rassegna stampa – 01 11 2021

Dai giornali dei giorni scorsi, temi e notizie che richiamiamo all’attenzione

CORRIERE DELLA SERA, Lo stop del Senato (previsto) al ddl Zan
CORRIERE DELLA SERA, Una analisi del voto alle Amministrative guardando alle future elezioni Politiche
IL SOLE 24 ORE, LA STAMPA, Le pensioni secondo Draghi.

CORRIERE DELLA SERA
Lo stop del Senato (previsto) al ddl Zan

Avevamo scritto nel giugno scorso: ” La maggioranza che ha approvato il ddl Zan alla Camera ha numeri molto risicati in Senato e c’è il rischio concreto che la legge non passi. Il confronto e la mediazione sulle modifiche proposte avrebbero dato maggiori garanzie per l’approvazione. Certo perdendo qualche pezzo rispetto alla stesura originale, ma conservandone il fulcro, giusto, necessario e da tutti condiviso.
Buttando alle ortiche la tradizione del riformismo italiano (specialmente per quanto riguarda i temi etici), il M5s e con esso il nuovo Pd lettiano sono stati irremovibili: o la legge passa esattamente come la vogliono loro oppure non se ne fa nulla”.

Qualche giorno fa (prima del voto in Senato) la giornalista Elena Tebano in una newsletter del Corriere Della Sera riproponeva un suo intervento pubblicato sullo stesso giornale il 7 Luglio scorso dal titolo: “Perché la legge Zan è una tela di Penelope e non sarà mai approvata“.
Così spiegava la sua affermazione: “Quello che importa alle forze politiche in questa partita non è la migliore tutela possibile per i cittadini lgbt+, ma differenziarsi e posizionare le proprie bandierine all’interno di un’alleanza di governo che li mette tutti variamente in difficoltà con i propri elettori di riferimento. Così il ddl Zan è diventato una tela di Penelope, con il Senato che disfa, in nome del compromesso tra partiti politici, quello che la Camera aveva fatto, sempre in nome del compromesso tra i partiti politici“.

Nel ragionamento della Tebano ce n’è per tutti.

Nel Centrodestra Salvini si è fatto paladino dell’idea di predisporre una legge condivisa da tutti ed ha accusato Letta di non fare alcuno sforzo per arrivare a un compromesso. Ma nello stesso tempo a livello europeo  ha stretto “un’alleanza politica con i partiti al governo in Ungheria e Polonia, che vengono accusati dall’Unione europea di violare i diritti fondamentali delle persone lgbt+ con le loro leggi liberticide”.  E lo stesso Salvini fino a marzo ripeteva che contro l’omofobia non servono nuove norme e poi “insieme a Licia Ronzulli ha firmato una proposta di legge alternativa al ddl Zan”, tra l’altro ben sapendo che per il centrosinistra era inaccettabile, trattandosi soltanto di una proposta contro l’omofobia e non contenendo alcuna tutela per le persone transgender.

Anche nel Centrosinistra, faceva notare Elena Tebano, non è difficile trovare delle contraddizioni. Il fatto che non ci fossero i presupposti per trovare un testo condiviso tra desta e sinistra, secondo la giornalista del Corsera, “getta parecchie ombre anche sul tentativo di mediazione proposto dal leader di Italia viva Matteo Renzi. Non sorprende che infatti adesso i sostenitori del ddl Zan — Pd, Movimento 5 Stelle e Leu — accusino Italia viva di voler affossare la legge che pure alla Camera non aveva avuto problemi a votare (contro Salvini)”. Ma neppure questi ultimi ne escono bene: “Quando erano al governo insieme, con il secondo esecutivo Conte, si sono ben guardati dal mandare avanti il ddl Zan. Sapevano che i voti erano risicati e per di più la lotta all’omotransfobia non era una priorità per nessuno. Il segretario pd Enrico Letta l’ha fatta sua quando, entrato nella maggioranza con Lega e Forza Italia, aveva bisogno di fare ‘una cosa di sinistra‘ che lo distinguesse dagli alleati del governo di unità nazionale. Forse la considerava più facile e meno divisiva per il suo partito rispetto al riconoscimento dei genitori gay e lesbiche, che pure è stato chiesto dalla Corte costituzionale “.

Così si conclude l’articolo pubblicato sul Corriere Della Sera il 7 Luglio scorso:

È una battaglia soprattutto di testimonianza: pure con Iv è dubbio che ci siano i voti per far passare la legge. Sommando i 17 senatori di Italia viva ai 75 grillini, ai 38 del Pd ai 6 di Leu si arriva a 136 e la maggioranza è di 161: 25 voti da recuperare sono tanti. E defezioni sono possibili anche all’interno del Partito democratico e di Italia viva da parte dell’area cattolica sensibile alla contrarietà vaticana al ddl Zan. La proposta di mediazione di Italia viva salva il gioco delle parti, perché adesso permetterà a Pd, 5 Stelle e Leu di dire che se il ddl Zan non passa è colpa sua. E a Salvini e Renzi di dire che se non si arriva al compromesso è colpa loro. In ogni caso difficilmente verrà approvata una legge contro l’omotransfobia. Il rischio è che l’Italia rimanga uno dei pochissimi paesi europei a non averla”.

La possibilità che questo rischio divenga realtà ha ora trovato una ulteriore conferma. Quanto è successo al Senato il 27 Ottobre scorso  e le polemiche che ne sono seguite (comprese le reciproche accuse e la caccia ai traditori) è null’altro che quanto era prevedibile e forse anche  voluto (da tutti).

CORRIERE DELLA SERA
Una analisi del voto alle Amministrative guardando alle future elezioni Politiche

Le elezioni Amministrative di Ottobre non possono essere considerate un buon test per capire cosa succederà nelle prossime elezioni Politiche. Ovvero, come dice Angelo Panebianco in un editoriale del Corriere Delle Sera del 21 Ottobre,  se l’indubbia vittoria dei democratici nelle Amministrative li inducesse a ritenere che nelle prossime elezioni Politiche del 2023 la vittoria sia a portata di mano, sbaglierebbero, perché alle Politiche “entreranno in gioco molti elettori che si sono ora astenuti (circa il 50% degli aventi diritti -ndr-), la gara assumerà caratteri completamente diversi”. E sbaglierebbero anche Salvini e Meloni se, ritenendo di essere stati penalizzati dal massiccio astensionismo, pensassero che nelle future elezioni Politiche gran parte di coloro che oggi si sono astenuti voterebbero per loro.

In realtà non ci sono elementi certi per dire come si orienterà in prevalenza il voto di coloro che oggi si sono astenuti (quelli che vengono anche chiamati elettori “mobili”). “C’è un’area dell’elettorato – dice Panebianco – che aspetta proposte credibili, compatibili con i propri interessi e le proprie convinzioni, e non le trova nelle piattaforme dei tre più grandi partiti”.

Si può pertanto ipotizzare che una parte consistente del corpo elettorale che non è andata a votare potrebbe essere invogliata a cambiare atteggiamento se riscontrasse reali cambiamenti nelle proposte politiche dei tre grandi partiti. In quale direzione?

Panebianco invita a non archiviare troppo in fretta “il fatto che la lista Carlo Calenda sia risultata a Roma la più votata. Ed è sconsigliabile non osservare attentamente il comportamento dei (pochi) elettori che hanno votato al secondo turno”. E fa notare che “ tolta la quota degli ‘appartenenti’ (quelli pronti a sostenere chiunque venga presentato dal loro partito), si constata che a Roma gli elettori hanno scelto il candidato dal profilo più rassicurante, meno estremista. A Torino hanno votato Stefano Lo Russo, il quale si era distinto, negli anni precedenti, per la sua opposizione dura ai 5 Stelle. Mentre, sempre a Torino, il candidato del centrodestra, anch’egli un moderato, di sicuro non è stato aiutato da certe posizioni (ad esempio, sul green pass) dei leader nazionali”.

Quindi si può fare questa ipotesi sulla direzione del cambiamento che l’elettorato in qualche modo attende: “Oggi molti elettori, votanti o astenuti, sembrano pronti a ricollocarsi nella zona centrale dello schieramento (effetto Covid, effetto Draghi?). Quale che sia la legge elettorale, di solito (salvo eccezioni, come nel 2018), è proprio quando si riesce a intercettare il centro che si vincono le elezioni“.

Ciò detto, gli scenari ipotizzabili sono due:
Il primo prevede che “l’alleanza, oggi puramente nominale, di centrodestra e/o il Pd si riposizionino verso il centro dello schieramento ricalibrando candidature e messaggi”.
Il secondo prevede che “nasca una formazione centrista in grado di intercettare una parte dell’elettorato mobile”.

Entrambi questi scenari, secondo Panebianco, sono di difficile realizzazione. Il primo perché implica, per i tre grandi partiti politici italiani, trasformazioni molto profonde.
Il secondo perché la nascita di una formazione di centro potrebbe avvenire “solo aggregando diverse personalità che, per ottenere un buon risultato elettorale, non dovrebbero dare l’impressione di essere pronte a litigare fra loro subito dopo il voto”.

Panebianco conclude le sue interessanti riflessioni “azzardando un possibile scenario”:

Ipotizziamo che nelle future elezioni, proprio come dicono oggi i sondaggi, Fratelli d’Italia risulti essere il partito più votato. Il presidente della Repubblica dovrebbe conferire l’incarico per la formazione del nuovo governo a Giorgia Meloni. Ma è possibile che Meloni non riesca a trovare in Parlamento i numeri per governare. Dopo lunghe ed estenuanti trattative nascerebbe un governo fondato su una combinazione parlamentare comprendente pezzi del (fu) centrosinistra e pezzi del (fu) centrodestra. Comincerebbe tutta un’altra storia”.

IL SOLE 24 ORE  LA STAMPA
Le pensioni secondo Draghi

Il Sole 24 Ore (come tutti i giornali del resto) ha dedicato molto spazio al varo della manovra economica del governo Draghi. In un articolo del  28 Ottobre e poi in un lungo servizio di Venerdì 29 il giornale fa una illustrazione accurata di quelli che chiama i “punti cardine” della manovra: “dalle nuove regole sulle pensioni al nuovo calendario dei bonus edilizi, dalle misure fiscali destinate a cittadini e imprese agli interventi  sul lavoro per arrivare alla stretta sul reddito di cittadinanza e alla revisione delle regole sugli incentivi alle imprese”.

Noi qui prenderemo in considerazione solo il tema delle pensioni e il sistema di quote previsto, che è stato uno dei nodi centrali nelle manovre dei precedenti governi (in particolare il Conte 1) e rappresenta un esempio particolarmente significativo del cambiamento, nel modo di fare politica, introdotto dal governo Draghi.

Nella conferenza stampa convocata dopo l’approvazione della manovra da parte del Consiglio dei ministri, Il presidente ha affrontato il tema con parole semplici e chiare:
Per quanto riguarda le pensioni l’impegno del governo è ritornare in pieno al contributivo. La quota 100 finisce alla fine di quest’anno, la misura contenuta in questa legge di bilancio prevede una transizione a quella che chiameremo quota 102, con 38 anni di contributi e 64 anni di uscita. Abbiamo rafforzato l’opzione donna, l’APE sociale, ampliato la gamma di soggetti  che possono utilizzarle. Comunque, la cosa importante è poi che il governo rimane disponibile al confronto con le parti sociali nelle settimane che verranno; perché l’obiettivi è il ritorno al contributivo, il contributivo costituisce la scatola entro cui però tante cose si possono aggiustare. La prima è la flessibilità in uscita; la seconda è il fatto di recuperare al mercato del lavoro, al lavoro, tutti coloro che sono andati in pensione e che oggi non lavorano altro che in nero, perché sono puniti se lavorano; la terza è vedere di riequilibrare il rapporto che esiste per le pensioni dei giovani, che oggi sono fortemente squilibrate verso pensioni molto basse. Ma tutto questo, come dico, deve tenersi insieme nel contributivo, cioè in un sistema che assicuri la sostenibilità nel tempo del sistema pensionistico. Quindi, come per altro questo governo ha sempre fatto, ci sarà un intenso confronto con le parti sociali, con il Parlamento, con tutti. Questo è quello che nelle prossime settimane si vedrà fare al governo”.

In uno dei servizi di approfondimento apparsi su Il Sole 24 Ore, a firma di Marco Rogari, troviamo la spiegazione del “perché Draghi ha archiviato Quota 100”:

Quattro bocciature di Quota 100 in quattro mesi. Sono quelle arrivate tra la fine di maggio e lo scorso mese di settembre in rapida sequenza da Corte dei conti, Inps (limitatamente alla ricaduta occupazionale), Ragioneria generale dello Stato e Nota di aggiornamento al Def nell’evidenziare che questo canale di pensionamento anticipato ha fatto impennare pericolosamente la spesa pensionistica, ha riportato indietro di vent’anni il nostro sistema previdenziale, è più vantaggioso per i pensionati con una cospicua fetta di assegno retributivo rispetto a quelli con una marcata prevalenza “contributiva.
E non ha contribuito a liberare posti di lavoro, come invece era stato annunciato quando era stato concepito a fine 2018 per poi entrare in vigore nel 2019. Quattro sostanziali ‘prove’ con cui il ministero dell’Economia e Palazzo Chigi, nonostante le resistenze della Lega e il pressing di Pd, M5s, Leu e sindacati per una nuova ‘flessibilità in uscita’, stanno di fatto motivando lo stop definitivo alla misura, introdotta in via sperimentale per tre anni dall’esecutivo  ‘Conte1’, ribadito con chiarezza da Mario Draghi”.

Ma il tipo di flessibilità in uscita annunciata da Draghi per superare gradualmente quota 100 non piace a tutti, soprattutto non piace ai sindacati con i quali, come ha detto Draghi, si prevede che ci sarà un confronto intenso. Sul giornale La Stampa questo scoglio era stato evidenziato dall’economista  Pietro Garibaldi, in un articolo del  23 Ottobre.  Secondo Garibaldi quello del sindacato è un atteggiamento poco comprensibile: “I numeri forniti dall’Inps nel suo rapporto annuale mostrano che quota 100 non è stata utilizzata tra gli aventi diritto. Le 75 mila persone che hanno utilizzato quota cento rappresentano soltanto il 20 percento circa degli aventi diritto, un valore molto inferiore rispetto a quello che lo stesso Governo aveva elaborato“.

L’economista de La Stampa da anche una ragione plausibile della poca popolarità di quota 100: “i lavoratori non sembrano accettare che l’anticipo del pensionamento sia associato a riduzione permanente dell’assegno, che nel caso di quota cento oscilla tra il 10 e il 15 percento”. Inoltre, diversi meccanismi per anticipare l’età pensionabile esistono già nel sistema, ma sono tutti strumenti che richiedono un abbassamento del livello della pensione.
Così conclude l’economista Pietro Garibaldi: “In un’economia che non cresce da quasi vent’anni, che invecchia anno dopo anno e con una produttività stagnante, il livello delle pensioni non può e non deve essere una variabile indipendente. In aggiunta, non si deve dimenticare che il programma di aiuti di cui stiamo generosamente usufruendo si chiama Next Generation EU. Le prossime generazioni non sono quelle nate intorno al 1960, ma quelle nate intorno al 2010. In sostanza, le proposte del Governo sono ragionevoli e occorre alzare lo sguardo e accettare la realtà. Altrimenti ci accorgeremo che il problema vero non è tanto il superamento di quota 100, ma il rischio di perdere la fiducia dei nostri partner europei”.

Come è noto, nel corso della già citata conferenza stampa, rispondendo alla domanda di una giornalista, Draghi ha detto di non aspettarsi uno sciopero generale da parte dei sindacati (che comunque continuano a manifestare contrarietà alla impostazione contenuta nella manovra approvata dal Consiglio dei ministri). “Mi parrebbe strano –ha puntualizzato Draghi- vista la disponibilità del governo a ragionare nelle settimane future sulle questioni che ho appena indicato. Però la decisione è nelle mani dei sindacati”.

Il metodo dell’affrontare i problemi con ragionevolezza e con il confronto pacato, usato da Draghi, ha finora pagato: la Lega ha votato a favore della proposta Draghi di tornare al contributivo, eppure Salvini erano mesi che andava ripetendo “quota 100 non si tocca”.

L’immagine in evidenza è tratta da: ecotechnoimput.it;
le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: huffingtonpost.it: ilregno.it; ansa.it

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