Vittime collaterali

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha causato e continua a causare migliaia di morti e feriti tra i civili nonché la distruzione, spesso totale, di intere città e villaggi. I così detti “effetti  collaterali”, che tanto pesantemente stanno colpendo persone e cose, non risparmiano neppure gli animali.

Ad esempio, nella newsletter del Corriere Della Sera dedicata a ‘Clima e ambiente’ dell’11 maggio scorso, il giornalista Edoardo Vigna ci ha informato che in questi  giorni, nel Mar Nero, è improvvisamente aumentato il numero di delfini spiaggiati. La loro morte – scrive  – “è probabilmente dovuta all’aumento delle attività delle navi da guerra, principalmente russe, che hanno mandato in tilt i cetacei spingendoli verso le coste turche e bulgare, dove sono anche finiti nelle reti in un numero sorprendentemente alto. Dall’inizio del conflitto, almeno ottanta delfini hanno fatto questa fine. «Non abbiamo la prova che il trauma acustico possa essere la causa», ha detto Bayram Ozturk, capo della Turkish marine research foundation. Le navi militari però normalmente usano il sonar per individuare sottomarini, quindi è possibile che abbia interferito con i sistemi di comunicazione di questi mammiferi acquatici, disorientandoli”.

Certo – precisa Vigna –  “danni collaterali di una guerra che sta portando morte alle popolazioni e distruzione all’Ucraina da più di due mesi”. Poi cita Plutarco:  «Al delfino soltanto la natura ha dato quello che i migliori filosofi cercano: amicizia senza nessun vantaggio. Questo animale, infatti, non ha bisogno di ricevere nulla dagli umani e, dal canto suo, nei confronti di tutti gli uomini mostra la sua benevolenza e amicizia, e molte persone ha soccorso in passato». Diciamo pure – conclude il giornalista del Corsera – che essere amico degli umani gli ha portato peggio che nessun vantaggio”.

Tra gli animali vittime collaterali di questa guerra abbondano i cani. La Stampa del 15 aprile così titolava un articolo di Fulvio Cerutti e Chiara Grasso: “La strage dei cani nella guerra Russia-Ucraina: feriti dalle bombe, uccisi con i loro padroni, ma anche mangiati dai soldati”.

“In strada – scrivono gli autori – non sono stati trovati solo i cadaveri dei civili inermi, ma anche molti cani uccisi dalle truppe russe. Spesso vittime di violenze che diventano quasi un ‘gioco’, una forma di intrattenimento per giovani soldati che vedono in loro delle vittime ideali: i cani non solo non sono consapevoli di trovarsi di fronte ai loro carnefici, ma, come i civili, sono totalmente indifesi. E così i cani, come gli animali da fattoria o degli zoo, sono stati uccisi dai bombardamenti, dalle granate o dai colpi dei fucili”.


“E poi ancora altro orrore che si diffonde sui social: Anton Geraschenko, consigliere del ministero dell’Interno di Kiev, ha diffuso le agghiaccianti immagini provenienti dalla zona di Vorzel: su una scala improvvisata con delle assi di legno c’erano le zampe inchiodate di un cane. Accanto una borsa con i resti dell’animale: mangiato, dicono le fonti locali, dai soldati russi ormai privi di razioni militari con cui sfamarsi. Non un episodio isolato: in alcune intercettazioni audio si sente un soldato russo che racconta a un incredulo interlocutore, forse un parente, di essersi nutrito mangiando un cane.

L’uccisione dei cani da parte dei russi rappresenta un attacco al Paese perché, come per i monumenti storici e i beni culturali, sono qualcosa di prezioso per l’identità valoriale delle persone che lo abitano: uccidere quell’animale, che non rappresenta una reale minaccia, diventa un modo per distruggere un simbolo di una quotidianità felice. Quella quotidianità che migliaia di profughi, in fuga dalla guerra, hanno voluto portare al sicuro con loro. E così le immagini dell’esodo degli ucraini con i cani al guinzaglio, con i gatti nei trasportini, hanno fatto il giro del mondo”.

Ma non tutti gli animali hanno avuto la fortuna di essere portati lontano dai loro proprietari in fuga. Non l’hanno avuta, ad esempio, gli animali ospitati negli zoo che sono stati bombardati. Secondo notizie riportate dal quotidiano La Stampa del 5 aprile, gli animali dell’Ecoparco di Kharkiv, distrutto dagli attacchi russi, “tigri, leoni e orsi sembravano essere destinati a essere soppressi”, non essendoci un posto dove mandarli. Poi, per fortuna, un posto è stato trovato.

Non è invece andata altrettanto bene agli animali ospitati nello zoo per bambini di Yasnohorodka, nella periferia di Kiev:  “nel bioparco, mentre alcuni animali sono morti di fame e altri sono stati attaccati dai cani randagi, alcuni, come riporta il Daily Star, sembrano essere stati usati come ‘tiro al bersaglio’ dalle truppe russe. Alcuni struzzi sembrano essere stati perfino decapitati per divertimento. Akim Akimenko, proprietario dello Yasnohorodka Eco Park, ha detto all’emittente locale MyKiev: ‘Il nostro zoo è quasi interamente distrutto. Abbiamo grandi difficoltà a nutrire e mantenere gli animali. Stiamo cercando di evacuarli e chiediamo aiuto per organizzare un corridoio di evacuazione’.”

Ma proprio dagli animali, tuttavia, arrivano agli umani i primi segnali di speranza. A portarli, in una Ucraina semidistrutta, sono state le cicogne. Già, perché – come si legge nella newsletter Il Punto del Corriere Della Sera dell’11 maggio – “in Ucraina questa sarebbe la stagione delle cicogne. I mesi migliori per i bird-watcher, nella parte centrale e occidentale del Paese (pochi nidi in Crimea e Donbass). Stanno tornando: nessuno le ha avvertite della guerra, ma se fosse una favola qualcuno direbbe che tornano proprio per questo, per portare un filo di pace. Cresceranno i piccoli tra le macerie, come del resto fanno molti umani”.

L’inviata di guerra Marta Serafini fa questa cronaca dell’evento: “A Novofontanka, quest’anno, le cicogne sono arrivate in anticipo, dopo che se ne sono andati i russi. E ora, quasi ogni casa, cascina, casolare, ha il suo nido. Grande, bello e accogliente come quelli che fanno le cicogne. … il loro nido è grande più di 1 metro e la femmina depone in media 3-4 uova, che vengono covate per 35 giorni da entrambi i genitori. Dopo la schiusa, sia il maschio che la femmina provvedono ad allevare i pulcini che, dopo 70 giorni, imparano a volare. Ecco, dopo una giornata passata tra fosse, corpi, resti di accampamenti militari e racconti di torture e morte (qui il reportage da Novofontanka), ho pensato che fosse un segno di speranza”.

Le immagini nel testo sono tratte, nell’ordine, da: rsi.ch; lastampa.it; lastampa.it; corriere.it

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