Riformismo

In un post pubblicato su facebook il 15 luglio scorso, Gianni Cuperlo, deputato del Pd nonché membro della direzione di quel partito, ha auspicato che venga archiviato una buona volta “il dualismo tra radicalità e riformismo“.

Nel suo post, Cuperlo parte dalla considerazione che la parola riformismo è inflazionata, al punto che se ne è perso il senso: battezzato e reclutato un numero tale di volte e da una quantità tale di soggetti da avere smarrito qualunque connotazione riconoscibile col risultato di coprire –con questo termine lo stesso termine, intendo – pratiche opposte e, dunque, di essere rimasto parola depurata dal concetto.”

C’è del vero in questa considerazione. E quindi, giusto risalire alle origini del termine ovvero, come fa Cuperlo,  alle azioni e al pensiero di uomini come Ernesto Rossi (ma anche Carlo Rosselli, Salvemi, Matteotti e tanti altri) che del riformismo italiano sono stati i principali esponenti.

Come è noto, per Ernesto Rossi il cambiamento e l’evoluzione verso forme sociali più eque vanno realizzati attraverso riforme graduali piuttosto che con rivoluzioni violente.

In numerose opere e interventi Ernesto Rossi delineò i principi fondamentali della politica riformista: procedere attraverso riforme strutturali, promuovere la partecipazione più ampia possibile dei cittadini, avere un approccio pragmatico (i “piccoli passi”) e non utopistico.

Per esemplificare il vero riformismo, Cuperlo sceglie l’opera di Ernesto Rossi “Abolire la miseria”.

A noi non sembra una scelta felice. Diremo più avanti perché.

Rossi non sostiene, in quel testo, che la povertà e la miseria siano un prodotto della società capitalistica. Piuttosto ritiene che se le forze private sono lasciate a se stesse la “striscia della miseria” (come lui la chiama) tenderà a crescere. E dice che la sua presenza anche in paesi economicamente sviluppati è un fatto “ripugnante alla nostra coscienza morale”.

Propone una vasta e profonda riforma dello stato del benessere, con una buona idea di fondo: fornire beni e servizi reali ai più poveri piuttosto che trasferimenti in denaro (quindi sarebbe stato contrario al reddito di cittadinanza). Ma nel delinearla, l’uomo mosso da istanze morali ( il Rossi utopista) prende spesso il sopravvento sul politico pragmatico (il Rossi riformista).

La soddisfazione dei bisogni essenziali, nella proposta di Rossi, verrebbe garantita socialmente, con la collettivizzazione della produzione di vari beni e servizi. In pratica, come sintetizza l’economista Silos Labini in una introduzione al libro di Ernesto Rossi, rientrerebbero in quest’area, oltre la scuola e la sanità “alcuni settori della produzione agraria, dell’industria alimentare e di quella del vestiario, e l’edilizia popolare, con la distribuzione gratuita di mobili e suppellettili. Alla produzione dei   beni   occorrenti   per   soddisfare i bisogni   essenziali   dovrebbe provvedere l’esercito del lavoro, costituito da giovani dei due sessi, i quali, terminata la loro preparazione scolastica, sarebbero obbligati a prestare servizio in tale esercito, per un certo periodo di tempo: mettiamo per due anni

Sono proposte molto radicali. Tanto che risulta difficile considerarle delle vere e proprie proposte di “riforma”. Silos Labini infatti le definisce “quasi rivoluzionarie”:  la riforma proposta è tale che se si scegliesse di realizzarla implicherebbe il cambiamento della natura stessa del sistema capitalistico (cosa che non rientra in una prospettiva riformista).

Certamente Ernesto Rossi non pensava ad una economia collettivizzata in tutte le sue attività. Pensava ad una economia a due settori, quello privato e quello pubblico. Tuttavia la preminenza dell’istanza morale (questa più che la politica e l’economia anima quel testo) è tale che lo porta a dire: “se ci trovassimo davanti all’alternativa di accettare tali regimi, così come sono, o di passare a regimi comunistici, in cui la regolamentazione dal centro di tutta  la  vita  economica  e  il  lavoro  obbligatorio  permettessero  una  distribuzione  egualitaria  del reddito sociale, saremmo molto incerti quale preferire, nonostante la nostra ferma convinzione che i  regimi  comunistici  sarebbero  necessariamente  meno  produttivi,  e  potrebbero  essere  realizzati solo attraverso una tirannide burocratica”.

Tutto ciò, evidentemente, a Cuperlo piace molto: vi riscontra “il coraggio della radicalità”.
Ma a ben vedere la via indicata in quel testo per sconfiggere la miseria nasce da un irrazionale slancio giacobino al quale lo stesso Ernesto Rossi non darà molto seguito, non sarà più ripreso nei testi successivi (Abolire la miseria, ideato nel 1931, non verrà mai portato a termine). Del resto cos’è il cuperliano “coraggio della radicalità” se non ciò che in un linguaggio un po’ meno aulico chiameremmo  “massimalismo”?

Quanto al dualismo tra radicalità e riformismo di cui parla Cuperlo, il testo di Rossi non ci aiuta a trovare quella sintesi che il deputato Pd considera importante cercare. E viene da chiedersi se una sintesi sia possibile.

Anche qui ci permettiamo di suggerire, sul piano del linguaggio, un sinonimo un po’ meno aulico ma anche meno vago di “sintesi”: la parola “compromesso”.

Resta il fatto che quel dualismo preoccupa Gianni Cuperlo perché è lo stesso che agita la vita del suo partito, dove la componente moderata, maggioritaria tra gli iscritti ma sconfitta nelle elezioni primarie, rimprovera all’attuale gruppo dirigente di aver messo in soffitta la vocazione riformista per abbracciare una linea politica da sinistra radicale (massimalista), più vicina a quella portata avanti da alcune formazioni di estrema sinistra e  di aver sostituito le battaglie riformiste con battaglie identitarie.

Evocando il coraggio della radicalità,  Cuperlo indica al suo partito, per superare il deprecato dualismo, l’assunzione di una linea politica, appunto, più radicale. Insomma un generale spostamento a sinistra. Accettare, senza più tante remore, i connotati di un partito massimalista.

Ma al Pd, oggi, ciò che difetta non è certo il coraggio della radicalità (basta pensare che Goffredo Bettini, il principale ideologo del “nuovo corso”, ha scritto nel suo ultimo libro che bisogna “recuperare la scintilla della Rivoluzione d’ottobre”).

E va detto a chiare lettere che proprio l’azione politica del principale partito della sinistra italiana offre oggi molti esempi di un riformismo proclamato a parole ma nei fatti svuotato del suo reale significato (quello che tanti pensatori liberi hanno contribuito a definire: approccio pragmatico e non utopistico).
Un esempio recente è rappresentato dalla posizione assunta dal Pd, ovvero dal suo attuale gruppo dirigente, sulla questione immigrati, che ha visto contrapposti Elly Schlein e l’ex ministro Marco Minniti.

La segretaria del Pd Elly Schlein ha criticato l’accordo tra Bruxelles e Tunisi sui migranti, l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (anch’egli del Pd) invece lo ha lodato.

Il “Memorandum” sottoscritto a luglio tra l’Unione europea e la Tunisia, con la mediazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è una novità in tema di politiche migratorie anzi, come scrive Carlo Panella su Linkiesta del 7 luglio 2023 , segna una svolta, “per la sua struttura articolata che integra per la prima volta il problema dei flussi migratori irregolari dentro un quadro di intervento europeo sullo sviluppo economico di un paese di provenienza dei migranti”.

Il Memorandum si basa su 5 punti: Aiuti economici per le scuole tunisine e possibilità per i giovani tunisini di partecipare al progetto Erasmus; Aiuti economici per lo sviluppo dell’economia tunisina; Investimenti europei per il commercio, il turismo e la connettività della Tunisia;  Un progetto win-win per la produzione di energia pulita; Operazione Search and rescue  per la lotta ai trafficanti , con l’impegno della Tunisia a riaccogliere i migranti irregolari tunisini rimpatriati dall’Italia e dall’Europa.

Elly Schlein ha attaccato duramente l’accordo dicendo che “è l’ennesimo tentativo di esternalizzare il controllo delle frontiere senza tenere conto il rispetto della democrazia e dei diritti umani”.


Alla segretaria del Pd sembrano sfuggire almeno due cose: la prima è che in quasi nessuno dei paesi nord africani vi è garanzia sulla democrazia e sul rispetto dei diritti (e allora non si fanno accordi con nessuno?). La seconda cosa è quella che le ha rammentato la Presidente del Consiglio: se l’Europa non si fa carico della soluzione della crisi tunisina e poi di rapporti stretti e innovativi con l’Africa sub sahariana, la Wagner è già pronta a intervenire a copertura di ingenti finanziamenti cinesi e russi come fa già da anni in ben tredici Stati africani.

Lasciamo le conclusioni al commento di Carlo Panella:

pensare che sia possibile imporre un percorso di democratizzazione dall’esterno e dall’alto, quasi fosse possibile una “esportazione della democrazia” per via diplomatica è velleitario. … Marco Minniti, al contrario della segretaria del Pd, è pienamente consapevole della interdipendenza del quadro africano con quello russo-ucraino e quindi non si imbarazza, da uomo di sinistra ma non settario, ad applaudire al Memorandum Ue-Tunisia: «È un successo per il nostro governo e per l’Europa che fa da apripista per la stabilizzazione dell’Africa che è il fronte secondario della guerra asimmetrica con l’Ucraina».
“Minniti ovviamente, e lo dice, è estremamente sensibile al tema dei diritti umani ma, profondo conoscitore della realtà africana e della realtà dei paesi da cui provengono i flussi migratori sa bene che i diritti si affermano in processi storici lenti, non per decreto e in uno scambio con gli aiuti. Va quindi ben oltre l’apprezzamento per l’operato del governo: «Sarò diretto: Giorgia Meloni non solo può, ma deve avere il ruolo della Merkel per spezzare lo stallo africano e stabilizzare i territori per risolvere la questione dei “movimenti secondari”. Che si chiami “Piano Mattei” o altro fa lo stesso. La sfida è fondamentale per i destini dello stesso Occidente».Due sinistre. Incompatibili”.

Sintesi:
La segretaria del Pd ha criticato in modo velleitario l’accordo tra Bruxelles e Tunisi sui migranti, ribadendo la sua visione massimalista. L’ex ministro dell’Interno invece loda il patto, perché sa che per ottenere risultati concreti bisogna procedere a passi piccoli, ma significativi”.

L’immagine in evidenza: Maria Teneva su unsplash
Le immagini nel testo sono tratte, nell’ordine, da: amazon.it; rainews.it

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