Guerra e Pace

Guerra o Pace. È il titolo della Rassegna Stampa del Corriere Della Sera di giovedì 19 maggio,
una newsletter nella quale la giornalista Elena Tebano ha raccontato di una discussione “pacata e ragionevole” fra due scrittrici tedesche: una contraria a consegnare armi pesanti all’Ucraina e una invece favorevole al sostegno militare al Paese aggredito. Una discussione – dice la giornalista – “utile per i sostenitori di entrambe le posizioni e forse per scoprire che ce n’è una terza migliore”.

Verso la fine di aprile, la scrittrice Juli Zeh insieme ad altri intellettuali tedeschi aveva scritto una lettera aperta al cancelliere Olaf Scholz per chiedere di non consegnare altre armi pesanti all’Ucraina, sollevando dubbi sulla scelta del popolo ucraino di sacrificare ancora vite nella guerra di difesa contro l’invasione russa. Zeh e gli altri firmatari hanno scritto che «la consegna di grandi quantità di armi pesanti potrebbe rendere la Germania stessa parte della guerra. Un contrattacco russo potrebbe far scattare il caso di mutua assistenza previsto dal Trattato Nato e quindi il pericolo immediato di una guerra mondiale» e che «la resistenza giustificata contro un aggressore a un certo punto è insopportabilmente sproporzionata».

Successivamente il settimanale Zeit ha invitato la scrittrice Juli Zeh ad un confronto sull’argomento con un’altra scrittrice tedesca, la drammaturga Thea Dorn, che invece è favorevole a mandare armi all’Ucraina. Thea Dorn ha rimproverato alla Zeh di voler «subordinare l’obiettivo di rimanere un Paese indipendente e democraticamente costituito all’obiettivo di salvare il maggior numero possibile di vite ucraine», in contraddizione con se stessa perché durante la pandemia Zeh aveva affermato che «la pura sopravvivenza non può prevalere sulle condizioni che rendono una vita degna di essere vissuta».

Juli Zeh ha replicato che «voler sconfiggere Putin ad ogni costo è un obiettivo sbagliato», perché «Il rischio è quello di un’escalation che porti alla guerra atomica, cioè al punto di non ritorno». È rimasta della sua opinione – dice Elena Tebano – “anche di fronte all’obiezione di Dorn che accettare di sottomettere gli ucraini a un «dittatore che minaccia l’intera Europa con la sua aggressività» in nome del male minore è immorale, perché lede i principi fondanti della democrazia occidentale”. Per la Zeh «un mondo giusto non è mai esistito … Il destino ci costringe a scendere a compromessi. Le dinamiche belliche sono imprevedibili, per questo è necessario … scongiurare il rischio acuto di escalation nel breve termine e perseguire i nostri obiettivi nel medio termine con misure non militari».

Insomma –dice la Tebano – “di fronte a questa guerra due paure diverse: Dorn, nonostante tema una guerra atomica teme ancora di più «un mondo in cui sia finita la fiducia nell’ideale che l’uomo debba vivere nel modo più libero e autodeterminato possibile». Zeh invece pensa che «evitare una catastrofe globale deve rimanere l’obiettivo primario» in modo da scongiurare «una rottura totale della civiltà». Mentre una guerra atomica sarebbe la fine di tutto, non crede che succederebbe la stessa cosa se si lasciasse alla Russia una parte dell’Ucraina. E dice a Dorn: «Il percorso fondamentale verso un mondo di crescente libertà per il maggior numero possibile di persone continuerà. L’invasione di Putin è un terribile anacronismo che non deve scuotere i nostri ideali».

La discussione tra le due scrittrici – commenta alla fine Elena Tebano – ha il merito di mettere a nudo in modo pacato e rispettoso le ragioni di due atteggiamenti opposti nei confronti del conflitto ucraino. Ma – conclude – “forse la risposta giusta sta nella terza via, e assomiglia molto alla posizione espressa nelle ultime settimane dal premier italiano Mario Draghi. E cioè una ferma opposizione all’invasione russa, senza che questa si traduca nella volontà di schiacciare la Russia manifestata dal loro nemico storico, gli Stati Uniti. Ma al contrario facendo in modo di lasciare a Mosca una via d’uscita, in modo che Putin non debba scegliere tra la sopravvivenza del suo regime e quella dell’Europa (semplicemente perché dispone dell’arsenale nucleare più grande del mondo e se dovesse scegliere tra la propria fine e quella dei “nemici” difficilmente sceglierebbe la prima). Anche per questo ora che la Russia ha ottenuto quello che diceva di voler ottenere sul campo (Mariupol) è importante insistere sulle sanzioni economiche il più possibile. E legarle alla possibilità di trovare un’intesa per la pace”.

Dunque la giornalista del Corriere parla di una terza via, che a suo parere potrebbe essere “la risposta giusta”, facendola risalire alla posizione del nostro presidente del Consiglio.

A parte il fatto che Draghi ha sempre manifestato totale accordo con la linea espressa dalla Nato e dal presidente Biden, la terza via della Tebano, più che alla posizione di Draghi, assomiglia molto alla posizione della scrittrice Juli Zeh: non bisogna contrastare più di tanto gli invasori, perché hanno le armi atomiche e potrebbero usarle (un modo come un altro per dire che l’Ucraina deve recedere dall’idea di difendere tutto il proprio territorio, perché insomma è questa idea di difesa che allontana la pace), si conceda ai russi la parte dell’Ucraina che hanno già occupato (come Mariupol) e si insista piuttosto sulle sanzioni economiche come minaccia per trovare un’intesa per la pace. Le sanzioni, è vero, sono un costo anche per gli europei ma un costo, questo, che “possiamo pagare, a differenza di una guerra nucleare”.

Questa posizione (che in realtà non ha nulla a che vedere con la posizione espressa dal presidente Draghi) va per la maggiore nel nostro Paese e/perché dilaga in gran parte dei talk show televisivi come nelle chiacchiere sui social ed è sostenuta da alcune delle principali forze politiche.

A noi sembra che in posizioni come quelle espresse dalla scrittrice tedesca Juli Zeh e dalla giornalista italiana Elena Tebano manchino o non siano tenute nel giusto conto alcune considerazioni di fondo.

La prima riguarda ciò che noi sappiamo sulle reali intenzioni di Putin. E dobbiamo ammettere che le conosciamo molto poco. Del resto, proprio per non farle conoscere Putin ha evitato di fare una formale dichiarazione di guerra all’Ucraina, limitandosi a dire di voler compiere una “operazione speciale” per denazificare il Donbass, la regione nel sud dell’Ucraina popolata prevalentemente da russofoni, a suo dire vittime di discriminazioni e maltrattamenti. Ma in realtà ha subito schierato un esercito imponente lungo la frontiera nord, nei pressi di Kiev, tentando di prendere la capitale ed eliminare il presidente Zelenshy. Non gli è andata bene, ma intanto ha bombardato e distrutto città e villaggi che con la denazificazione non c’entravano nulla. Poi ha iniziato una lenta e costante penetrazione partendo da sud, dalle regioni autonomiste Donec’k e Lugans’k filorusse, e ora avanza usando la stessa strategia già usata nella guerra in Siria: mettendo in atto una sistematica distruzione di tutto ciò che incontra: case, strade, scuole, ospedali, fabbriche e strutture di ogni tipo.

Ad oggi, l’esercito di Putin ha già occupato un territorio molto vasto, tutto il sud dell’Ucraina e parte del centro. Per intenderci, un territorio più grande dell’Italia e molto ricco: di moderne industrie, di tecnologia avanzata, di ingenti risorse del sottosuolo, di enormi risorse agricole, di posizioni geopolitiche strategiche. Tutte cose che farebbero molto comodo ad un impero economicamente arretrato come attualmente è la Russia di Putin (con un PIL inferiore a quello dell’Italia ma una popolazione tre volte tanto).
Putin sa che tutto il ben di Dio che si trova nel sud dell’Ucraina non potrebbe ottenerlo in un tavolo negoziale. Perciò non ha mai accettato nessuna delle tante richieste avanzate (da Zelensky, da Macron, da Draghi, ecc.) di fermare la guerra e sedersi a trattare. In nessuna trattativa potrebbe ottenere tutto ciò che vuole. Né d’altra parte l’Ucraina potrebbe fare a meno di tutto ciò che il sud costituisce per la vita dell’intero Paese, sarebbe un suicidio economico e politico. Potrebbe cedere qualcosa, certo. Ma  Putin non è disposto ad accettare qualcosa. Lui, come abbiamo detto, già controllava  due porzioni del Donbass e aveva annesso tutta la Crimea.

Quindi l’ipotesi che Putin voglia conquistare e sottomettere tutta l’Ucraina non è una semplice fantasia di Zelensky, è una ipotesi supportata dai fatti. Ed è il motivo per cui gli ucraini sono sempre più convinti che a loro (per la sopravvivenza del loro Paese) resta una sola alternativa: resistere e sconfiggere Putin.

La tesi espressa dalla scrittrice Zeh (“la resistenza giustificata contro un aggressore a un certo punto è insopportabilmente sproporzionata”), alla prova dei fatti, mostra di essere nulla di più che una affermazione sgangherata. Se gli ucraini non continuassero ad opporre resistenza (con le armi fornitegli dall’Occidente) in pochi giorni Putin farebbe dell’Ucraina una semplice provincia del suo  già vasto impero. Possiamo anche essere indifferenti a questo, perché contano di più le nostre paure e le nostre preoccupazioni, però bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di dirlo esplicitamente, senza discettare di terze vie che non esistono.

E le paure e le preoccupazioni degli ucraini? Sappiamo quali sono e da cosa derivano? Nessuno ne parla, perché conosciamo poco la loro storia.  Gli ucraini hanno già subito una immane tragedia (che alcuni storici hanno definito “un tentativo di genocidio”) inflitta proprio dalla Russia, all’epoca della dittatura comunista (ne abbiamo parlato in un altro articolo). Allora gli ucraini non hanno potuto e saputo opporre resistenza ai criminali inviati da Mosca. Risultato: uno sterminio che ha prodotto quattro milioni di morti, di cui  due milioni bambini. È ovvio che cose così  pesano nella cultura di un popolo e lo rendono determinato a resistere.

Insomma, una riflessione alla luce di quanto realmente accade andrebbe fatta sul grande mantra tanto agitato dai pacifisti come via alternativa alla resistenza armata, ovvero la via delle sanzioni.

Bisogna intanto ricordare che un’arte nella quale Putin eccelle è quella di inventare pretesti. Per avviare la terribile guerra ora in corso, come sappiamo, Putin ha usato il pretesto della denazificazione di un Paese che ha un presidente ebreo e dove, a parte qualche deprecabile svastica tatuata sul corpo di qualche giovanotto del battaglione Azov, non vi è traccia alcuna di discriminazione nei confronti degli ebrei (i membri della comunità ebraica di Kiev, intervistati da Remy Ourdan, inviato di Le Monde, hanno all’unisono definito l’invasione russa come “assurda”, risultato di un “alto grado di inversione della realtà e di disonestà intellettuale” da parte del suo artefice).

È difficile trovare un caso, nella storia, in cui le sanzioni si siano rivelate decisive per risolvere un conflitto. Ciò naturalmente non vuol dire che questa via non vada mai praticata o che non possa avere alcun effetto. Ma nel caso del conflitto in corso quella delle sanzioni viene spesso esaltata come l’unica via per evitare conseguenze drammatiche per la vita delle persone e, soprattutto, per evitare che si generino pretesti che potrebbero scatenare una guerra nucleare.

C’è poi un altro dato di fatto di cui tener conto ed è che dopo l’invasione dell’Ucraina le sanzioni, economiche e politiche, sono state la prima reazione messa in atto dall’Occidente, ancora prima dell’invio di armi agli ucraini. E sono state tra le più dure praticate nella storia. Si potrebbero applicare sanzioni ancora più dure, certo. Ma a quel punto chi potrebbe escludere che la durezza delle sanzioni non verrebbe presa a pretesto per innescare una escaletion del conflitto e giungere ad una nuova minaccia di guerra atomica.

Non solo non sono mai state un’arma decisiva, quasi sempre le sanzioni hanno prodotto grossi danni economici anche a chi le ha comminate e l’effetto di aumentare il consenso nei confronti dei leader dei paesi che le sanzioni le hanno subite. Sta succedendo così anche questa volta.

A questo riguardo, una notizia molto recente diffusa da tutti gli organi di stampa è che il rublo è tornato ai livelli di prima dell’inizio della guerra e il presidente Putin ha presentato la forza del rublo come prova della resistenza del Paese alle sanzioni occidentali, affermando: “siamo diventati più forti grazie alle sanzioni”.

 Naturalmente c’è della propaganda nelle affermazioni di Putin, ma dietro le sue affermazioni ci sono anche dei fatti da considerare attentamente. Il principale dei quali è il seguente: l’invasione dell’Ucraina non è un evento improvvisato e isolato, rientra ini una strategia che vede impegnate la Russia e la Cina (ma non solo) nella costruzione di un sistema di relazioni politiche economiche e finanziarie alternativo a quello occidentale guidato dagli Usa. Come riporta l’agenzia adncronos del 28 maggio, in una dichiarazione fatta al Forum economico euroasiatico di Bishek, Putin ha parlato di opposizione al gendarme mondiale: “Ci sono sempre più Paesi nel mondo che vogliono perseguire una politica indipendente. E nessun gendarme mondiale sarà in grado di fermare questo processo globale naturale, non ci saranno forze sufficienti”, ha dichiarato, senza citare esplicitamente gli Stati Uniti.

In un quadro generale di questo tipo, pensare che le sanzioni siano la via principale per risolvere il conflitto è semplicemente ingenuo (naturalmente scartando l’ipotesi che sostenere teorie sgangherate faccia parte di una scelta politico-ideologica, quella di essere favorevoli all’attacco che Russia e Cina si stanno preparando a condurre contro le democrazie occidentali).

L’immagine in evidenza è tratta da: newsprima.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: ilpost.it; rainews.it; rainews24.it; vocetempo.it; civicolab.it: youtube.com: ilriformista.it

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.