PRESENZA E RUOLO DELLE IMMAGINI DELLA CROCE E DEL CROCIFISSO NELL’EUROPA OCCIDENTALE /2
Da simbolo di morte a simbolo di potere
La ricostruzione storica dell’ epoca costantiniana è stata approfondita perché la simbiosi chiesa/stato, da essa inaugurata, resterà in vigore fino al Concilio Vaticano II e oggi viene rivendicata dal tradizionalismo religioso e politico.
Come abbiamo visto, nei primi trecento anni d.C. le croci cristiane non vengono rappresentate. I cristiani ne fanno a meno, così pure del crocifisso. Infatti, il cuore della nuova religione era costituito non dalla Passione, ma dalla “buona novella”, cioè dal fatto che tutti gli umani potevano aspirare ad un Regno di felicità e serenità se si fossero affidati al Gesù Risorto, il Cristo, il vincitore della morte e il riconciliatore dell’umanità col Padre celeste. Si aspettava il suo ritorno, come Giudice che avrebbe premiato i buoni e condannato i malvagi alla Geenna, la valle presso Gerusalemme presa a simbolo dell’inferno.
Intanto bisognava opporsi al Regno di Satana, rappresentato dal potere di Roma, la grande Babilonia dell’Apocalisse, intrisa di pratiche politeistiche e di feroce fanatismo, considerata come l’Anticristo e che, per la sua intolleranza nei confronti del cristianesimo, emanava leggi repressive e compiva soprusi sanguinosi.
Dopo la terribile persecuzione di Diocleziano nel 303 e la ingiunzione del canone 36 del concilio di Elvira in Spagna, nel 300 d.C., “Parve bene decidere che non ci dovessero essere pitture nelle chiese, di modo che ciò ch’è onorato e adorato non sia dipinto sui muri”, nel giro di pochi anni la situazione, per i cristiani, cambiò drasticamente sia in termini politici che artistici.
Con l’avvento di Costantino (QUI per approfondire), imperatore dal 306 al 337 d.C., e delle sue visioni/sogni di croci e cristogrammi (Costantino aveva avuto un primo “incontro” nel 311 d.C. col divino, ma si trattava del dio Apollo!), si verifica un mutamento radicale nella società dell’Impero. La religione cristiana – già resa lecita dall’editto di tolleranza dell’imperatore Galerio a Serdica, oggi Sofia, capitale bulgara, nel 311 d.C. – diventa sempre più autorevole e sempre più rilevante in termini di potere, di ricchezze, di prestigio, in quanto Costantino ne ha capito l’importanza per poter realizzare coesione e sviluppo del suo dominio.
Il clero assume una identità nuova perché ottiene diritti particolari, come la dispensa dei chierici da obblighi di servizio pubblico, i sussidi a molti suoi membri, la possibilità di ratificare l’affrancamento di uno schiavo; le sentenze del tribunale ecclesiastico anche in materia civile sono riconosciute valide. Ai vescovi vengono concessi gli stessi diritti e onori dei senatori, inoltre la possibilità di dirimere una controversia tra privati se costoro volevano sottoporla al clero cristiano, e, non meno importante, viene concessa l’immunità fiscale alla Chiesa.
Nel 321 d.C. poi si riconobbe alla Chiesa il diritto di ricevere beni in eredità, esenti dai vincoli di forma richiesti normalmente per tali atti. E ancora da ricordare il sostegno economico per il grande progetto architettonico di costruzione di basiliche e l’istituzione della domenica come giorno di riposo per tutti.
Il culmine del mutamento venne raggiunto con l’interpretazione cristiana del culto pagano dell’imperatore: assieme alla preghiera per l’Imperatore vengono elaborate espressioni che lo definiscono Sacerdote, come colui che possiede la stessa dignità dei vescovi e degli apostoli. Costantino viene acclamato “Vicario di Cristo”, “nuovo Mosè”, viene considerato il 13° apostolo con la facoltà di poter revocare o nominare il Patriarca di Costantinopoli, e lui stesso si definisce “vescovo di coloro che erano ancora fuori dalla Chiesa”!
Si tratta dell’inizio del cesaropapismo con il sovrano che può indire un concilio di vescovi (Nicea 325 d.C.) e mandarne gli sgraditi in esilio (Attanasio di Alessandria esiliato a Treviri nel 336). Ricordiamo che era già noto, all’epoca, il fatto che il “cristiano” Costantino aveva fatto personalmente uccidere due suoceri, il cognato, la prima moglie Fausta e il primo figlio erede al trono, Crispo, per limitarci all’ambito famigliare; si sapeva che non aveva voluto battezzarsi (lo farà – per ottenere la purificazione e l’accesso in Paradiso – solo in punto di morte e con un vescovo ariano) e che quindi non partecipò mai, da vivo, alla messa e al rito dell’eucarestia.
L’importanza del cristianesimo crescerà al punto da diventare la religione unica ed ufficiale (380 d.C.) e da poter negare la libertà religiosa agli altri culti e alle altre fedi (questa legge repressiva, voluta dall’imperatore Teodosio I, sarà sostenuta dai cristiani e la Chiesa cattolica la riterrà legittima fino al Concilio Vaticano II).
La conversione di Costantino, a cui il Dio cristiano aveva garantito la vittoria in battaglia ed il potere terreno, sarà presto seguita dai capi barbari che, diventando “cristiani”, conducono alla nuova religione, per necessaria imitazione, le loro intere tribù.
Il Cristo diventa Colui che concede e garantisce onori e potere su questa terra e la sua Chiesa la tutrice di un ordine politico reso sacro: “I popoli barbari si convertirono in massa per seguire i capi, i visigoti con Recaredo, i franchi con Clodoveo, i longobardi con Teodolinda…non si trattò di conversioni personali di un’autentica trasformazione di vita bensì dell’ingresso di tali popoli nell’ambito della Chiesa.”, scrive giustamente Laboa.
Si abbraccia il cristianesimo per il potere del suo Dio, il dio che aveva vinto tutti gli altri dèi: “In quel tempo Clodoveo, re dei Franchi, era pagano… fece un voto al Signore: se gli avesse concesso la vittoria sugli Alemanni si sarebbe convertito. Ottenuta la vittoria, andò dal Beato Remigio e chiese il battesimo…” si legge nella “Legenda Aurea” del vescovo domenicano Iacopo da Varazze.
Ecco, quindi, il diffondersi di croci (ancora senza il crocifisso, bisogna spettare il V secolo perché esso appaia) tutte- nessuna esclusa – rappresentate come simboli contemporaneamente della Passione e della Resurrezione. Anzi, è la Resurrezione l’elemento su cui la croce, dipinta, scolpita, lavorata in materiali diversi, si sofferma ed insiste, e tale viene spiegata dal clero ed intesa dai fedeli.
Per usare una metafora, la croce, che appare a partire dal IV secolo, non rappresenta il singolo fotogramma dello strumento di morte (come avverrà in seguito), ma un breve filmato che si conclude, dopo la morte somministrata al Cristo, con la sua vittoria attraverso il trionfo della Resurrezione. Emblematica la Croce del mosaico absidale della Chiesa di santa Pudenziana a Roma,del V secolo (QUI per osservare l’immagine) dove un Cristo imperatore, seduto su un trono regale, presenta alle sue spalle il primo trono, da cui si era innalzato al Cielo, cioè una gigantesca croce tempestata di gemme. Infatti, le croci d’oro, con pietre preziose, o di materiale meno pregiato, sono appunto interpretate come un vero e proprio “trono” da cui si raggiunge il Regno – così vengono viste e percepite dai loro contemporanei – ed esse diventano simbolo di trionfo e di regalità, sono portatrici dell’Eternità, data dalle lettere alfa e omega spesso ivi incise.
Nella “Vita di Costantino” del 340 il vescovo Eusebio racconta come la figura della Croce fosse in grado di respingere l’esercito nemico e come durante le battaglie Costantino ordinasse di portare la raffigurazione della Croce là dove il suo fronte vacillava e, aggiunge Eusebio, “come se si trattasse di un talismano che avesse virtù di propiziare la vittoria e questo accadeva al suo solo apparire”.
Un esempio di Croce, visualizzazione del concetto teologico riguardante vittoria ed eternità, è la croce d’oro di Cesarea Marittima, del V secolo (QUI per osservare l’immagine) oggi al museo del Comune di Milano. Dentro di essa troviamo la scritta fos e zoe – luce e vita – e, centralmente, l’alfa e l’omega, simboli di eternità.
Una metamorfosi totale rispetto alla gerarchia di valori (servire, stando in mezzo agli ultimi, non comandare a fianco del potere mondano) e alla fine terrena di Gesù: la croce passa dall’essere mezzo di tortura e di decesso terribile ed infamante a diventare la sede e il deposito del potere più grande che l’umanità abbia mai potuto immaginare, la sconfitta della morte ed il dono di una vita eterna.
Non poteva essere altrimenti in un impero fondato sulla divinizzazione del sovrano, il quale esaltava ed usava strumentalmente la Croce nella gestione del mondo. La croce, quindi, non era più un luogo di morte neppure nell’arte, ma l’entità simbolica che dava la vittoria – spirituale e, non dimentichiamo, materiale – ai singoli e agli imperatori (proprio a partire da Costantino).
Essa era diventata lo stemma trionfale dello Stato, dominatore del mondo, e della Chiesa (complice nella gestione del governo) che lo appoggiava e ne veniva ricompensata.
Per approfondimenti sulla svolta costantiniana: don Carlo Molari, il grande teologo morto recentemente.
L’immagine in evidenza è tratta da: unsplash
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