Un passo avanti

Il fallimento della CoP26 pronosticato da Greta Thunberg non si è verificato. Le due settimane di confronto serrato che si sono svolte a Glasgow tra i capi di stato e di governo di tutti i Paesi del mondo (per la precisione 197) non possono essere riassunte con l’espressione supponente usata dalla leader degli ecologisti radicali: “è stato solo Bla bla bla”.

Il principale slogan scandito in tutte le piazze, nelle numerose manifastazioni che hanno avuto Greta come protagonista, recitava “KEEP 1,5°c ALIVE”. La prima notizia battuta dalle agenzie di stampa a conclusione dei lavori della CoP26 è stata proprio questa: il target di 1,5 gradi centigradi è stato mantenuto vivo. Così, ad esempio, l’agenzia italiana ANSA del 14 11 2021 ore 15:48: “Il documento finale è stato approvato. Con questo i paesi firmatari dell’Accordo di Parigi (cioè tutti i quasi 200 paesi del mondo) si impegnano a tenere il riscaldamento globale sotto 1 grado e mezzo dai livelli pre-industriali. Un passo avanti rispetto al target principale dei 2 gradi dell’Accordo di Parigi. Il documento finale fissa l’obiettivo minimo di decarbonizzazione dei paesi al 2030: un taglio del 45% delle emissioni di CO2 rispetto al 2010. E prevede poi di arrivare a zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Il documento chiede agli stati di aggiornare i loro impegni di decarbonizzazione (Ndc) entro il 2022”.

Esattamente quello che chiedevano i dimostranti: impegnarsi a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. Realmente un passo avanti rispetto all’accordo di Parigi del 2015.

Ma, trattandosi di un accordo frutto di compromessi, che tiene fuori alcune delle cose importanti di cui si è discusso nelle giornate di Glasgow, la tesi del fallimento continua ad avere non pochi sostenitori.

Il principale motivo che viene addotto dai sostenitori del fallimento è espresso (e condiviso) da Mario Tozzi in un articolo pubblicato sul giornale la Stampa del 14 11 2021: sanno della gravità e dell’urgenza ma non prendono decisioni o meglio prendono anche delle decisioni (che l’autore chiama “passettini verso obiettivi più ambiziosi”) ma ne rinviano la messa in atto ad un dopo che (sempre a suo parere) è troppo lontano.

Scrive Tozzi:  “La deforestazione è un’emergenza planetaria? Bene, rimandiamone la fine al 2030, sperando che qualche foresta resista fino a quella data. Il carbone è il vero cattivo tra i fossili, quello che inquina di più? Benissimo, non lo useremo più, ma dal 2030 (e qualcuno dal 2040). Sarebbe il caso di fermare per sempre le nuove trivellazioni di idrocarburi, perché se tiri fuori gas e petrolio, prima o poi, li bruci? Sarebbe il caso di impedire ogni tipo di finanziamento pubblico ai combustibili fossili al mondo (ne hanno, attualmente, per 400 miliardi di dollari, le rinnovabili per 90)? Ottimo, ma solo per qualche Paese europeo più avanzato”.

Insomma, il vero limite, inaccettabile, del trattato di Glasgow sarebbe quello di aver accolto la richiesta di alcuni Paesi  di prevedere un rallentamento nel programma di uscita dal carbone e dai combustibili fossili .

Sarebbe interessante, a nostro parere, chiedersi perché è avvenuto ciò. E provare a dare una risposta sensata, prima di  precipitarsi nelle piazze e gridare allo scandalo.
Provare ad  immaginare, ad esempio,  cosa succederebbe in India (il Paese che di più ha puntato i piedi sulla necessità di spostare in avanti la data di uscita dal carbone) se il capo del governo indiano di ritorno da Glasgow dicesse al suo popolo che da domani interromperanno l’estrazione tutti i giacimenti di carbone e di conseguenza tutte le fabbriche del Paese che usano l’energia elettrica prodotta dalle centrali a carbone (praticamente tutte) saranno costrette a fermarsi.

Senza affrontare questi problemi, senza questo realismo, il racconto sulla incapacità della politica di affrontare seriamente i problemi è il vero bla bla che non serve più.
Scrive Cicco Testa su Il Foflio del 16 11 2021: ” Scandalizzarsi perché l’India abbia chiesto un rallentamento dell’uscita dal carbone è ridicolo. Il 40% dell’energia eletrica nel mondo si produce ancora con il carbone. Anche negli Stati Uniti, dove rappresenta il 25% della produzione elettrica e, seppur in diminuzione, pure in Germania, dove è la prima fonte utilizzata. Pensare di sostituire il tutto in tempi rapidi solo con l’ausilio delle rinnovabili è una pura illusione”.

Ecco, c’è anche questo da considerare: gli ecologisti insoddisfatti della Cop26 non solo bocciano l’idea di una uscita graduale dal carbone, ma ritengono che l’alternativa debba essere, tutta e subito, basata solo sulle fonti rinnovabili, rifiutando ogni altra tecnologia oggi disponibile per la riduzione della CO2, come il gas e il nucleare. Specie quest’ultimo rappresenta una sorta di tabù, che Tozzi esprime in questi termini:  “E c’è anche la pietra tombale sul fallimento: l’idea che si possa utilizzare l’energia nucleare di nuova generazione a sostituire le fonti fossili. È vero che il nucleare non genera emissioni, ma la nuova generazione non c’è e per costruire una sola centrale ci vogliono dieci anni e più di dieci miliardi di euro: come possa servire in emergenza non si comprende”.

È chiaro che per l’ecologismo radicale l’emergenza è il tutto e subito che Testa (a nostro avviso con una maggiore dose di realismo) chiama pura illusione. Ma è anche chiaro che a questo tipo di pensiero è estranea la consapevolezza che il progresso tecnologico sarà probabilmente la risorsa principale di cui l’umanità potrà disporre per affrontare il complesso problema del surriscaldamento globale.

L’atteggiamento di chi parla di fallimento della politica in realtà mette in luce un problema importante che riguarda il nostro rapporto con la politica. Spesso noi chiediamo alla politica di risolvere problemi che essa da sola non può risolvere. Quello del riscaldamento climatico è un esempio molto evidente. Nessun politico può decidere di arrestare dall’oggi al domani le attività economiche del proprio paese (sia che si tratti di un paese ricco sia, a maggior ragione, che si tratti di un paese povero).

Dalla risoluzione finale della CoP26, firmata all’unanimità da tutti i capi di governo del mondo (e questo va sottolineato) ci giunge una grande lezione di realismo. Se la politica nell’immediato non può dare una risposta risolutiva al surriscaldamento del pianeta può però indicare una direzione da seguire e un cammino da compiere a piccoli passi (non è giusta l’espressione “passettini” usata da Tozzi). Confidando, come ha spiegato in termini chiari e semplici il nostro capo del governo in un suo discorso a Glasgow, nel sostegno che ci può venire, per accelerare il cammino, dalla ricerca scientifica e dalla tecnologia.

È curioso: tutti coloro che parlano di fallimento della CoP26 iniziano il loro discorso premettendo “come era facile prevedere”, mostrando così che anche nel loro ragionamento c’è qualcosa di sensato.

L’immagine in evidenza è tratta da: olxpraca.com
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: ansa.it; caminisulweb.it; lastampa.it

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