rassegna stampa – 11 01 2022

Dai giornali dei giorni scorsi, temi e notizie che richiamiamo all’attenzione


IL FOGLIO, i costi economici e sociali che potrebbero essere evitati vaccinandosi
THE ECONOMIST, la classifica dei Paesi che hanno fatto meglio durante la pandemia 
CORRIERE DELLA SERA, l’Italia, un Paese refrattario al cambiamento
LA REPUBBLICA, LINKIESTA, energia nucleare per salvare il pianeta

IL FOGLIO
Costi economici e sociali che potrebbero essere evitati vaccinandosi

Il direttore del quotidiano Il Foglio, Claudio Cerasa, con un editoriale pubblicato il 06 01 2022, condivide l’atteggiamento espresso in una recente intervista dal presidente francese Macron nei confronti dei no-vax: smetterla di essere tolleranti con i non vaccinati.  Perché, dice, ci si è provato in mille modi per convincerli che l’unica alternativa per il bene proprio e quello dell’intera comunità è vaccinarsi. “Ci si è provato con la scienza, ci si è provato con la razionalità, ci si è provato con la politica, e anche la scelta di spingere verso l’obbligo le persone più esposte ai rischi del Covid appare come una decisione di puro buon senso”.

Allora è arrivato il momento, all’interno di una strategia come quella suggerita da Macron (“rompere le palle” il più possibile a chi non si è ancora vaccinato) di fare ricorso ad un elemento ulteriore, ancora poco valorizzato. Si tratta di “un aspetto che c’entra poco con la virologia, c’entra poco con la politica e c’entra invece molto con l’economia”. E riguarda ciò  che arriva da una nuova indagine accurata realizzata da Altems, l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari.

l’Altems,  mettendo insieme i dati più recenti sulla pandemia prodotti dall’Istituto superiore di sanità, l’Iss, “ha provato a rispondere a una domanda per così dire scomoda, qual è l’extracosto sostenuto dal servizio sanitario nazionale per assistere le persone non vaccinate che finiscono in ospedale”.

I dati raccolti dicono che “ogni paziente non vaccinato ospedalizzato ha un costo medio pro capite pari a 17.408 euro. In un mese campione il totale dei costi ammonta a 69.894.715 (la stima per gennaio è di circa 80 milioni) di cui 51.166.079 per le ospedalizzazioni in area medica e 18.728.636 per le ospedalizzazioni in terapia intensiva. L’87 per cento dei non vaccinati ospedalizzati non sarebbe ricoverato in area medica se fosse stato sottoposto a vaccinazione. Tra i ricoverati in terapia intensiva non vaccinati, il 92 per cento avrebbe evitato il ricovero in area critica”.

L’indagine Altems ci dice anche che “tra luglio e dicembre del 2021, il costo che i non vaccinati hanno fatto pagare al sistema sanitario si aggira attorno ai 300 milioni. … L’impatto che avrebbe sul Sistema sanitario nazionale una situazione di non vaccinati simile a quella che si ha oggi si aggirerebbe intorno ai 720 milioni di euro.

Calcoli simili sono stati fatti negli Stati Uniti dove i ricercatori,  difronte ai costi da capogiro rilevati si sono chiesti “fino a che punto possa essere accettabile per una società sostenere costi economici che potrebbero essere evitati semplicemente ricevendo un vaccino gratuito e fino a che punto possa essere accettabile per una società sostenere costi indiretti che derivano dalla presenza in un paese di un numero non troppo piccolo di persone non vaccinate la cui scelta oltre ad avere un impatto sul sistema sanitario non indifferente ha anche un impatto su fronti non irrilevanti come possono essere la riapertura delle scuole o la stessa ripresa economica”.

THE ECONOMIST
Quali economie hanno fatto meglio e quali peggio durante la pandemia

L’autorevole settimanale inglese Economist ha raccolto dati relativi ad alcuni indicatori economici e finanziari per valutare come 23 paesi ricchi hanno risposto alla grave recessione del 2020 causata dalla crisi pandemica. Gli indicatori utilizzati sono: il Pil, il reddito familiare pro capite, la performance del mercato azionario, gli investimenti e il debito pubblico. Il quadro complessivo che emerge è positivo ma, tra i vari Paesi, esistono anche profonde differenze. “La pandemia ha creato vincitori e vinti” ed è probabile che le differenze persistano anche nel 2022.

In un articolo del 01 01 2022 l’Economist ha pubblicato una tabella parziale, sia per il numero dei Paesi messi a confronto sia per il numero degli indicatori utilizzati, che comunque mostra la classifica dei 23 Paesi OCSE e quattro dei cinque indicatori economici:
Danimarca, Norvegia e Svezia sono tutte vicine ai primi posti, e anche l’America si è comportata abbastanza bene. Molti grandi Paesi europei, però, come la Gran Bretagna, Germania e Italia, se la sono cavata peggio. La Spagna ha fatto peggio di tutti”.

Il primo indicatore (prima colonna a sinistra), la variazione del PIL nominale dalla fine del 2019, “offre un’istantanea della salute economica”.

Il secondo indicatore, la variazione del reddito familiare pro capite, “dà un’idea di quanto bene hanno fatto le famiglie. Include non solo i guadagni derivanti dal lavoro, ma anche i sussidi dei governi”.

Il terzo indicatore, la performance del mercato azionaria (cioè la variazione dei prezzi delle azioni) “suggerisce la salute delle aziende, così come l’attrattiva di un Paese per gli investitori stranieri”.

Il quarto indicatore, la spesa in conto capitale, “fornisce un indicatore dell’ottimismo delle imprese per il futuro”.

È probabile – conclude l’Economist – che la diffusione della variante Omicron riduca la crescita all’inizio del 2022. “Ma è probabile che la ripresa economica continui nel corso dell’anno. … L’ OCSE prevede che alcuni dei peggiori giocatori inizieranno a recuperare: l’Italia dovrebbe crescere del 4,6% nel 2022, al di sopra della media del club del 3,9%”.

CORRIERE DELLA SERA
L’Italia, un Paese refrattario al cambiamento

Considerando nel suo complesso la manovra economica che è stata da poco varata dal governo Draghi, l’editorialista del Corriere della sera Angelo Panebianco, in un articolo pubblicato il 03 01 2022, fa un quadro piuttosto pessimistico della situazione politica del nostro Paese. Soprattutto lamenta il perdurare di antiche cattive abitudini che rendono l’Italia  impermeabile a qualsiasi reale spinta al cambiamento.

Il governo Draghi rappresenta certamente, tra le altre cose, un tentativo di far uscire  il nostro Paese da un più che ventennale immobilismo . Eppure, se guardiamo alla Legge di Bilancio, vediamo che “grazie agli argini e ai paletti posti dal presidente Mario Draghi e dal ministro dell’Economia Daniele Franco ci sono alcune misure per la crescita. Ma non è stato possibile impedire ai partiti di imporre la solita, massiccia distribuzione di risorse ai loro elettorati di riferimento”.

È un segno, secondo Panebianco, che “al momento, quella vasta ed eterogenea coalizione di interessi che da decenni, condizionandone le scelte, ha condannato il Paese alla stasi e alla decadenza, è ancora assai potente. La combinazione fra una condizione di emergenza e un governo sostenuto da un largo consenso internazionale non è bastata a piegarla”. 

Panebianco, con grande chiarezza, ne delinea i tratti:

È la coalizione che preferisce dissipare ricchezza (sussidi alle imprese improduttive, reddito di cittadinanza, eccetera) piuttosto che favorire la creazione di ricchezza e con essa di nuove opportunità di lavoro. È indifferente al fatto che i giovani abbiano poche possibilità di impiego e che, quando lo trovano, siano condannati — anche i più capaci fra loro — ad accontentarsi di bassi stipendi con poche prospettive di serio miglioramento. Non le importa se le istituzioni educative, a causa del degrado da tempo in atto nella scuola, non sono più in grado di generare, in quantità e qualità sufficienti, il capitale culturale che servirebbe sia alle persone che al Paese. È la coalizione che si nutre delle rendite di posizione alimentate dalle inefficienze dell’amministrazione pubblica centrale, delle istituzioni giudiziarie, e di tante amministrazioni periferiche (si ricordi l’incapacità di certe regioni di approntare piani tecnicamente validi per l’impiego dei fondi europei). Campa di debito pubblico anziché di ricchezza prodotta. È persino pronta a rinunciare ai fondi europei se constata che non potrebbe metterci le mani sopra senza pagare qualche prezzo, senza la cancellazione di qualche piccolo o grande privilegio”.

Naturalmente, dice l’editorialista di Corsera, “c’è anche l’altra Italia, quella delle eccellenze, quella che, nonostante le difficoltà, riesce a generare ricchezza materiale e capitale culturale. È l’Italia che si è sentita più rappresentata dal governo Draghi e alla quale guardano i migliori fra coloro che compongono l’attuale Esecutivo”.

Ma il rapporto di forza tra le due italie resta, immutato, a favore della prima, dell’Italia refrattaria al cambiamento. Complice anche “Un assetto politico-istituzionale che alimenta la frammentazione politica e ove i poteri di veto prevalgono quasi sempre sul potere di decisione”.

Questo quadro generale può avere, naturalmente, ripercussioni immediate sia sulla prospettiva dell’attuale governo (“un logoramento ormai in atto, in anticipo rispetto a quanto si poteva immaginare ancora pochi mesi fa”) sia sulla elezione del presidente della Repubblicanonché sul futuro politico di Mario Draghi. Ci sono due possibilità: Draghi passa al Quirinale ed essendo ancora il suo prestigio intatto potrà condizionare (o almeno ci proverà) scelte e attività di governo e partiti, oppure resta a Palazzo Chigi in un esecutivo che sarà sempre più paralizzato dai veti incrociati e dalla intensificazione della competizione fra i partner della coalizione. Basterebbero pochi mesi su una simile graticola e anche il suo prestigio crollerebbe o comunque si logorerebbe”.

LA REPUBBLICA, LINKIESTA
Energia nucleare per salvare il pianeta

Già durante la Cop26 il problema era emerso con tutta evidenza: il ricorso alle rinnovabili non è sufficiente per giungere entro la metà del secolo a chiudere con il carbone. A meno che nell’elenco delle energie “pulite” non venga inserito anche il nucleare.
Ed è quello che potrebbe accadere in Europa, dove la Commissione di Bruxelles ha in questi giorni avanzato proprio la proposta di considerare anche il nucleare e il gas tra le energie “pulite”, e quindi utilizzabili nelle strategie dei vari Paesi dell’Unione volte a contrastere il riscaldamento climatico.

La consapevolezza che nei tempi brevi la produzione di energia attraverso l’uso di fonti rinnovabili non sarà sufficiente per sostituire tutta quella prodotta attraverso le fonti fossili si sta facendo sempre più strada anche in paesi come la Germania, dove da tempo è in atto un programma per la dismissione degli impianti nucleari. Con un articolo a firma di Tonia Mastrobuoni, il quotidiano La Repubblica del 04 01 2022 titola: “Nucleare, la Germania fa retromarcia”. Nell’articolo si legge: “Nonostante le parole di fuoco del ministro dell’Economia e leader dei Verdi Robert Habeck contro la decisione della Commissione Ue di considerare il nucleare un’energia ‘pulita’, il governo Scholz corregge il tiro. Berlino non chiederà modifiche sostanziali alla bozza di Bruxelles e si asterrà, nel voto al Consiglio sulla classificazione europea delle fonti sostenibili”.

In un altro articolo sul “Ritorno del nucleare”, sempre su La Repubblica del 4 gennaio, Giacomo Talignani scrive: “la questione atomica potrebbe essere anche la più divisiva a livello globale in questi anni. La necessità di decarbonizzare per fermare le emissioni e la crisi climatica, il calo delle risorse naturali e l’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas, unito al complesso sviluppo delle rinnovabili e dei sistemi di stoccaggio, stanno portando diversi Paesi del mondo a riconsiderare l’uso dell’energia nucleare”.

L’articolo fornisce anche dati interessanti sul numero di reattori oggi operanti nel mondo, la loro dislocazione e la tipologia. Oggi, dei 438 reattori operativi (che producono circa 390 Gw, il 10% della produzione mondiale di elettricità) quasi tutti sono di seconda generazione. “Ma fra quindici o vent’anni potrebbero essere pronti da utilizzare quelli di quarta generazione, mentre per la terza avanzata – reattori di pccola taglia – si parla di circa dieci anni per la piena operatività. Rispetto agli attuali quelli d terza offriranno vantaggi in sicurezza: sistemi passivi, senza interventi umani, in casi di incidenti gravi allagano  il nucleo o si spengono evitando problemi. … La quarta generazione utilizza invece l’uranio naturale, non arricchito, e permette un ciclo chiuso: si creano meno rifiuti radioattivi, … quando saranno pronti quelli di quarta generazione l’uranio non si butterà più ma si riutilizzerà come combustibile”. La maggior parte dei reattori in costruzione (55) e in progettazione (109) si trova in Cina e India.

Ma quello del ricorso al nucleare resta ancora un tema divisivo. L’arrivo delle nuove tecnologie, con la progettazione di reattori sempre più sicuri e con meno scorie non ha debellato del tutto il timore suscitato dagli incidenti che si sono verificati in passato, da quello più lontano di Chernobyl a quello più recente di Fukushima.

In un articolo decisamente favorevole al nucleare, pubblicato sul quotidiano online Linkiesta, Enrico Pitzianti affronta il problema in questi termini:

le morti dirette causate dall’incidente di Chernobyl furono 31, quelle indirette non arrivano a 4 mila secondo le stime più credibili. Le morti causate dall’inquinamento atmosferico sono imparagonabili: circa un milione di morti all’anno, da qui al 2100. 

Le micro-particelle presenti nell’aria a causa dell’inquinamento atmosferico hanno un peso determinante sull’incidenza di decine di malattie oncologiche, cardiovascolari e respiratorie. Sono le stime su questi disturbi a far presente che da qui alla fine del secolo ci saranno circa 83 milioni di morti dovuti alle emissioni di inquinanti in atmosfera. Secondo Daniel Bressler, uno degli scienziati ad aver collaborato a produrre queste stime, potremmo avere solo un decimo dei morti se solo riuscissimo a portare a zero le emissioni entro e non oltre il 2050. 

Anche Bill Gates, il famoso imprenditore e miliardario statunitense, è convinto che il riscaldamento globale sia un problema che stiamo, collettivamente, sottovalutando. Ed è anche sicuro che il nucleare potrebbe dare un’importante mano a risolverlo”.

L’immagine in evidenza è tratta da: conoscimilano.t
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: bologna.repubblica.it; metronews.it; fanpge.it; liberoqoutidiano.it

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