Sul taglio dei parlamentari
La riduzione del numero dei parlamentari come parte di un
disegno più ampio di rivisitazione e messa a punto degli strumenti della
rappresentanza, per renderli più efficienti e più adeguati alle esigenze della
realtà attuale, non sarebbe un problema. Il problema è che quel disegno più
ampio non c’è e ci sono buone probabilità che, almeno nel breve periodo, non ci
sarà: perché il governo ha tante altre priorità da affrontare (in primo luogo
fronteggiare la difficile situazione in cui versa l’economia del paese, con il
fardello di un immenso e devastante debito pubblico). Invece il programma sulla
cui base è nato questo governo dice proprio questo: la riduzione del numero dei
parlamentari sarà fatta “avviando contestualmente un percorso
per incrementare le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza
democratica”.
Significativa è la risposta che Di Maio, all’uscita da Montecitorio dopo che la Camera aveva votato si al taglio, ha
dato ad una giornalista che gli chiedeva se ci fosse già una ida sulla riforma più
complessiva della rappresentanza: “di questo se ne parlerà a partire da
domani”. E “domani” non è da intendere come “il 9 ottobre” ma come “un
domani”. Un tempo indeterminato, come
indeterminato è il contenuto della
riforma che avrebbe dovuto costituire il contesto
della decisione presa l’8 ottobre, quasi all’unanimità, dalla Camera dei deputati
su proposta del M5s.
Mancando il contesto manca la motivazione per cui si è proceduto al taglio. Ad esempio: perché si tagliano 345 parlamentari e non 400 o 200? È previsto (sempre nel programma di governo) che dovrà essere cambiata la legge elettorale, ridisegnati i collegi elettorali e ridefinita anche l’età dell’elettorato attivo e passivo. Pertanto, se non si sa ancora quanti cittadini voteranno e con quali modalità appare per lo meno prematuro definire il numero dei parlamentari.
Speriamo che non sia la prima di una serie di misure che il M5s ha nel proprio programma politico per aggredire i capisaldi della democrazia rappresentativa. Speriamo ad esempio che a questa misura non seguano cose ben più gravi come l’abolizione del vincolo di mandato per i parlamentari.
Perché questo è il punto: una motivazione, in realtà, c’è ed è riconducibile alla ideologia illiberale che il M5s ha spesso sintetizzato nella metafora “apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno”. Fuori di metafora, secondo il dettato del padre del Movimento (il titolare della Casaleggio Associati), gli aderenti al M5s hanno tra i loro obiettivi quello di adoperarsi affinché il parlamento “perda le sue funzioni “.
Questo obiettivo viene perseguito facendo ricorso ad una strategia tipica di ogni movimento populista: facendo propria, assumendone la rappresentanza, una vox populi. Nel caso in questione la vox populi è l’idea diffusasi tra la gente che i politici non sono onesti, sono una casta che vive indegnamente alle spalle del popolo (non ha importanza se è vero o no o in parte. Molta gente lo crede)
Per i populisti del M5s il nocciolo della questione non è stato e non è fare in modo che il parlamento funzioni meglio ma compiere un atto esemplare contro la casta, e farsene un vanto per ottenere consenso.
Il nostro punto di vista è che consentire che il taglio avvenisse prima della definizione di un più ampio contesto di riforma sia stato un errore delle forze democratiche. Ad esso si può porre facilmente rimedio, adoperandosi affinché quel contesto venga definito in tempi molto brevi.
Quanto alla ideologia che vi sta dietro, riteniamo che essa non avrà una reale possibilità di affermarsi se gli italiani non saranno disposti a rinunciare a molte delle libertà che hanno conosciuto e praticato dalla seconda metà del secolo scorso a questa parte. Se ci pensiamo scopriamo che sono veramente tante ed hanno migliorato sostanzialmente la nostra vita. Fanno parte di quello che viene chiamato progresso ed è stato possibile anche grazie all’azione operosa e intelligente del Parlamento, dei tanti rappresentanti del popolo (sicuramente la grande maggioranza dei deputati e senatori eletti dagli italiani nelle varie legislature) che non possono essere sommariamente additati come una casta fatta di ladri e imbroglioni.
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