Le carceri italiane: un buco nero dei diritti umani

Sul pestaggio dei detenuti da parte di 50 agenti della polizia penitenziaria, avvenuto il 6 aprile 2020 a Santa Maria Capua Vetere (ma le immagini che documentano il fatto sono state rese note nei giorni scorsi), la neo ministra della giustizia Marta Cartabia ha dichiarato: “Davanti a quelle immagi, un nodo alla gola. E il pensiero della Costituzione calpestata”.
Certamente meglio (ma ci voleva poco) del suo predecessore, il ministro grillino Bonafede, che a suo tempo definì l’accaduto “una doverosa azione di ripristino della legalità”. E certamente meglio di Salvini e Meloni che, dopo le condanne unanimi espresse da tutte le forze politiche, hanno sentito il bisogno di esprimere solidarietà alla polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere.

Ma se davvero non vogliamo liquidare l’accaduto come fa Salvini (e non è il solo) dicendo che si tratta di alcune mele marce e che non si deve generalizzare, allora bisogna prendere atto che quanto è avvenuto in quel carcere è rivelatore di un problema molto più grande e generale riguardo lo stato del nostro sistema penitenziario, il modo in cui è concepito e il modo in cui è gestito.

L’Europa ogni tanto prova a ricordarcelo. Più di una volta la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per “trattamento inumano e degradante” di persone detenute nelle nostre carceri.

La questione, nella sua abnorme dimensione, politica e umana, è stata posta, chiamando l’intera classe dirigente del Paese alle proprie responsabilità, dal giornalista Carmelo Palma sul quotidiano online Linkiesta del 2 luglio scorso.

La verità non mediatica e non mediatizzabile – dice Palma- “non è quella di un caso di gravissima violazione delle leggi e della Costituzione, ma della deliberata esclusione della galera dal perimetro dello Stato di diritto: esclusione che sta ai fatti di Santa Maria Capua Vetere come una causa sta a un effetto e che è stata consacrata da una serie di scelte politiche, legislative e amministrative rigorosamente bipartisan, malgrado l’evidenza della assoluta non compatibilità delle carceri italiane con la loro funzione costituzionale”.


“Ad approfondire la questione, che le violenze nel carcere campano rischiano di occultare, anziché illuminare, si dovrebbe concludere che la vita interna della galera (con livelli più o meno efferati di ferocia) rispecchia perfettamente la funzione esterna della detenzione non come forma di esecuzione della pena, ma come mezzo di esclusione del reprobo dai benefici della vita civile. La galera è nel patto socialmente condiviso la discarica dell’ostracismo e dell’odio politico, in cui stoccare come rifiuti tossici persone che nella percezione comune sono totalmente disumanizzate (e quindi prive di diritti umani), pure concrezioni o simulacri di un male da cui difendersi a ogni costo: in primo luogo, ovviamente, ‘buttando la chiave’”.

“Anche la discussione, che pure va fatta, sulla diffusione di una subcultura della violenza e dell’oltraggio nella polizia penitenziaria dovrebbe riguardare la natura strutturale e funzionale della galera per quello che è e che invece dovrebbe essere. Ha ben poco senso chiedersi quante e dove siano le “mele marce” in un cesto che, di suo, produce marciume.
È troppo semplice prendersela con Salvini e con la sua difesa delle violenze in divisa, senza ammettere che le carceri italiane sono ogni minuto, di ogni giorno, di ogni anno delle vere e proprie istituzioni fuorilegge e che non c’è praticamente politico (tranne i radicali) che non abbia giustificato in qualche modo la necessità che la galera rimanga un buco nero dei diritti umani”.

Qui per leggere il testo di Carmelo Palma nella sua interezza.

L’immagine in evidenza è tratta da: cronachedellacampania.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: ilpost.it; ildubbio.news; ilriformista.it; blogdelgabbiano.com

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