della concertazione con tutti i corpi intermedi un’occasione di dialogo finalizzata non alla mediazione tra le parti ma al coinvolgimento di tutti in un processo decisionale all’interno del quale il capo ascolta tutti ma decide da solo”.
E aggiunge: “conversando in modo privato con alcuni ministri abbiamo raccolto elementi interessanti per illuminare alcuni tratti del metodo utilizzato dal presidente del Consiglio nei suoi dieci mesi al governo”.

Elemento centrale è “il potere della delega”.
In senso largo, si può dire che negli ultimi anni la delega è tornata ad avere una sua centralità nella politica italiana nel momento stesso in cui la stagione dell’uno vale uno è stata archiviata dagli stessi teorici della democrazia diretta (parliamo ovviamente del M5s)”. … Ma “La delega a cui facciamo riferimento quando parliamo di Draghi non è però quella parlamentare, ma è quella che riguarda un’attitudine del presidente del Consiglio che ha archiviato la stagione del divide et impera  per passare alla stagione del delega et impera”. 

“Da quando è arrivato a Palazzo Chigi, Draghi  ha sempre scelto di seguire in prima persona pochi dossier, prima erano le vaccinazioni, poi il Pnrr, ora è l’attuazione del Recovery, e ha sempre delegato ad alcuni ministri, ad alcuni sottosegretari e ad alcuni consiglieri  il compito di monitorare il resto delle pratiche, dando ai delegati piena autonomia per portare avanti anche le trattative più importanti. Lo schema è sempre lo stesso: partire dall’idea non di dover mettere tutti d’accordo ma di chiedere a tutte le forze politiche un contributo per portare avanti una propria visione (sulle partite di carattere economico il mandato finora è stato questo: stato dove si deve, mercato quando si può)”.

Si legge poi, nell’analisi di Cerasa, che per quanto riguarda invece “le modalità con cui il presidente del Consiglio ha provato in questi dieci mesi a guidare alcuni propri processi decisionali, se ne possono isolare due”, che rappresentano un “particolare mix di tecnica e politica”: “La prima riguarda tutto ciò che succede prima del Consiglio dei ministri  e la seconda riguarda tutto ciò che succede in Consiglio dei ministri”.

La prima fase avviene qualche giorno prima della convocazione di un Consiglio dei ministri importante. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio convoca tutti i capi di gabinetto, senza dare un ordine del giorno preciso. “Spiega al momento l’oggeto della riunione, offre loro uno o più provvedimenti che dovranno essere portati in Consiglio, i capi di gabinetto discutono … e alla fine si fissano dei paletti condivisi che vengono trasferiti alle strutture dei ministeri. È una fase preliminare, naturalmente, quasi una camera di compensazione delle problematiche, che sfrutta l’estemporaneità delle riunioni per andare al sodo dei problemi, per ‘creare un habitat’ … e che offre successivamente  a tutti i ministri uno spazio politico entro il quale muoversi per arrivare al Consiglio con la consapevolezza di quale sia lo spettro politico entro il quale è possibile avere un margine di discussione con il premier”.

La seconda fase , quella dei Consigli dei ministri, ha inizio con le cosiddette “bozze dei provvedimenti”, che Draghi in genere non fa girare prima dei Cdm, e “ogni ministero ha solo un pezzo del pacchetto generale”.

Un metodo di lavoro opposto a quello, più consueto, praticato dai governi precedenti: “si diffondeva quanto più possibile qualche velina prima del Cdm, si registrava l’umore dei giornali e poi si correggevano eventuali scelte impopolari”.

Un’altra caratteristica interessante del metodo Draghi – confida un ministro a Cerasa – è che quando c’è un problema da risolvere con una qualche parte politica, Draghi non lo fa mai in gruppo, ma attraverso audizioni bilaterali (in preparazione dei Cdm passa molto tempo al telefono con i leader e con i capi delegazione). “Questo è un approccio diverso, direi opposto, rispetto a quello che aveva il suo predecessore, che purtroppo scaricava gran parte dei problemi politici all’interno del Consiglio dei ministri,  che sceglieva spesso di aprire al buio, chiudendo solo a tarda notte quando si trovava un’intesa”. Con Draghi i Cdm durano poco e in Cdm si arriva per decidere, non per discutere.

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