AstraZeneca News & Fakes

AstraZeneca è certamente il nome di vaccino anti-Covid più noto al pubblico italiano (e non solo) per essere stato spesso oggetto di polemiche che hanno avuto vasta risonanza su tutti i mezzi  di informazione. La diffusa diffidenza che oggi si registra nei confronti di questo vaccino trae probabilmente origine dalla storia un po’ travagliata che ha riguardato la sua preparazione e messa in vendita.

Quest’ultima infatti è avvenuta quando la sperimentazione era stata condotta in modo compiuto solo su persone inferiori ai 55 anni di età. Per le persone più anziane la sperimentazione dava risultati soddisfacenti, ma riguardava un numero ridotto di soggetti. Questo fatto ha portato (ad esempio l’Aifa , l’Agenzia Italiana del Farmaco) a raccomandarne l’uso solo dai 18 ai 55 anni. Tutto ciò ha probabilmente indotto molti a considerare l’AstraZeneca come un “vaccino di serie B”, meno affidabile degli altri.

Quando i vari Paesi europei  hanno incominciato a dare un primo impulso alla fase di somministrazione dei vaccini anti-Covid, la diffidenza sull’efficacia del vaccino si è intersecata con un altro problema che l’azienda anglo-svedese ha manifestato: la difficoltà nella consegna delle dosi prenotate. AstraZeneca infatti non ha consegnato nei tempi previsti  la quantità di dosi attese dai Paesi europei (e in particolare dal governo italiano). Delle 120 milioni di dosi previste dal contratto con l’UE per il primo trimestre, poi ridotte a 30 milioni, al 26 marzo ne aveva distribuite solo 18 milioni.

I dirigenti di AstraZeneca  si sono giustificati adducendo problemi di calo nella  produzione in uno degli stabilimenti del gruppo e poi, quando il Commissario europeo Kyriakides ha fatto la voce grossa chiedendo comunque il rispetto degli accordi, l’amministratore delegato Pascal Soriot ha sostenuto che negli accordi non vi erano specificati “obblighi” riguardo i quantitativi e i tempi di consegna ed ha smentito le voci circa un dirottamento delle dosi  verso il mercato inglese. Ha anche precisato che il contratto con il Regno Unito è stato firmato tre mesi prima che con l’Europa e che con questa c’è solo un impegno a “fare il massimo”. Alle parole dell’ad di AstraZeneca si sono poi aggiunte quelle del ministro della Sanità britannico Matt Hancock che ha ribadito che il contratto firmato in anticipo da Londra ha maggior peso legale di quello sottoscritto più tardi dall’UE.

Per molti giorni (intorno alla metà di marzo) le prime pagine di tutti i giornali non hanno fatto altro che denunciare “il fallimento della strategia vaccinale europea” . La Commissione europea è stata accusata di eccessiva lentezza burocratica ovvero di aver perso troppo tempo nella conduzione delle trattative per la stipula dei contratti con le case farmaceutiche. Ed è stata anche accusata di mostrare debolezza nei confronti dei big farma.
Bisogna dire che, in particolare nel nostro Paese, sono molti gli organi di stampa che non perdono occasione per dipingere l’Unione Europea come una istituzione incapace di tutelare gli interessi dei popoli che ne fanno parte. Purtroppo al coro antieuropeista si sono associati anche giornali insospettabili, trascurando alcuni dati di fatto che avrebbero dovuto far riflettere prima di esprimere giudizi sommari.
Primo dato di fatto:
le somministrazioni di vaccini AstraZeneca nel nostro Paese sono sempre andate a rilento indipendentemente dal fatto che non arrivavano tutte le dosi prenotate: ai primi di marzo erano state somministrate 404mila dosi, il 26% del totale consegnato, mentre l’utilizzo del vaccino Pfizer-BioNTech era al 90% (4 milioni di dosi somministrate sul totale di 4,5 milioni consegnate).
Secondo dato di fatto:
non è stata la Commissione europea a stipulare il contratto con AstraZeneca. Come ha ricordato la cancelliera tedesca Angela Merkel, i contratti con le case farmaceutiche “sono stati firmati dagli stati membri, non da qualche stupido burocrate”. E il primo contratto con AstraZeneca è stato firmato dal ministro italiano della Salute, Roberto Speranza, e dai suoi colleghi di Germania, Francia e Olanda. 
Terzo dato di fatto:
La Commissione europea non è stata per nulla assente o debole sulla questione dei ritardi nelle consegne. La presidente Ursula Von der Leyen, il 25 marzo in sede di videoconferenza dei 27, ha espresso una linea di assoluta fermezza: considerato che l’UE è la regione con la più grande capacità di produzione di vaccini al mondo, e tutte le grandi case farmaceutiche difficilmente potrebbero in questo momento fare a meno dell’export di ciò che viene prodotto in Europa, “AstraZeneca deve recuperare sui suoi ritardi con gli Stati membri prima di potersi impegnare di nuovo nell’esportazione dei vaccini”. E ancora: “Le dosi prodotte in UE saranno destinate alla UE”.

Probabilmente, anche se L’UE ha ora rafforzato il meccanismo di autorizzazione all’export, non si arriverà a tanto, perché alcuni leader europei hanno espresso preoccupazioni e vi sono stati appelli alla cautela e la richiesta che la Commissione faccia consultazioni prima di varare misure contro aziende e Stati. Ma l’Unione appare comunque determinata a centrare l’obiettivo del 70% di immunizzazioni entro fine estate.

Sempre nel mese di marzo, la diffidenza e la polemica verso AstraZeneca trovavano un rinnovato supporto nella pubblicazione di cronache riguardanti casi in cui all’uso del vaccino venivano associati  gravi effetti collaterali come la trombosi cerebrale, anche con esiti fatali. Ben presto si facevano frequenti i casi di cittadini che rinunciano alla vaccinazione con AstraZeneca. E la cosa ha incominciato a destare preoccupazione perché la nostra campagna vaccinale andava a rilento e c’era scarsa disponibilità di vaccini alternativi.

Molti paesi (tra cui Danimarca, Olanda, Germania, Francia) hanno sospeso la somministrazione. Il 15 marzo lo ha fatto anche l’ Italia. L’EMA (l’Agenzia europea per i medicinali) si è impegnata a fare una valutazione del problema e dare indicazioni più precise.

In realtà, nei Paesi dove la campagna vaccinale era in fase più avanzata rispetto all’Italia, indagini riguardanti AstraZeneca ne confermavano l’efficacia. Un esempio è lo studio condotto in Scozia dall’Università di Edimburgo che ha confrontato i risultati emersi dalla somministrazione di poco più di un milione di dosi di vaccino tra l’8 dicembre e il 15 febbraio (650mila con Pfizer-BioNTech e 490mila con AstraZeneca).

I risultati della valutazione dell’EMA sono giunti il 18 marzo, con una nota che conteneva le seguenti informazioni per i pazienti:

  • Il vaccino COVID-19 AstraZeneca non è associato ad un aumento del rischio complessivo di disturbi della coagulazione del sangue.
  • Ci sono stati casi molto rari di coaguli di sangue insoliti accompagnati da bassi livelli di piastrine (componenti che aiutano il sangue a coagulare) dopo la vaccinazione. I casi segnalati erano quasi tutti di donne sotto i 55 anni.
  • Poiché COVID-19 può essere così grave ed è così diffuso, i benefici del vaccino nel prevenirlo superano i rischi degli effetti collaterali.

In seguito alla dichiarazione dell’EMA, l’Agenzia italiana del farmaco revocava il divieto d’uso del vaccino AstraZeneca. Contemporaneamente il Ministero della salute annunciava la necessità di “avviare una campagna di comunicazione volta a colmare il gap di fiducia che è venuta meno da parte dei cittadini”.

Comunque, anche se è stato chiarito che il vaccino AstraZeneca ha la stessa sicurezza di tutti gli altri, l’atteggiamento di diffidenza non è stato abbandonato, come dimostra il “giallo” di Anagni.

Il 24 marzo, quando non era ancora del tutto spenta la polemica sulle mancate consegne, giungeva la notizia (cui tutti gli organi di informazione hanno dedicato ampio spazio) che presso una affiliata italiana di AstraZeneca, precisamente la Catalent di Anagni, giacevano senza che nessuno ne sapesse niente ben 29 milioni di dosi di vaccino non destinate al mercato italiano. Il fatto è stato subito etichettato come “il giallo di Anagni”: a chi erano destinate le dosi “nascoste” nello stabilimento Catalent?
Circolavano voci che le dosi fossero destinate all’esportazione nel Regno Unito (la qual cosa sarebbe risultata grave, visto che AstraZeneca fino a quel momento aveva consegnato all’Europa meno della metà delle dosi pattuite). Il governo italiano, forse su indicazioni di Bruxelles, ha ordinato una ispezione dei Nas. L’ispezione ha smentito i sospetti: è risultato che i lotti avevano come destinazione il Belgio, dove si trova la piattaforma logistica usata da AstraZeneca per le forniture europee.

Il processo di produzione dei vaccini è molto complesso. Nella fabbrica di Anagni arriva il prodotto finito pronto per essere inserito nelle fiale per essere poi spedito in Belgio per il controllo qualità e da lì inviato a destinazione. Secondo le regole in vigore nell’UE la Catalent avrebbe dovuto informare le autorità italiane solo se il carico fosse stato destinato a un Paese fuori dell’Unione (e in questo caso l’Italia avrebbe potuto porre il veto all’esportazione).
Tutto nella norma, quindi. Nessun giallo.

Alle polemiche sul presunto giallo di Anagni e, più in generale, sul modo ossessivo e spesso pretestuoso col quale gli organi di informazione hanno trattato ogni vicenda relativa ad AstraZeneca,  ha dato una sua interpretazione (che ha suscitato un certo clamore) la giornalista di La Repubblica Concita De Gregorio.

Nella interpretazione che la giornalista ha fornito alla conduttrice della trasmissione televisiva Titolo V del 26 marzo su rai 3, il caso AstraZeneca e in particolare il cosiddetto “giallo di Anagni” è “un caso di pessima informazione che si fa strumento di una guerra tra aziende e tra governi che è evidente è sotto gli occhi di tutti”.
Da dove nasce questa guerra? La giornalista dice che leggendo un documento (del quale non ha ritenuto opportuno citare la fonte) è venuta a sapere che vi è stato un accordo tra le grosse aziende farmaceutiche (tutte, compresa AstraZeneca) per spartirsi i territori. Ma – ha sottolineato la giornalista – tra i vaccini presenti sul mercato alcuni costano di più altri costano meno e i governi,  naturalmente, per fare gli acquisti tengono conto di questo fatto.

Il vaccino AstraZeneca è quello che costa meno. È arrivato per primo sui mercati ed è anche pubblico, perché lo ha prodotto una università pubblica che ha deciso di non lucrare sulla pandemia”. È chiaro –dice la giornalista- che “questo vaccino è un fastidio per tutti gli altri”. Quindi –conclude- “penso che tutta questa campagna sulla presunta pericolosità del vaccino AstraZeneca e adesso il giallo dello stoccaggio di Anagni … insomma è come se il vaccino meno costoso e pubblico o comunque studiato e fornito da un ente pubblico fosse in qualche modo un fastidio per i privati che producono vaccini. Una campagna un po’ opaca”.

Ma anche la teoria della De Gregorio sembra essere un po’opaca, o comunque in linea con quella che lei stessa definisce pessima informazione. Perché tiene poco conto dei fatti.

Intanto il vaccino prodotto da AstraZeneca non è arrivato per primo sui mercati. L’EMA ha ricevuto la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio da AstraZeneca il 12 gennaio 2021. Ha dato poi parere positivo il 29 gennaio, quando il vaccino Pfizer-BioNTech era già in fase di somministrazione da più di un mese, precisamente dal 27 dicembre (e il vaccino Moderna dal 7 gennaio).  E non si tratta di un vaccino pubblico: AstraZeneca è un colosso multinazionale britannico-svedese (quotato in borsa e presente in più di 100 Paesi) che produce il vaccino anti-covid 19 sulla base di un accordo con l’Università di Oxford.

Secondo l’agenzia AGI, si tratta di “una ‘strana unione’ tra la necessità di combinare gli alti ideali, i nobili sentimenti della ricerca universitaria con l’etica orientata al profitto del mondo farmaceutico”.AstraZeneca ha accettato di dare a Oxford 10 milioni di dollari in anticipo e altri circa 80 milioni nei cosiddetti pagamenti ‘milestone’, cioè se il vaccino supererà gli ostacoli normativi e di vendita. A ciò si aggiunge circa il 6% delle royalty che Oxford può guadagnare se il vaccino avrà successo, a partire dalla prossima estate” (è previsto che Università di Oxford e AstraZeneca arriveranno comunque a guadagnare oltre 100 milioni di dollari). Il professore John Bell, genetista di Oxford e artefice dell’accordo con AstraZeneca aveva a suo tempo dichiarato: “Immaginiamo che (il vaccino) diventi stagionale e venda un miliardo di dollari all’anno. Per noi essere seduti lì e non fare soldi mi sembra che sarebbe piuttosto stupido“.

Si può insomma dire che AstraZenica, il cui vaccino ha un costo certamente inferiore rispetto agli altri, segue una politica industriale che, senza trascurare l’idea di fare profitti, intende fornire un vaccino a prezzi accessibili sia ai paesi ricchi che a quelli poveri.
Ma da qui ad affermare che probabilmente i guai di AstraZeneca sono frutto di un complotto ordito dalle altre industrie farmaceutiche ce ne vuole.
Quello che sappiamo per certo è che nel mese di marzo alcuni Paesi (come Germania, Francia e Italia) hanno sospeso la somministrazione del vaccino AstraZeneca In attesa di ulteriori accertamenti e poi hanno ridato l’autorizzazione a farne uso ma consigliandolo solo per alcune fasce di età.

A creare confusione e indurre diffidenza sulla bontà del vaccino AstraZeneca hanno certamente contribuito le agenzie del farmaco di vari Paesi, fra cui l’Italia, più che complotti e guerre tra multinazionali e tra stati. Anche l’Europa, attraverso l’EMA, ha fatto la sua parte di pessima informazione: ha prima detto che il vaccino era ammesso ma solo per le persone con meno di 55 anni, poi lo ha sospeso per poi riammetterlo ma solo per gli over 55. L’ultimo dilettantismo comunicativo (©Huffpost) è di inizio aprile: il responsabile vaccini dell’EMA, capovolgendo la posizione assunta in precedenza, ha detto che ormai si può sostenere tranquillamente l’esistenza di un nesso causale tra i rarissimi casi di trombosi e il vaccino AstraZeneca.
Con dichiarazioni del genere, oltre a dare “l’ennesimo duro colpo a un vaccino che già di suo è nato sotto una cattiva stella mediatica” si rischia di compromettere l’intera campagna vaccinale, visto che nei prossimi mesi AstraZeneca sarà il principale tipo di vaccino di cui disporremo.

Nella cronaca degli ultimi giorni, inoltre, troviamo anche una evidente prova della incongruenza della tesi complottista messa in circolazione dalla giornalista De Gregorio. A suo parere AstraZeneca sarebbe vittima dello strapotere dei super colossi farmaceutici Johnson&Johnson e Pfizer, che hanno le spalle protette da un super colosso politico come gli Stati Uniti . 
Peccato (per gli amanti di questa tesi) che in questi giorni la Food and Drug  Administration (l’agenzia del farmaco statunitense) ha bloccato proprio la Johnson&Johnson adducendo lo stesso motivo che è stato avanzato in Europa nei confronti di AstraZeneca, ovvero per possibile connessione con eventi tromboembolici.
Le tesi complottiste danno sempre risposte semplici a fatti e problemi molto complessi e, proprio per questo, sono le meno idonee a spiegare ciò che accade.

L’immagine in evidenza è tratta da: pisatoday.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: centralelatteroma.it; analisidifesa.it;rainews.it; youtube.com; open.online; agi.it

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