REFERENDUM COSTITUZIONALE 2020
I veri riformisti /3

In questo post cercheremo di fare un po’ una sintesi delle cose fin qui dette a proposito del Referendum costituzionale riguardante la riduzione del numero dei parlamentari. Lo faremo prendendo in considerazione una lettera inviata al direttore di Il Foglio dall’ex senatore del Pd Giorgio Tonini e pubblicata il giorno 1 settembre. In tale lettera sono presenti alcune delle principali tesi sostenute da coloro che si dichiarano riformisti ed anche fautori del SI.

Intanto la scelta del Si rivendicata come conforme alla politica riformistica dei piccoli passi. Dice Tonini: “La riduzione dei parlamentari nazionali a 600 (400 + 200), in linea con tutte le grandi democrazie europee, è un piccolo bene possibile, al quale credo si debba dire di Si. Da riformista non ce la farei proprio a votare contro una riforma giusta, per quanto piccola e imperfetta. … Si fa quel che si può, nelle condizioni date e nel tempo che ci è dato vivere”.

Per prima cosa va rilevata una inesattezza:  la riduzione a 400 dei rappresentanti  eletti alla camera bassa non sarebbe per nulla in linea con tutte le grandi democrazie europee. Abbiamo già indicato, in un precedente post, uno studio dal quale risulta che dopo la riforma l’Italia sarebbe al primo posto per distanza tra numero di deputati e numero di abitanti (ad esempio, nel Regno Unito si ha un deputato ogni 101.905 abitanti, in Italia dopo questa riforma il rapporto sarebbe di un deputato ogni 151.905 abitanti). Come si fa a definire “giusta” una riforma che riduce drasticamente la rappresentanza dei cittadini? Non è un “piccolo bene” ma un piccolo (?) danno che, per carità, si può anche accettare, ma bisogna chiamarlo per quello che è, perché ovviamente si fa quel che si può.

Ma in questo specifico caso, ci chiediamo, si è proprio fatto quel che si poteva fare? (riformismo vuol dire anche questo: cercare di fare le cose al meglio, spendere tutte le proprie energie e la propria intelligenza, prima di arrendersi ed accettare il compromesso del piccolo quasi inutile passo).

Cerchiamo di ricostruire come sono andate le cose, stando a quanto ha dichiarato il segretario del Pd Nicola Zingaretti in una intervista rilasciata al Corriere Della Sera del 26 agosto scorso.

Zingaretti racconta che un anno fa, al momento della formazione del governo Conte 2, “al fine di costruire le condizioni più favorevoli alla scelta del SI al taglio dei parlamentari”, il Pd ha sottoscritto un accordo con il M5s. In esso erano previste modifiche dei regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale (proprio per apportare dei correttivi che potessero bilanciare gli effetti negativi del taglio lineare dei deputati e dei senatori). Senza la realizzazione di queste condizioni, il Pd avrebbe mantenuto la sua posizione contraria al taglio dei parlamentari (in precedenza aveva già votato No per ben tre volte).

In teoria, l’accordo descritto da Zingaretti sarebbe un valido esempio di politica riformista tesa a costruire un compromesso accettabile, un dare ed avere. Ma cosa ha fatto il Pd nei dodici mesi successivi per fare in modo che a quell’accordo seguissero dei fatti concreti? E cosa ha fatto il M5s per mostrare che la sua  posizione ideologica sul ruolo e il funzionamento del parlamento (descritto come qualcosa che presto non avrà alcuna funzione) stava evolvendo nella direzione di un rafforzamento della principale istituzione rappresentativa?

Stando a quello che raccontano le cronache, sia il Pd sia il M5s non hanno fatto praticamente nulla.

Per quanto riguarda il M5s, quale valore avesse quell’accordo lo si capisce bene da ciò che ha raccontato Luciano Violante in un suo intervento su La Repubblica del 27 agosto scorso (del quale riferiremo più avanti).
Per quanto riguarda il Pd basta leggere il resto dell’intervista di cui sopra, rilasciata da Zingaretti al Corsera. Il segretario del Pd si è limitato a chiedere al M5s (ma solo qualche giorno fa) di approvare una proposta di legge elettorale in sede di commissione in uno dei due rami del parlamento prima del voto referendario. Il che vuol dire tutto e nulla, perché non garantisce che quel testo di legge verrebbe poi approvato realmente dal Parlamento.  Insomma: il Pd voterà la riforma populista senza aver ottenuto i correttivi richiesti, a suo tempo dichiarati condizione sine qua non.
Cosa c’entra tutto ciò col riformismo? Qui non c’è nessuna mediazione e nessun reale compromesso. Solo chiacchiere e specchietti per le allodole.

Poco più avanti, nella lettera del senatore Tonini, si legge: “Poi (ri)proveremo ancora una volta, a superare il bicameralismo paritario, che è la vera riforma del Parlamento. Una riforma che il Si non ci regala, ma che rende meno impossibile del No”.

Rinviare a un futuro indefinito le “vere “ riforme che servono al Paese è un classico, un tipico atteggiamento dei conservatori che non vogliono apparire tali: non temete, le riforme vere vanno fatte e si faranno. Poi.

Si tratta, usando una espressione di Tonini, di “un abile camuffamento del conservatorismo”  (espressione che però Tonini ha usato, a nostro avviso a sproposito, riferendosi ai riformisti che intendono votare No). Insomma, se una “piccola e imperfetta riforma” lascerà in piedi il sistema attuale, ovvero il bicameralismo paritario, si potrà dire che chi plaude a tutto ciò è, magari a sua insaputa, un conservatore?

Naturalmente queste sono chiacchiere nominalistiche. Il punto è un altro: non si capisce su che basi i sostenitori del SI vanno dicendo che la riduzione del numero dei parlamentari renderebbe meno impossibile il superamento del bicameralismo paritario. Che strano ragionamento: le possibilità di fare una riforma “vera” aumentano se prima sullo stesso tema se ne fa una “piccola e imperfetta”. Forse Tonini e i riformisti per il Si pensano (ma non osano dirlo) che questa piccola riforma imperfetta è destinata a creare molti più problemi di quanti non ne risolva e, pertanto, farà nascere il desiderio di fare una riforma vera, per andare alla radice del problema, ovvero superare il bicameralismo paritario. Le vie del Signore sono infinite.

Un altro cavallo di battaglia dei riformisti per il Si è l’idea che i populisti  si stanno “evolvendo” e quindi la loro proposta referendaria non ha più gli obiettivi originari di colpire il sistema della democrazia rappresentativa. Dice Giorgio Tonini: “Paradosso dei paradossi: la pedagogia della democrazia parlamentare sta costringendo i populisti a evolvere, a cambiare il loro giudizio sull’Europa, ad accettare almeno in via di principio la cultura delle coalizioni, dunque il terreno del compromesso politico e programmatico, ad abbandonare i miti della purezza antropologica e quelli rousseauiani della democrazia diretta”.
I riformisti per il SI forse dimenticano che il partito che con le sue farneticazioni contro la casta, contro l’euro, contro i vaccini, contro la democrazia rappresentativa aveva ottenuto, due anni fa, il 33% dei consensi elettorali, dopo meno di un anno era sceso sotto il 15% e continua a perdere quasi tutte le competizioni elettorali alle quali partecipa (quando ci riesce). Il M5s è un partito in via di estinzione. L’unico modo per salvare il salvabile è operare dei cambiamenti. Ma interpretarli come una “evoluzione” in senso liberal-democratico  è perlomeno precipitoso e imprudente.

Sul “paradosso” di cui parlano i riformisti del Si (e Tonini tra questi) il giornalista Francesco Cundari su Linkiesta.it del 2 settembre scrive: “Se e quanto siano maturati lo vedremo, semmai, quando torneranno all’opposizione: quando sarà un governi diverso dal loro a raccomandare vaccinazioni di massa e app per il tracciamento, o a rivendicare questo o quell’accordo raggiunto con l’Unione europea. Allora vedremo, per esempio, se esprimeranno la sincera preoccupazione cui dà voce oggi il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, a proposito della scarsa diffusione di Immuni, o se grideranno al complotto del governo per schiavizzare il popolo italiano a forza di app-spia, vaccini e scie chimiche. Sulle loro evoluzioni future, ovviamente, ogni opinione è legittima: tanto la tesi della definitiva conversione sulla via della politica democratica, europeista, responsabile e razionale, quanto l’idea che alla fine siano i soliti e non cambieranno mai.

Il fatto che nel frattempo Giuseppe Conte continui a tergiversare sul Mes e tenga a precisare che il vaccino del covid non sarebbe comunque obbligatorio, tuttavia, non depone a favore della prima ipotesi”. Inoltre, dice ancora Cundari: “Finché i Cinquestelle mostreranno tanta attenzione nel difendere tutti i provvedimenti ultra-populisti del governo gialloverde e tutte le parole d’ordine ultra-populiste di quando erano all’opposizione, per non parlare dei metodi delle loro campagne di odio, nessuna svolta apparirà credibile. Ma sempre tattica, di comodo e soprattutto reversibile”.

Infine la tesi più stravagante, che Giorgio Tonini definisce “apoteosi del paradosso”, secondo la quale  chi invita a votare No fa un “appello al popolo a difesa del Parlamento contro il Parlamento. Per l’ennesima volta si chiama il popolo a bocciare una riforma approvata da una  larga maggioranza parlamentare”.

Non c’è nulla di irrazionale nel chiedere di bocciare una legge di riforma approvata dal Parlamento a grande maggioranza: si rispetta il dettato costituzionale per quanto riguarda il varo di una legge di riforma della Costituzione stessa, cioè della legge fondamentale del Paese, quindi una riforma da fare con molta cautela.
Il paradosso, anzi i paradossi veri sono altri: votare a favore di una riforma che non piace, come affermano molti tra coloro che invitano a votare Si (ad esempio Antonio Polito sul Corsera dell’ 1 settembre: “Voterò Si senza entusiasmo, perché non mi illudo: molto altro andrebbe e andrà fatto” ); votare a favore di una riforma voluta da un partito populista, varata da un Parlamento a stragrande maggioranza populista (M5s + Lega + FdI) e accusare di populismo chi è contro questa apoteosi del populismo.

Che sia il populismo a trionfare, soprattutto se ci sarà una larga vittoria del Si, lo spiega assai bene Luciano Violante (ex Presidente della Camera dei Deputati) in un intervento sul giornale La Repubblica del 27 agosto, al quale volentieri  rimandiamo. Qui ci limitiamo a riportare l’argomentazione che più di ogni altra dovrebbe far riflettere chi è propenso a considerare questo taglio dei parlamentari come un primo passo verso quella riforma più complessiva di cui tutti dicono ci sarebbe tanto bisogno.

La riforma della Costituzione proposta dal referendum, spiega Violante, fa già parte di un disegno più complessivo. Un disegno che va nella direzione opposta a quella agognata dai riformisti e che non è stato per nulla abbandonato (anche se oggi se ne parla poco): «Il progetto del M5S, sul quale si voterà il 20 e 21 settembre, era accompagnato da due progetti-cornice, che però avevano diverse finalità: riduzione del ruolo del Parlamento, in favore di forme di democrazia diretta, e aumento dei poteri dei dirigenti dei partiti. Uno dei progetti, già approvato dalla Camera, prevede l’introduzione di un referendum propositivo che permette la contrapposizione tra una proposta approvata dal Parlamento e una proposta di iniziativa popolare, con l’effetto inevitabile di delegittimare la funzione rappresentativa del Parlamento. L’altro (ddl 2759), presentato al Senato dall’allora capogruppo Crimi e da altri 34 Senatori M5S, introduce il vincolo di mandato, misura che consegna i poteri parlamentari ai capi dei partiti, unici legittimati a interpretare il contenuto del mandato popolare».

Il punto insomma è questo: il disegno riformista che potrebbe portare ad un rafforzamento dell’autorevolezza e della funzionalità della nostra democrazia parlamentare è ancora tutto da costruire. Il disegno populista volto a delegittimare la funzione rappresentativa del Parlamento c’è già, è operativo ed ora (col referendum del 20 settembre prossimo) ci viene chiesto se vogliamo aggiungere un altro tassello. Anche NO.

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