Anno nuovo a Betlemme?

Il giornalista Paolo Naso, esperto di tematiche religiose ed interculturali, con un articolo pubblicato sul quotidiano Riforma, ci costringe ad entrare nel nuovo anno tenendo presente un gravissimo problema sociopolitico irrisolto, di così lunga data da parere ormai un “dato di fatto” immodificabile. Si tratta della questione israeliano-palestinese.
Paolo Naso ha insegnato Scienze politiche all’Università La Sapienza di Roma ed è collaboratore di “Riforma”, quotidiano on line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia. Svolge attività di consulenza per diversi istituti pubblici e privati tra cui il Ministero dell’Interno per il quale ha Coordinato il Consiglio per le relazioni con l’islam. Tra le sue numerose pubblicazioni, “Le religioni sono vie di pace. Falso!” Laterza 2019.

Qui di seguito alcuni stralci dell’articolo di Paolo Naso:

La grotta, gli angeli, i pastori, i canti. Ma la consueta iconografia natalizia non cancella la sofferenza che anche in questi giorni si vive a Betlemme, nei territori palestinesi e in Israele. Le città palestinesi sono sempre più “strette” all’interno di aree ritagliate a macchia di leopardo e divise dal “muro” che filtra i flussi dei pochi lavoratori che lavorano in Israele. Difficile muoversi, difficile commerciare, impossibile espatriare. Ormai inattuale ogni accordo di pace strategico, anche nei Territori della Cisgiordania si levano critiche severe alla dirigenza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e aumentano le simpatie per Hamas”.”

In assenza di una politica concreta di cambiamento hanno buon gioco le parole d’ordine militare, quali la guerra e la cancellazione dello stato di Israele. L’articolo sottolinea come “nei giorni scorsi (siamo nel mese di dicembre 2021, n.d.r.), l’arresto da parte della polizia palestinese di alcuni esponenti islamisti ha suscitato violente reazioni nei campi profughi di Dheisheh, Aida e Beit Jibrin. Le tensioni esterne si sommano a quelle interne alla società palestinese, nel quadro di un processo politico sostanzialmente bloccato. Tensioni anche all’interno della storica università palestinese di Bir Zeit, dove si confrontano studenti di opposte fazioni politiche. I numerosi negozianti di Betlemme guardano costernati a questi scontri che rischiano di allontanare di nuovo i pellegrini e quindi di ridurre drasticamente le entrate di un intero anno di lavoro. 

La crescita dell’estremismo arabo è un problema che riguarda da vicino anche noi e tutti i popolidel Mediterraneo. Purtroppo, la situazione è particolarmente incerta e problematica dalla parte di Israele:
il governo Lapid-Bennett, quello che dopo anni è riuscito a mettere all’opposizione Benjamin Netanyahu, poggia su una risicata maggioranza ed è composto da ben otto partiti che vanno dalla destra nazionalista all’estrema sinistra e, per la prima volta, comprendono un partito arabo-israeliano. Più che di soluzione del conflitto, negli ambienti governativi israeliani si parla di “gestione” della crisi, riconoscendo implicitamente che non è questo il momento dei passi coraggiosi o impegnativi. Gli attentati sono nettamente diminuiti ma il terrorismo è ancora in campo.”

Quali prospettive immediate si possono intravvedere? Secondo l’articolo per i due contendentila pace può aspettare:

“È lo stesso principio guida dei “due popoli e due stati” – architrave degli accordi di Oslo del 1993 – che oggi viene messo in discussione, da una parte e dall’altra. È troppo per quegli israeliani che coltivano il sogno della “Grande Israele”, troppo poco per i palestinesi il cui territorio è irreversibilmente attraversato e frammentato da insediamenti che ne spezzano la continuità. Aumentano allora i fautori della formula “uno stato per due popoli”, progetto di uno stato binazionale, oggi irrealistico eppure plausibile: attualmente, del resto, il 20% della popolazione d’Israele è già composto da “arabi israeliani” e, sia tra i palestinesi sia tra gli israeliani, cresce il numero di coloro che hanno capito che il futuro degli uni è strettamente connesso a quello degli altri.

Per quanto riguarda la presenza cristiana, possibile mediatrice tra le altre due religioni monoteiste, si segnala che la comunità cristiana palestinese si fa sempre più esigua:

Il declino è particolarmente rilevante proprio nell’area di Betlemme: a Beit Jala, la maggioranza cristiana è scesa dal 99 al 61% dei residenti. A Beit Sahour – il campo dei pastori del racconto evangelico – dall’81 al 65%; se un decennio fa i cristiani di Betlemme ammontavano all’84% della popolazione, ora non superano il 22…Lo scenario di una Terrasanta – termine certamente suggestivo ma fuorviante – senza i cristiani è sempre più realistico. Ma se la causa remota di questo esodo è negli effetti di un conflitto che dopo le speranze suscitate dall’accordo di pace firmato nel 1993 si è avvitato su sé stesso, è doveroso considerare anche altri fattori.

Il giornalista rimarca come i cristiani di Palestina hanno avuto un accesso facilitato ai gradi di istruzione più alti e quindi migliori opportunità di lavoro all’estero; in secondo luogo, le comunità cattoliche e protestanti hanno stretti legami con paesi esteri che possono facilitare i progetti migratori; in terzo luogo, c’è la realtà di un paese che, oltre che segregato dalle politiche israeliane, è sempre più corrotto. Un recente sondaggio l’82% dei cristiani palestinesi denuncia una corruzione endemica.

“Per qualche giorno Betlemme e la Cisgiordania saranno illuminate dalle luci del Natale che poi si spegneranno. Eppure, sarebbe quello il momento di accendere i riflettori su una crisi dimenticata, sui diritti negati, sulle violenze di una terra che sta perdendo una comunità di credenti che, insieme ad altre, ha pieno titolo per identificarsi con essa.

L’immagine in evidenza è tratta da: wikipedia.org
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: ticinolive.ch; saraesploratrice.it; nena-news.it; informazione.it

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