Due cose che ci aspettiamo da Joe Biden

Dopo lo spettacolo cui abbiamo assistito in questi giorni, in occasione della elezione del 46esimo presidente della repubblica nella più grande democrazia dell’occidente (lentezza e disfunzionalità varie nei conteggi dei voti, accuse di brogli elettorali, rifiuto di riconoscere la vittoria dell’avversario da parte del presidente uscente (senza addurre la benché minima prova di eventuali brogli), minacce neanche tanto velate di ricorso alla forza, manifestanti trumpiani che irrompono in alcuni seggi armati di pistole e fucili, messaggi di istigazione all’odio e alla violenza tramite social) si può essere persino tentati di rivalutare l’imperfetto  sistema politico italiano. Una tentazione che (definendola, giustamente, pazza e irrazionale) ha provato il direttore del quotidiano Il Foglio, Claudio Cerasa, esprimendola in questi termini: “in una stagione come quella che stiamo vivendo oggi in cui non è raro imbattersi in una qualche forma popolare di estremismo politico, l’imperfetto sistema italiano, con un capo del governo non eletto direttamente dal popolo e una Corte costituzionale impermeabile alle stagioni politiche, è riuscito, come d’altronde è capitato anche a un altro sistema parlamentare come quello tedesco, a garantire una maggiore stabilità rispetto ai perfettissimi sistemi anglosassoni ed è incredibilmente riuscito a svuotare gli estremismi con un’efficienza nemmeno lontanamente paragonabile a quei sistemi politici”.

Una simpatica provocazione. Ma una considerazione comunque va fatta, sul funzionamento dei sistemi politici e, in particolare, sulla loro capacità di resilienza. I sistemi basati sulla democrazia rappresentativa, posseggono gli anticorpi necessari per contrastare nemici molto insidiosi come il populismo? In linea teorica la risposta è si. Dipende però da varie cose. Dipende ad esempio da come è stato costruito e come funziona il sistema di “pesi  e contrappesi” ovvero di regole e istituzioni finalizzato a bilanciare i poteri e a impedire quello che Tocqueville chiamava la dittatura delle maggioranze parlamentari.
Un’altra variante da tenere in considerazione è il sistema elettorale adottato. Seguendo il ragionamento di Cerasa si potrebbe affermare, ad esempio, che il sistema proporzionale consentendo accordi parlamentari per la formazione del governo offre l’opportunità di “svuotare gli estremismi con un’efficienza nemmeno lontanamente paragonabile ai sistemi maggioritari”. E in effetti, se guardiamo a quanto è successo nel  nostro Paese negli ultimi 13 mesi, dobbiamo prendere atto che il sistema politico italiano è riuscito a smorzare gli impulsi populisti. Si potrebbe però aggiungere che anche i sistemi maggioritari hanno un loro punto di forza contro le derive estremistiche e populistiche: quello di favorire l’alternanza.

Insomma, i sistemi politici democratici possono riuscire a contrastare le follie del populismo o quantomeno a limitarne i danni, trovando al proprio interno le risorse (strumenti, idee e persone) per farlo. È successo in Europa ed ora sta succedendo in America. Mostrando buone capacità di resilienza, la democrazia americana, con la sconfitta di Trump, mostra di aver saputo riconoscere ed evitare “l’abisso dell’autoritarismo nazionalista” (copyright NYT).  E di questo buona parte del merito va ai leaders democratici, in primo luogo a Joe Biden e a Kamala Harris.

Prima aspettativa

Come cittadini del mondo, consapevoli del fatto che quanto accade  negli USA ha conseguenze non di poco conto per la convivenza civile anche al di là dei confini di quel Paese, ci aspettiamo che Joe Biden si adoperi per cancellare quanto più possibile le tracce che il trumpismo inevitabilmente avrà lasciato nella politica e nella vita americana. Ci aspettiamo che venga ripristinata la normale dialettica democratica tra maggioranza e opposizione, che venga ripristinato il metodo del dialogo e del confronto, il metodo della conquista del consenso attraverso la persuasione.

Le parole usate da Joe Biden nel discorso di ringraziamento per la sua vittoria elettorale rivolto a tutti gli americani vanno nella direzione giusta: “Sarà il tempo di fare quello che abbiamo sempre fatto noi americani, ci lasceremo la retorica urticante della campagna elettorale dietro le spalle. Sarà il momento di unirci, di curarci, di rimetterci insieme come nazione. Non sarà facile, non sono un ingenuo io e nessuno di noi lo è. So quanto profonde e dure sono le visioni contrapposte nel nostro paese, ma so altrettanto bene che se vogliamo fare dei progressi dobbiamo smetterla di trattare i nostri oppositori come dei nemici”.

Seconda aspettativa

Come cittadini del mondo, consapevoli del fatto che il futuro dell’umanità dipende molto dalla cura che tutti noi riusciremo ad avere per il pianeta sul quale viviamo, da Joe Biden ci aspettiamo anche che nel più breve tempo possibile riporti gli USA nel novero dei Paesi che sottoscrivono l’accordo di Parigi sul clima: il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici.
Rapida cronistoria di quanto avvenuto finora:

Il 12 dicembre 2015 la 21° Conferenza delle Parti firmatarie della Convenzione sui Cambiamenti Climatici (ONU) ha adottato l’Accordo di Parigi. Il documento,  tiene conto di buona parte delle indicazioni scientifiche: “Mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi e perseguire tutti gli sforzi necessari per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, riconoscendo che questo ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico”. L’accordo punta anche a rafforzare la capacità dei paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi. Si tratta di una decisione storica, alla cui determinazione il presidente Barack Obama ha dato un forte contributo.

Nel giugno 2017 Donald Trump ha annunciato dal prato davanti alla Casa Bianca il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha commentato la decisione dell’Amministrazione Trump con queste parole: ” Il riscaldamento climatico è innegabile, ed è una delle minacce più grandi nel mondo attuale e per il futuro del nostro pianeta”. Invito i governi di tutto il mondo a rimanere impegnati nell’attuazione dell’intesa e per quanto riguarda gli Usa sono convinto che gli Stati, le città, il mondo dell’industria e la società civile scommetteranno sull’economia verde, che è l’economia del futuro”.

Entro la fine del 2020 si dovrebbe svolgere la prima verifica degli obiettivi fissati nel 2015 ed un loro aggiornamento (pandemia permettendo).

Il 4 Novembre 2020 l’agenzia ANSA da notizia che Joe Biden si è impegnato a rientrare nell’accordo di Parigi nel primo giorno della sua presidenza.

La foto in evidenza è tratta da corriere.it
Le altre foto sono tratte, in ordine, da: unionesarda.it; illibraio.it; borsaitaliana.it; ecovillaggiomentale.it

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