La rosa bipartisan

Non è un nuovo ibrido prodotto dal florovivaismo italiano ma l’ibrido che dovrebbe produrre la politica italiana sulla via dell’elezione del nuovo capo dello stato, dopo la rapida sfioritura della rosellina di nomi prodotta da Salvini costituita, a suo parere, di petali profumatissimi (Marcello Pera, Carlo Nordio e Letizia Moratti) che avrebbero dovuto inebriare il centrosinistra e portare in tempi brevi ad una scelta condivisa del presidente della Repubblica, ma che ha prodotto solo il fatto che quei candidati sono stati “bruciati”.

Non è un caso che nella rosa salviniana non ci fosse il nome dell’attuale presidente del Consiglio. La motivazione che per il centrodestra il posto giusto per Draghi sia alla guida del governo (in sé e per sé una buona motivazione) non è credibile, visto che uno dei principali componenti della coalizione di centrodestra, Fratelli d’Italia, ha sempre sostenuto che quello guidato da Draghi è un pessimo governo e va quanto prima mandato a casa (questo invece la componente guidata da Salvini non lo dice, anche se lo pensa).

Con il prematuro appassirsi della sua rosa, Salvini ha dovuto riconoscere suo malgrado una cosa che sta scritta nei fatti ma che lui e l’intero centrodestra si ostinano a negare: il centrodestra non è maggioranza in questo parlamento e, al di là della narrazione che viene fatta, non è maggioranza neppure nell’opinione pubblica di questo Paese, come mostrano tutti i più recenti sondaggi (ad esempio, per Euromedia Research: Centrodestra 47,1%, Centrosinistra 50,3%). E quindi non può produrre rose e fiori che gli altri si devono limitare a cogliere. O meglio, può farlo ma non serve a niente.

Che cosa è avvenuto nelle aule del parlamento italiano nei giorni scorsi e cosa potrebbe/dovrebbe avvenire nei prossimi giorni lo racconta molto bene, con parole semplici e chiare, il direttore del quotidiano La Repubblica Maurizio Molinari nell’introduzione alla newsletter con la quale da il buongiorno agli abbonati del suo giornale:

dopo tre scrutini andati a vuoto e alla vigilia di quello odierno, il quarto, momento in cui, da qui in avanti, sarà possibile eleggere il capo dello Stato con la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto (vale a dire 505 voti) e non più con una maggioranza qualificata, la sfida per il Quirinale conosce un suo primo momento decisivo. Come titoliamo nella nostra apertura, Matteo Salvini, dopo aver bruciato nei giorni scorsi ben cinque nomi di parte (Pera, Nordio, Moratti, Casellati e Frattini), vede implodere il centrodestra e per questo rinuncia alla spallata. E decide per questo di definire con Letta e Conte una rosa bipartisan di candidati su cui, da oggi, comincerà un confronto tra i due schieramenti. Si tratta di una lista di nomi in cui figurano, con Draghi e Casini, Giuliano Amato, Elisabetta Belloni, Marta Cartabia e Sabino Cassese. Tra questi, sarà scelto il nuovo capo dello Stato che, se si deve stare alle previsioni di Letta, potrebbe essere eletto, salvo sorprese, nello scrutinio di domani, lasciando che anche quello odierno vada a vuoto.

Per “condividere”, insomma, la strada maestra non è quella imboccata da Salvini e tutto il centrodestra (salvo qualche voce isolata come quella di Maurizio Lupi). È, semplicemente: mettersi intorno a un tavolo, tutti quanti, e prima di ragionare su dei nomi (e/o di cosa fa più comodo a questo o quel partito) ragionare su cosa oggi serve al Paese e, quindi, produrre l’ibrido (la rosa ottenuta da un incrocio) che può aiutarci non solo ad avere un nuovo presidente della Repubblica (di persone degne di svolgere questo compito per fortuna ce ne sono ancora) ma a costruire una strategia politica seria e realmente condivisa per condurre il nostro Paese fuori dalla lista dei paesi in declino dell’Europa (a questo servono i molti denari messici a disposizione dall’Unione e che i vari partiti, per rincorrere le proprie convenienze, rischiano di sprecare). Un appuntamento che non possiamo mancare. Fare presto, prego.

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