“Questo Papa è tutto moralismo, ideologismo e pauperismo” ? /1

Con il titolo “Questo Papa è tutto moralismo, ideologismo e pauperismo” un articolo di Giuliano Ferrara, su Il Foglio del 10 09 2020, sintetizza la figura e il progetto di papa Francesco, a cui contrappone i pontefici a lui più cari, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, non a caso i papi che hanno intrapreso la progressiva limitazione –fin quasi al soffocamento – dei germi più innovativi del Concilio Vaticano II.

Innanzitutto si tratta di una critica “estetica”, quella di Ferrara, perchè giudica che Francesco “non ha incisività espressiva…non muove, non commuove, non ispira…chi lo ascolta non vede un maestro sulla montagna…“. E’ invece ancora vivo il ricordo di Giovanni Paolo II, attore in gioventù, dai gesti solenni, marcati (e calcolati), il papa che bucava lo schermo con quella faccia vigorosa e il movimento di un fisico sorprendentemente eloquente. Il riferimento al “maestro sulla montagna” si riferisce certo al Gesù del Discorso ma si connette bene anche alle caratteristiche sportive, da provetto sciatore, del papa polacco, mentre Francesco, con il suo fisico esile e poco allenato, fa tutt’altra impressione. Nell’epoca del culto dell’immagine e del corpo, la figura di Francesco non regge accanto a quella di Woytila, ma, mentre per Ferrara ciò diventa un limite, per noi resta uno dei pregi più interessanti – ed innovatori – del pontefice attuale.

Si tratta infatti, da parte di papa Francesco, di realizzare un capovolgimento – naturale e spontaneo per lui, ma consapevole fin dalla scelta del nome al momento dell’elezione a pontefice – della logica mondana dominante per indicare, al suo posto, il recupero della qualità di una relazione essenziale perché priva di orpelli ed elementi superflui. Senza fermarsi all’apparenza, spesso appariscente quanto inconsistente, papa Francesco propone invece, senza forzature da parte sua, la propria identità di umanità semplice come lo è il messaggio che vuole incarnare, umanità umile come quella che dovrebbe animare ogni cristiano, umanità immediatamente identificabile perché priva di effetti retorici o manipolazioni fotografiche.  Per calcare il palcoscenico del teatro si studia e ci si prepara, Francesco invece trasmette una consapevolezza del suo ruolo e una conoscenza del mondo che non hanno inficiato l’autenticità del suo comportamento e la semplicità dei gesti, ai quali corrisponde perfino una scelta dell’abbigliamento che non prevede la vanità delle scarpe e del camauro.

Anche l’eloquio di Francesco somiglia al suo modo di essere e di presentarsi: “spiegazioni facili, sentimenti correnti e piatti al posto di ipotesi soprannaturali…” scrive Ferrara, abituato ai libri di ricerca filologica e filosofica, ai discorsi densi di riferimenti del papa precedente, il quale si dedicava agli studi e alla scrittura mentre la sua Chiesa precipitava nella crisi più profonda degli ultimi decenni (secoli?) al punto da costringerlo ad accettare l’incompatibilità fisica e psicologica col ruolo che ricopriva.

Per chi vuole capire e non è accecato dall’amore per il Barocco, per i fasti e per gli ori della Chiesa della Controriforma, le spiegazioni di Francesco sono altrettanto “facili, correnti e piatte” quanto lo sono, nella loro evidenza, le Beatitudini di cui parlava il Maestro. Tutti, dal colui che è privo d’istruzione all’insignito dal premio Nobel, capiscono i concetti semplicissimi, per nulla misteriosi (altro che “ipotesi soprannaturali” o elucubrazioni in latino con cui stupire la gente) quali l’essere giusti, misericordiosi, miti, operatori di pace. Concetti semplici, non “semplicistici” perché così come l’invito di Francesco a far diventare la Chiesa un” ospedale da campo” e a realizzare ovunque “i ponti” dell’accoglienza, essi sono indicazioni chiarissime ma di enorme difficoltà nella realizzazione, e di richiesta di un impegno costante e di una alta responsabilità.

Le Beatitudini sono, secondo le parole di Francesco (che invitiamo a rileggere), “la carta d’identità del cristiano perché delineano il volto di Gesù stesso, il suo stile di vita”. Per concludere: il poverello di Assisi non era dotto, leggeva pochissimo se non i vangeli, era una figura esile, mingherlina, perfino sgraziata e brutta, secondo i biografi; inoltre ha scritto pochissimo, parlando al cuore più che alla mente, e nei suoi discorsi “non si ode nemmeno l’eco della grande letteratura cristiana, moderna e tardo antica” direbbe Ferrara. Eppure quel Francesco, a suo tempo, ha fatto una rivoluzione.

L’immagine in evidenza è tratta da vaticannews.va

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.