Morire felici e lasciare la vita senza paura

E’ questo anche il titolo del libro di Hans Kung (Rizzoli 2015) in cui il grande teologo cattolico propone, controcorrente rispetto alla gerarchia vaticana, l’argomento, terribilmente drammatico ma espresso con grande lucidità e chiarezza, dell’ ”ausilio alla morte”. La cultura per il rispetto di ogni vita, afferma Kung nell’introduzione, fa parte dell’etica mondiale ed è stata proclamata una delle quattro “norme immutabili” dal Parlamento delle religioni mondiali (di cui Kung è stato uno dei promotori) a Chicago nel 1993. Rispettare ogni vita significa che” ogni essere umano ha il diritto all’integrità fisica ed al libero sviluppo della sua personalità nella misura in cui non lede il diritto degli alti”. Le religioni mondiali, e ogni religione al suo interno, non hanno invece trovato ancora un accordo rispetto al tipo di “uscita” dalla vita. Ecco perché, scrive Kung, la difesa di una fine dignitosa perché scelta autonomamente dalla persona, diventa la sua ultima battaglia personale e non della Fondazione per un Etica mondiale di cui fa parte.

Il libro inizia ricordando che la filosofia del vivere cristianamente ha compreso anche l’intenzione di non protrarre a tempo indeterminato l’esistenza terrena perché “quando arriva il momento, ho il diritto di scegliere, con la mia responsabilità, quando e come morire”.  La felicità, sostiene Kung, consiste non nell’assenza di dolore o di tristezza nel lasciare il mondo, ma nel poterlo fare “consensualmente, accompagnati da una profonda soddisfazione e dalla pace interiore”. Non si tratta quindi di un “auto-assassinio” dove l’arbitrarietà e l’empietà sono la radice della scelta finale. E’ invece un atteggiamento che nasce dalla coscienza di aver sistemato nei limiti del possibile le proprie pendenze e, dopo aver ringraziato con gratitudine l’occasione che è stata offerta di vivere, decidere di chiudere questa esperienza non più percorribile. Perché, chiede Kung, la vita può, in certe situazioni, diventare appunto “non più percorribile”? 

Questa domanda viene subito affrontata dalla intervista (riportata nel libro dopo l’introduzione) che la giornalista Anne Will, per il primo canale della televisione tedesca, ha fatto a Kung nel novembre del 2013. Di fronte alla demenza irreversibile per esempio, afferma Kung, ho il diritto di porre fine alla mia vita proprio “perché sono del parere che la vita terrena non sia tutto…sono fermamente convinto che la vita sia un dono di Dio…questo dono tuttavia comporta una responsabilità. Ciascuno di noi è responsabile della propria vita. Perché dovrebbe cessare di esserlo proprio nell’ultima fase dell’esistenza? La responsabilità esiste fino in fondo ma va da se che bisogna tenere conto delle circostanze…” Poi Kung conclude questo ragionamento: “Oggi nessuno è più contrario alla cosiddetta “eutanasia passiva” – anche se a Roma c’è sempre qualche bastian contrario – e si ritiene lecito spegnere la macchina, staccare il respiratore, interrompere l’alimentazione artificiale. Non capisco dunque perché sia meno attiva di un medico che somministri una dose eccessiva di morfina…lo ribadisco: l’eutanasia è la scelta giusta per me…non pretendo di voler proporre un modello valido per tutti ma voglio che sia chiaro che nessuno deve essere costretto a cercare chissà quale tipo di morte, come fanno le persone che si buttano dalla finestra di un ospedale perchè non hanno ricevuto il minimo aiuto.”

I capitoli successivi del libro sviluppano appunto questo tema, ricordando che “la nostra visione dell’inizio e della fine della vita umana si trova al centro del cambiamento di un paradigma epocale…oggi è necessario prendere in considerazione il notevole prolungamento della vita consentito dai progressi…è quindi aumentata la percezione della necessità di dare un fondamento etico ad una medicina globale che tuteli l’umanità del paziente”. L’attualità di Kung, anche in questo caso, sta nell’aver assimilato e riproposto il principio del “mutamento di paradigma”, principio che gli consente di essere in grado di affrontare, senza fraintendimenti e senza zavorre del passato, i nuovi orizzonti a cui si aprono le società umane.

La vita e la morte restano i due momenti centrale della esistenza di ogni persona. Rispetto ad essi la Chiesa di Roma ha deciso di dare risposte antiche, oramai inutili perchè le domande sono nuove. I tradizionalisti credono che l’uso del profilattico oppure il fine vita deciso autonomamente siano cedimenti all’edonismo sfrenato del mondo e all’ideologia consumistica. Sovrappongono così i contenuti della loro ideologia interpretativa (scambiata per messaggio cristiano) agli eventi storici a cui assistono. È questa l’operazione che fanno tutti coloro che non cercano di capire i cambiamenti e quindi non cercano neppure di apprendere a governarli. Se non avessero paura anche della loro ombra, comprenderebbero che chi decide di vivere una sessualità responsabile e controllata e chi decide di terminare consapevolmente la propria esistenza, hanno comunque raggiunto un loro equilibrio e serenità, e che non impediscono a tutti gli altri individui alcuna scelta, dall’ avere un figlio ogni nove mesi oppure dal subire fino in fondo la morte, anche senza le cure palliative al dolore. Purtroppo chi sostiene di avere la “Verità” sulla vita e sulla morte non possiede con altrettanta completezza la tolleranza e il rispetto per la vita e la morte degli altri.

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