Una dittatura senza bisogno di aggettivi

La giornalista russa Anna Zafesova, nota cremlinologa, ha scritto un articolo, pubblicato sul quotidiano online Linkiesta, per denunciare la “trasformazione definitiva della Russia da un autoritarismo più o meno soft a una dittatura senza aggettivi”. La Russia di Putin non è più un “autoritarismo informativo”, come l’aveva definita una decina di anni fa Sergey Guriev (direttore degli studi economici a Sciences Po). Ovvero, non è più “un sistema che conserva i riti formali di una democrazia, cercando legittimazione in conferme elettorali il cui risultato viene garantito dal controllo ferreo del sistema mediatico e dalla creazione di narrazioni prima ancora che dalla repressione”.  

Dice Anna Zafesova: “Dall’arresto di Alexei Navalny al suo ritorno in patria dopo il tentativo di avvelenamento, il 17 gennaio 2021, la Russia ha compiuto un’involuzione antidemocratica di una rapidità sconvolgente: in meno di un anno, votare, manifestare in piazza e protestare attraverso i media è diventato da difficile che era quasi impossibile. Una retromarcia brusca e brutale, che l’Occidente ha osservato costernato e impotente”.

Il ciclo politico iniziato nel 2020 con la riscrittura della Costituzione per permettere a Putin di ricandidarsi per altri due mandati fino al 2036 si è concluso con le elezioni alla Duma del settembre 2021.

Queste elezioni “hanno mostrato che, in una situazione in cui la realtà virtuale creata dalla propaganda essenzialmente televisiva non riesce più a garantire un consenso maggioritario, la ricerca di una legittimazione elettorale viene abbandonata”: “I meccanismi di controllo del voto – come la presenza di osservatori internazionali e le videocamere nei seggi – sono stati smantellati, gli scrutatori indipendenti e i giornalisti sono stati cacciati, spesso con l’aiuto della polizia, e alle tecniche di brogli già collaudate si è aggiunto il voto elettronico, che ha assegnato la vittoria al partito governativo Russia Unita perfino nelle circoscrizioni più ribelli di Mosca e Pietroburgo. Ma il vero filtro è stato posizionato all’ingresso della competizione elettorale: praticamente tutti i candidati dell’opposizione liberale sono stati esclusi dalla corsa, o perché arrestati e/o incriminati, o semplicemente perché bollati come “estremisti”, in base alla nuova legge che priva del diritto a presentarsi alle elezioni chiunque abbia partecipato alle attività delle organizzazioni di Alexei Navalny, anche soltanto con una donazione o un repost sui social”.

E l’Occidente, come dice  Anna Zafesova, ha assistito a tutto ciò “costernato e impotente”: “perfino gli ambienti politici più tolleranti dell’Europa sembrano ormai aver archiviato ogni progetto di dialogo con il Cremlino, se non su dossier pratici come le forniture di gas, e senza troppe speranze in un compromesso”.

Le conclusioni della Zafesova sono piuttosto amare: quello di Putin è ormai un regime personalistico che si dedica sostanzialmente all’autoconservazione. “La sua ideologia, con numerosi punti di contatto con quella del sovranismo europeo, è troppo fragile e arretrata per poter diventare un’alternativa all’invecchiamento strutturale, culturare e demografico della Russia”. “Oggi più della metà degli under 24 russi dichiara di voler emigrare da un Paese che si aggrappa sempre di più al passato, nella paura di un futuro che si avvicina inesorabile”.

L’immagine in evidenza è tratta da: linkiesta.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: rsi.ch; lastampa.it

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