Questione di vita e di morte.

Questione di vita e di morte” è il titolo del piccolo, ma prezioso libro (Einaudi Editore, 2004) in cui Paolo Flores d’Arcais (filoso e direttore di “MicroMega”) illustra lo stato della questione in merito al tema della fine della vita umana. L’autore seziona l’argomento in cinque componenti, cioè lo analizza “logicamente”, “esistenzialmente”, “filosoficamente”, “giuridicamente” e infine “cattolicamente” (stiamo usando la terminologia proposta dall’autore). Il libro non affronta gli ultimissimi sviluppi legati al dibattito sull’eminente referendum, ma ha almeno due importanti e decisivi meriti.

Il primo consiste nel ricondurre la questione del fine vita al suo elemento centrale, eliminando il sensazionalismo e le esasperazioni dei toni che emergono – spesso- nell’esposizione di casi individuali.

L’elemento fondativo, da cui far poi proseguire la riflessione, secondo l’autore, è il seguente: la fine della vita, fatto unico e fondamentale, appartiene comunque al ciclo di eventi di ogni esistenza individuale (le scelte scolastiche e culturali, la scelta o la negazione religiosa, l’entrata nel mondo del lavoro, l’incontro con una qualche forma dell’amore, la formazione di una propria famiglia, la maturazione di un’opinione politica, ecc.). Si tratta di stabilire chi deve decidere il comportamento in tutti i casi elencati e perché (ricordiamo, come esempio, che ancora oggi, in diverse parti del mondo, la scelta del partner nel matrimonio dipende da terzi, così come il numero di figli da procreare, la religione da praticare, il lavoro da svolgere). Quindi la domanda preliminare, prima di affrontare altri ragionamenti, consiste nel chiedere e chiedersi: chi deve decidere degli eventi della mia esistenza e del mio fine vita? Quali sono le conseguenze della risposta?

Il secondo merito consiste nella consistente presenza del punto di vista cattolico, che l’autore ben conosce, avendo partecipato a numerosi incontri e dibattiti con esponenti di rilievo del mondo ecclesiastico.

Infatti, lungo tutto il libro, l’autore dialoga a distanza col vescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, coi cardinali Tettamanzi e col cardinal Sgreccia, esperti di bioetica e morti rispettivamente nel 2017 e nel 2019. Inoltre, nel libro è stato anche sintetizzato fedelmente il punto di vista della minoranza cattolica, rappresentata da Hans Kung e da Dom Franzoni, come teologi, e da Welby, in quanto fedele cristiano.

Di Kung ricordiamo le parole: “bisogna avere una incrollabile fiducia in un Dio che non è un sadico, ma è il Misericordioso…la terapia del dolore non è la soluzione a tutte le richieste di morire. Non sempre è possibile togliere il dolore ai malati gravi. Inoltre, bisogna aggiungere che alcune persone vorrebbero morire anche se non patiscono dolori incurabili” (tratto da Della dignità di morire” commentato su questo blog).

Proprio il cardinal Tettamanzi, quando era ancora arcivescovo di Genova, ebbe con l’autore una conversazione (poi pubblicata in MicroMega, gennaio 2001) in cui si espresse così: “non dobbiamo essere noi a interpretare la volontà delle persone, ma dobbiamo innanzitutto accogliere quanto le persone ci dicono, nel rispetto dell’altro e rifiutando la tentazione di imporre all’altro criteri, giudizi, sentimenti che sono nostri. Su questo credo ci sia un perfetto accordo”.  È rimasta una voce di minoranza nella gerarchia vaticana.

L’immagine in evidenza è tratta dayoutube.com
Le altre immagini sono tratte, rispettivamente, da: einaudi.it

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