In chiesa dopo il lockdown

Attraverso una “analisi statistica” talmente approssimativa ed incerta da non potersi definire tale se non virgolettata, i cattolici tradizionalisti imputano alla Chiesa di papa Francesco anche il provvisorio calo dei fedeli alla messa domenicale.

Il calo si verificherebbe non per paura del contagio perché, secondo costoro, gli stessi (!?) giovani che non vanno a messa hanno ripreso a frequentare settimanalmente le discoteche e i ristoranti. L’affermazione, tutta da dimostrare perché basata su dati grezzi non elaborati e senza alcun riferimento a ricerche sul campo, si commenta da sola.
I cattolici tradizionalisti sopravvivono solo grazie alla paura e al senso di insicurezza che riescono a trasmettere, agitando i disastri incombenti sopra la Chiesa e sopra il mondo quando questi si allontanano dai lor parametri “salvifici” di riferimento. E quali sono questi parametri, nella circostanza?

In questo caso il mantenere ed imitare il comportamento di san Carlo Borromeo che indiceva processioni e messe affollatissime per combattere la peste di Milano, nel 1576.
L’Arcivescovo era fermamente convinto che l’epidemia fosse “un flagello mandato dal cielo” per punire i peccati del popolo, un vero castigo divino, come ripetono oggi Monsignor Viganò e i tradizionalisti. Quindi le chiese andavano mantenute aperte perché altrimenti il messaggio che passa è quello per cui delle medicine e del distanziamento non si può fare a meno, ma si può della eucarestia e della messa. La Chiesa invece si è arresa mentre i tabacchi e i supermercati sono rimasti sempre aperti.

A parte il divertente paragone tra luogo di culto e centri commerciali, parallelo che tuttavia dimentica come davanti ai supermercati e ai tabaccai si procedeva in lunghe fila, distanziati, entrando uno alla volta, quello proposto dai tradizionalisti è un cristianesimo di facciata, che esiste solo “con gli altri”, che ha bisogno per manifestarsi della presenza dell’istituzione, della struttura architettonica, del contesto particolare di una navata, di un gruppo di persone e di un rituale eseguito dal clero.
Vivere l’essenza del messaggio di Gesù come un cristianesimo in primo luogo e soprattutto “per gli altri”, dove non conta il rito e il contesto del rito, ma la preghiera nell’intimità e l’azione caritativa, diventa, agli occhi dei tradizionalisti, la “protestantizzazione del cattolicesimo”.

Inoltre le loro restano affermazioni non fondate sulla ragione, ma basate sulla fede in un Dio (terribile, altro che misericordioso come l’abba – il papà di Gesù) continuamente giudicante e incombente sulle vicende umane; esse sono inconfutabili per definizione, come tutti i finti ragionamenti pseudo scientifici che scambiano gli atti di fede come entità oggettive ed elementi naturalmente validi per tutti.

 La realtà attuale, ad oggi, resta per noi il solo parametro con cui confrontarci: la sottovalutazione del virus e i comportamenti non responsabili, che si richiamano a pratiche medievali (anche se religiose e di fede) pre scientifiche, ci sembrano altrettanto arcaici e superati quanto la visione che della “ecclesia” di Gesù hanno i tradizionalisti.

L’immagine in evidenza è tratta da ansa.it

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