Un voto conservatore?

I fautori del SI, soprattutto quelli che si dichiarano riformisti, accusano di conservatorismo coloro che si schierano per il NO, soprattutto quelli che si dichiarano riformisti.
In altri termini: chi è riformista dovrebbe votare SI, perché il Si produce un cambiamento, mentre il No lascia le cose come sono.

A nostro avviso è una polemica fuori luogo, svilisce il significato del termine riformista. Certo che votando NO si lasciano le cose come stanno. Ma essere riformisti non significa essere favorevoli a qualsiasi tipo di cambiamento. Significa essere per il cambiamento che porta a superare in meglio lo status quo. Nel nostro caso a rafforzare il sistema della democrazia rappresentativa. In che modo tale obiettivo verrebbe raggiunto con una riforma che si limita a ridurre il numero dei parlamentari è tutto da dimostrare.

Si sente dire spesso: si va avanti per piccoli passi, del resto la riduzione del numero dei parlamentari è contemplata anche nei vari progetti di riforma proposti finora dai progressisti.
Ma quei progetti prevedevano una riforma complessiva del nostro sistema di democrazia rappresentativa. E colpisce la sicumera con la quale alcuni riformisti schieratisi per il SI affermano che il taglio previsto dalla proposta referendaria è un primo passo per andare in quella direzione. Non si capisce su quali basi, visto -tra l’altro- che ad un anno dall’avvio del governo Conte 2 nessuno dei cosiddetti “correttivi” (richiesti da Zingaretti come garanzia per assicurare il SI del suo partito) è stato introdotto. Come è noto il segretario del Pd aveva posto la condizione che venissero varate alcune misure –i correttivi, appunto- (come la modifica dei Regolamenti delle Camere e una nuova Legge elettorale) al fine di attenuare prevedibili effetti negativi del semplice taglio dei parlamentari. Anche la richiesta del capogruppo PD alla Camera Graziano Delrio di aprire quantomeno una discussione in Parlamento prima del voto referendario è rimasta inascoltata.

In sintesi: quello che il referendum del 20-21 Settembre ci propone è di accettare o respingere un puro e semplice taglio dei parlamentari (tra l’altro fatto a casaccio) lasciando immutato tutto il resto.
È legittimo il timore che l’eventuale vittoria del SI, e pertanto l’approvazione popolare di una riforma che per quanto imperfetta è pur sempre una riforma costituzionale e va applicata, possa allontanare il momento in cui le forze politiche di questo Paese si metteranno a discutere e a confrontarsi seriamente su come modificare il sistema attuale per dare più efficienza e autorevolezza alla nostra democrazia rappresentativa.

Come riformisti non disdegniamo il gradualismo. Il punto non è se procedere o no per piccoli passi, il punto è, innanzitutto, cercare di imboccare la strada giusta. Ma senza una idea condivisa (almeno dalle forze che costituiscono la maggioranza), senza un minimo di chiarezza sulla via da percorrere, come si potrà costruire una seria riforma del Parlamento, ovvero della principale istituzione della democrazia rappresentativa? La sua attuale struttura, è bene ricordarlo, è frutto di un lungo e appassionato lavoro di confronto politico tra uomini di indiscussa competenza. Nella situazione attuale ragionare, discutere, confrontarsi sulle cose da fare sembra essere più l’eccezione che la regola. E così, vengono formulate proposte che portano il segno evidente dell’improvvisazione. Un esempio: affidare ad una legge ordinaria come la legge elettorale (che ogni governo può modificare a proprio piacimento) la regolamentazione di un diritto fondamentale come il diritto dei cittadini ad essere rappresentati (che il taglio dei parlamentari automaticamente ridurrebbe). E ci chiediamo, tanto per fare un altro esempio, se  qualcuno ha capito qual è la logica per cui i senatori debbano essere 200 e non 250 o 100.
Insomma, non vorremo che si confondesse il pragmatismo con il pressapochismo e la sciatteria.

E allora, a scanso di equivoci, ribadiamo che le ipotesi di riforma del Parlamento che più stanno a cuore ai progressisti hanno al centro non il taglio lineare (e arbitrario) dei rappresentanti, ma il superamento del bicameralismo paritario (ovvero: avere una sola Camera che fa le leggi e da la fiducia al Governo). Una tale riforma comporterebbe una riduzione del numero dei parlamentari che avrebbe un senso perché rapportata alle funzioni che verrebbero attribuite alle singole Camere. E porterebbe il nostro sistema rappresentativo al livello degli altri paesi europei. Lasciare in piedi due Camere che fanno la stessa cosa significa conservare un sistema che ormai nell’Unione Europea non ha più nessuno (perché è poco efficiente). Il voto No ha questo significato: respingere una riforma controproducente e pure inutile (copyright Cottarelli) e ribadire la necessità e l’urgenza di fare una riforma vera. Altro che conservatorismo.

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