Ipotesi in campo per superare la crisi di governo

Proviamo a riassumere le principali ipotesi in campo per superare l’attuale crisi di governo.
Incominciamo da quella che viene sponsorizzata principalmente da Matteo Salvini. È l’ipotesi, diciamo così, della retromarcia. È un po’ incredibile (ma tutto il personaggio ha dell’incredibile): proprio lui che ha dichiarato conclusa l’esperienza di governo con il M5s e chiesto che si ritornasse al più presto alle urne, ora si dichiara pronto a concedere tutto quello che vogliono e molto molto di più ai pentastellati purché siano disposti a (ri)formare lo stesso governo di prima. Non si era mai vista una retromarcia così ingloriosa, quasi patetica. Essa ha soprattutto una motivazione: scongiurare che si concretizzi l’ipotesi di un governo M5s-Pd. Passare all’opposizione disponendo solo del 17% del voto parlamentare quando fino a qualche giorno fa era il politico più potente del Paese non è, per Salvini, una prospettiva lusinghiera. A parole anche una parte di aderenti (e di dirigenti) del M5s vedrebbe bene un ritorno col vecchio alleato riconoscendo (a ragione) che con la Lega vi sono più affinità di quanto non si creda. Ma nei fatti nessuno può affermare che l’esperienza di governo con la Lega non sia stato un fallimento, pagato, in termini di consenso, a duro prezzo. Si tratta quindi di una ipotesi al momento accantonata.

La seconda ipotesi da considerare è quella di un governo di legislatura tra Pd e M5s. È l’ipotesi che ha più probabilità di giungere in porto. È l’ipotesi alla quale stanno lavorando alacremente Zingaretti e Di Maio e che molto probabilmente gode della benevolenza del colle. Anche tale ipotesi (come tutto, del resto, in questa pazza crisi politica e della politica) nasce all’insegna dell’incredibile e della bizzarria. Fino a dieci giorni fa, se c’era qualcosa che il Pd di Zingaretti escludeva categoricamente era proprio la possibilità di una alleanza con il partito di Di Maio, per delle ragioni che non avevano bisogno di molte spiegazioni, perché erano all’evidenza di tutti coloro che avevano in qualche modo seguito le vicende dei governanti gialloverde, le cose che avevano detto, le cose che avevano realizzato, le leggi che avevano approvato, la via della recessione economica che avevano fatto imboccare al Paese e l’isolamento internazionale al quale lo avevano condotto. Tutto era lì a mostrare che un governo di legislatura col M5s era un azzardo che il Pd avrebbe dovuto risparmiare al Paese. Se si assume invece il punto di vista di Di Maio e delM5s il discorso prende una piega diversa: in un anno di governo il movimento ha dimezzato i consensi ed anche i voti reali (ad esempio alle europee di Maggio) che aveva ottenuto alle elezioni del 2018. La spiegazione non è che la Lega avesse costretto il M5s a fare cose contrarie alla sua natura politica, tutt’altro. Ma il protagonismo di Salvini, la sua capacità di tenere la scena politica avevano completamente oscurato le già pallide figure di Di Maio e Conte. Quindi, niente di meglio, per ritrovare un po’ di vigore, che cambiare partner, addossando tutte le insufficienze del proprio operato di governo (e anche alcune vere e proprie nefandezze, come l’aver approvato i decreti sulla giustizia e quelli sulla sicurezza) a Salvini. Inoltre, sappiamo tutti che una parte del Pd (un anno fa molto minoritaria ma ora non più tanto), la parte più marcatamente antirenziana, ha sempre desiderato una alleanza con il M5s. Aspettavano solo che si presentasse l’occasione per realizzarla.

La terza ipotesi da considerare è il ritorno al voto subito. È il desiderio che aveva espresso Salvini nel momento in cui ha aperto la crisi di governo ma che poi, a conti fatti, ha messo in subordine rispetto all’ipotesi di fare marcia indietro e ripristinare la vecchia alleanza con il M5s. Ancora oggi, i sondaggi dicono che questa ipotesi, se verrà messa in pratica, avvantaggerà la Lega. Ma non proprio nella misura che sarebbe necessaria alla Lega per governare da sola o al più con partner di poco peso. D’altra parte, considerando che in più occasioni Salvini aveva fatto intendere di volere un peso maggiore all’interno della coalizione di governo, è anche possibile pensare che la sua decisione fosse una mossa destinata solo a produrre una ulteriore pressione sugli alleati. Dopo averla accantonata, ora che va avanti la trattativa per la formazione di un governo di legislatura Pd-M5s, Salvini la rilancia con vigore, presentandola come l’unica vera risposta democratica alla crisi in atto (ma si tratta di affermazioni prive di fondamento, in realtà tutte le proposte finora avanzate rientrano nell’ambito della democrazia parlamentare). Il voto subito è anche l’opzione preferita da Forza Italia e da Fratelli d’Italia: FI perché ha in mente di riproporre alle elezioni la vecchia coalizione di centrodestra, FdI perché punta alla costituzione di “un vero governo sovranista”. Si tratta di due differenti obiettivi entrambi sottomessi alla volontà di Salvini e alla strategia che deciderà di mettere in pratica quando nei prossimi giorni il destino della legislatura in corso sarà definito.
Comunque, questa opzione resta sul tavolo, a disposizione di tutti per gli usi possibili. Il Pd giustifica l’accordo con il M5s con la necessità di scongiurare una possibile vittoria dei sovranisti quasi fascisti; il M5s può dire (come ha fatto per bocca di Conte) che ormai Salvini non è un alleato molto affidabile.

La quarta ipotesi è quella di un governo di transizione o di scopo o istituzionale o come lo si voglia chiamare, comunque un governo con caratteristiche di eccezionalità e di breve durata, con un primo ministro designato dal Presidente della Repubblica e al quale vengono affidati compiti ben precisi, per affrontare le questioni più urgenti e preparare il ritorno alle urne in un clima più disteso, dopo che le forze politiche hanno avuto il tempo di definire e confrontare programmi, sulla cui base formulare possibili intese. Questa ipotesi, indicata fin da subito (a dire il vero in modo un po’ confuso) dall’ex premier Matteo Renzi, nella fattispecie di un governo sostenuto in Parlamento da Pd, M5s e non solo, non ha avuto molti estimatori. Anzi è stata bollata da più parti come una proposta fatta per pura convenienza personale. Renzi, è stato detto, non è ancora pronto per una ridiscesa in campo e vuole che si prenda tempo. Può anche darsi che sia così. Ma al di là delle polemiche bisogna prendere atto che questa ipotesi contiene aspetti che meriterebbero maggiore considerazione. Le pagine dei giornali sono piene di analisi che vedono come un limite il fatto che l’accordo per far nascere un governo Pd-M5s venga fatto in modo  troppo sbrigativo e superficiale, specie se si considera che questi due partiti fino a ieri si presentavano come due forze nettamente contrapposte. Alcune cronache sull’andamento delle trattative parlano addirittura di modalità e meccanismi da “prima repubblica” (espressione che di solito viene usata per dire che a parole si dice di voler mettere al primo posto i contenuti rispetto alla distribuzione delle poltrone e nei fatti è vero tutto l’opposto). A nostro avviso, un partito riformista non dovrebbe fare propri la superficialità e il pressapochismo che finora hanno contraddistinto i populisti.

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