PUNTIDIVISTA
Referendum a pioggia

LA REPUBBLICA   CORRIERE DELLA SERA  LA STAMPA  LINKIESTA

Dal 20 luglio scorso, la raccolta delle 500 mila firme previste per poter avanzare una proposta di referendum abrogativo (in toto o in parte) di una legge esistente è diventata più facile grazie ad un emendamento al Decreto Semplificazioni, proposto dal  parlamentare di +Europa Riccardo Magi, che  ha introdotto la possibilità della firma digitale nonché la possibilità di firmare ai banchetti davanti ad avvocati, oltreché davanti a notai e segretari comunali.
Poiché sono ormai molti gli italiani dotati di identità digitale (lo Spid) e molti quelli che usano i social, i tempi per raggiungere le 500 mila firme previste si sono enormemente accorciati. Ad esempio, raccontano le cronache, i promotori del referendum sulla cannabis  in tre giorni hanno raccolto più di 300 mila firme.

Se la Corte Costituzionale dovesse pronunciarsi positivamente sulla ammissibilità delle proposte per le quali sono già state raccolte le firme o è stata annunciata l’intenzione di farlo, la primavera prossima potremmo essere chiamati a votare in merito a dieci (forse undici) quesiti, riguardanti:  la riforma della giustizia (ben 6 quesiti), la legalizzazione della cannabis, la depenalizzazione della eutanasia, l’abolizione della caccia, abolizione delle norme sul green pass e (forse) l’abolizione del reddito di cittadinanza.

Secondo alcuni l’introduzione del voto digitale può produrre grossi squilibri nella composizione del corpo elettorale.
Oggi i possessori di Spid sono solo la metà degli elettori e sono soprattutto giovani (cioè le persone che più hanno dimestichezza con gli strumenti informatici e quindi anche più “intercettabili” da chi promuove campagne mediatiche sul web).
I dati resi noti dai promotori del referendum sull’eutanasia dicono che circa il 60% dei firmatari è costituito da donne, il 65% delle quali ha tra i 18 e i 35 anni.
Sul piano territoriale, poi, la maggior parte delle firme proviene dal Nord (56%) e solo una piccola parte dal Sud (16%), dove vi è una minore diffusione del digitale.

Qualcuno ha parlato di “rivoluzione silenziosa” e ci si chiede se la facilità con la quale è ora possibile sottoscrivere le proposte referendarie cambierà anche il modo fi fare politica. Pertanto, accanto a chi accoglie con entusiasmo i dati sulla partecipazione giovanile c’è anche chi incomincia a parlare della necessità di introdurre possibili correttivi nel meccanismo referendario.

Per l’ex senatore Luigi Manconi (La Repubblica del 14 09 2021) la massiccia partecipazione delle fasce giovanili è” una gran bella notizia”: “La mobilitazione di settori delle giovani generazioni può costituire una risorsa preziosa per movimentare la gran bonaccia delle Antille” (ovvero l’immobilismo dei partiti).

Sempre su La Repubblica, il presidente emerito della Corte Costituzionale, prof. Giovanni Maria Flick, condividendo le preoccupazioni di chi teme una riduzione del ruolo del Parlamento e dei partiti, afferma: “Probabilmente va aumentato il numero di firme, anche perché quel quorum è stato fissato nel 1947 quando la popolazione italiana era molto inferiore a quella attuale”. E, aggiunge, “il problema è politico e la politica deve risolverlo in un contesto che valorizzi la voce del popolo, ma non delegittimi il Parlamento”.

In un articolo di Virginia Piccolillo, del 19 09 2021, il Corriere Della Sera raccoglie i dubbi di vari costituzionalisti sulle firme “lampo” in Rete:
Sandro Stajano (Docente di Giurisprudenza alla Federico II di Napoli): “C’è un eccessivo ricorso anche su temi sensibili a uno strumento troppo radicale, perché tenta una soluzione semplice a problemi complessi”.
Stefano Ceccanti (giurista e deputato dem) ha proposto di innalzare a 800.000 le firme necessarie, ma di abbassare quel quorum al 50% più 1 dei votanti alle precedenti politiche. Inoltre, “con una legge ordinaria si potrebbe anticipare il controllo di ammissibilità della Corte Costituzionale dopo 100mila firme”.

Filippo Vari (ordinario di diritto costituzionale e vicepresidente del centro studi Livatino): “Occorre evitare che si arrivi a una democrazia semi-diretta che si fonda sulla logica del sì o no: la democrazia ha bisogno di tempo e lo strumento telematico si presta a manipolazione”. Il prof. Vari è  favorevole all’aumento delle firme e al mantenimento del quorum al 50% più 1 degli elettori.
Paolo Armaroli (docente di diritto pubblico) è convinto che il problema non sia la «tecnologia» ma le «tecnicalità» sulle quali a volte il cittadino viene chiamato a decidere senza averne gli strumenti.

Daniele Trabucco (docente di diritto costituzionale ) pensa che aumentare le 500 mila firme stabilite nel lontano 1947 darebbe maggiore autorevolezza alla consultazione. Quanto al referendum abrogativo delle norme sul green pass, Trabucco, che pure condivide la battaglia contro il green pass, precisa: “È un tema molto divisivo e sarebbe importante sentire il corpo elettorale. Ma dal punto di vista tecnico non ci sono i tempi. Bisognerebbe, infatti, aspettare la conversione in legge del decreto sul green pass per evitare il rischio di trovarsi il testo modificato”.

Andrea Patroni Griffi  ( docente di diritto pubblico e costituzionale ): “Se dietro all’innalzamento del numero delle firme c’è il timore che sia più facile utilizzare il referendum come grimaldello per scardinare la democrazia rappresentativa penso che il tema sia più ampio. Se il ruolo del Parlamento è in crisi e la democrazia parlamentare segna il passo non possiamo illuderci che dipenda dal fatto che online è più facile raccogliere le firme.

Sempre sul Corriere Della Sera, anche Gaetano Azzariti, costituzionalista e professore ordinario alla Sapienza di Roma, lancia l’allarme sui referendum al tempo di Internet: ”Non c’è dubbio, la legge sui referendum deve essere cambiata. Con la raccolta delle firme online, la soglia delle 500 mila adesioni è troppo facile da raggiungere… Come diceva Stefano Rodotà, si rischia di trasformare la democrazia rappresentativa nella democrazia dell’immediatezza telematica”. “Se non si interviene, si va incontro a diversi problemi”. “Prima di tutto è concreto il rischio di delegittimare le istituzioni, che si reggono su un delicato equilibrio fra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. La decisione inevitabile di accettare le firme raccolte online rende almeno in teoria molto facile l’avvio dell’iter per chiedere i referendum, altera appunto questo equilibrio. Inoltre si rischia di ingolfare la Corte Costituzionale di richieste su questioni minori o, peggio, su temi controversi, creando poi un collo di bottiglia che penalizzerebbe anche i referendum più importanti”. … “redo che sia razionale, anche se insufficiente, la proposta del Pd di introdurre il giudizio della Corte Costituzionale dopo le prime 100 mila firme, per evitare che vengano bocciati referendum dopo che magari hanno avuto l’adesione di un milione di persone». C’è anche il rischio che lo strumento del referendum “ne esca indebolito sia per il possibile eccesso di richieste, sia per la mancanza di dibattito che era invece necessario per convincere le persone a firmare in presenza”.

Da questo punto, ovvero la differenza non di forma ma di sostenza che porta con se la modalità di raccolta delle firme, partono le riflessioni svolte da Nello Rossi sul quotidiano La Stampa e da Francesco Cundari sul quotidiano online Linkiesta.

Scrive Nello Rossi, direttore della rivista Questione Giustizia, in un articolo pubblicato sul giornale torinese del 18 09 2021:

“Le lunghe campagne referendarie erano promosse da associazioni rappresentative e costituivano un’occasione di discussione e di approfondimento dei quesiti. Che accadrà ora che l’accesso alle procedure di democrazia diretta è alla portata anche di esigue minoranze o di ristrette élite e sarà possibile raccogliere, magari sull’onda di emozioni collettive, adesioni pressochè istantanee? Per altro verso rischia di incrinarsi il delicato equilibrio disegnato dalla Costituzione tra il Parlamento, che appare troppo spesso fragile, paralizzato ed inerte, e l’accresciuto protagonismo di istituti di democrazia diretta che erano stati concepiti dai costituenti per coesistere con la democrazia rappresentativa e non per bypassarla o surrogarla. …
È ragionevole prevedere che riprenderà vigore il dibattito sul numero di firme richieste – oggi cinquecentomila – per proporre un referendum. Per innalzarlo, come in molti già dicono, al fine di adeguarlo alla aumentata popolazione ed al nuovo contesto tecnologico. Ma anche, ad avviso di chi scrive, per fissare un soglia massima di firmatari, al pari di quanto avviene per le firme di sostegno delle candidature nelle competizioni elettorali. Servirebbe ad evitare che referendum sorretti in partenza da un numero troppo elevato di firmatari si trasformino in plebisciti. E a scongiurare il rischio che la democrazia rappresentativa evolva, grazie a un uso eccessivo e improprio degli istituti di democrazia diretta, in una indesiderabile democrazia plebiscitaria”.

Il rischio di aprire le porte ad una qualche forma di democrazia plebiscitaria è una preoccupazione presente anche nell’intervento – su Linkiesta del 21 settembre – di Francesco Cundari (che però usa l’espressione ‘populismo antipolitico’).
Cundari parla di un ‘minaccioso ritorno della democrazia diretta’, in questi termini:

“C’è una ragione se i costituenti posero come condizione per presentare un referendum la raccolta di 500 mila firme, in un’epoca in cui per mille ovvie ragioni, non ultima il fatto che gli abitanti erano 45 milioni in tutto, raggiungere quella soglia non era affatto facile …
La ragione è che i padri costituenti non per caso li chiamiamo così: perché erano saggi, prudenti e lungimiranti come la tradizione vorrebbe che fossero sempre i padri, oltre che per distinguerli dai figli degeneri che sono venuti dopo, incapaci di guardare oltre le conseguenze più immediate di qualunque scelta, e spesso neppure fin lì. …
È evidente che ora bisognerà trovare dei contrappesi, per evitare di essere sommersi da una valanga di referendum su tutto e il contrario di tutto, ma è altrettanto evidente che ai contrappesi avremmo dovuto pensare prima, o perlomeno contestualmente all’introduzione delle firme digitali, per evitare un’ulteriore ondata di populismo antipolitico e demagogia antiparlamentare, che adesso ostacolerà qualsiasi tentativo di riequilibrio. …
C’eravamo appena liberati delle fesserie telematico-autoritarie dei casaleggesi, scaricati persino dai grillini, ed ecco che la sempre feconda matrice del populismo italiano ha già pronto il nuovo modello, che poi è vecchissimo: quel movimento o partito dei referendum che ciclicamente torna a delegittimare il sistema politico-istituzionale, ed è anzi una delle fonti politico-culturali del grillismo. …
Dopo il taglio dei seggi, avremo così direttamente la definitiva decapitazione del Parlamento, pratica e simbolica. Pratica, perché una volta che qualunque proposta potrà finire direttamente sulla scheda referendaria, a cosa servirà più il Parlamento? Simbolica, perché la retorica sull’inerzia dei partiti e delle istituzioni, cui si contrapporrebbe il movimento referendario quale unico interprete della volontà popolare, è populismo in purezza, corrispondente alla sua definizione tecnica più precisa: da un lato la vera volontà popolare, quella di chi la pensa come noi, che non rappresenta dunque una parte, ma il tutto; dall’altro la casta dei partiti, la palude del Parlamento e della democrazia rappresentativa, che non rappresenta nessuno”.

L’immagine in evidenza è tratta da: ilriformista.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: ilmessaggero.it; wired.it; ilbecco.it; wired.it; repubblica.it

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.