Come leggere l’Enciclica di Francesco: un consiglio
L’Osservatore Romano consiglia di non limitarsi a leggere l’enciclica “Fratelli tutti” per commentarla, ma di praticarne, ognuno nel ruolo che occupa, i principi e i valori che indica: questo sarebbe l’uso più proficuo che possiamo farne e non l’esegesi filologica. Concordiamo.
La nostra proposta
La nostra proposta tuttavia – più modesta e parziale – è la seguente: leggere il capitolo II (“Un estraneo sulla strada”) per meditarlo a lungo e poi riprendere il resto dall’inizio. Il Vangelo di Papa Francesco è tutto in questo secondo capitolo. Da esso, a partire dalla radicalità del messaggio di Gesù sul senso della vita umana e sul fine della stessa, discende la chiave di lettura del Papa rispetto all’universo mondo, alla globalizzazione, all’economia, alla politica, alla guerra e a tutto il resto.
Ecco perché “Fratelli tutti” non è “il riassunto delle puntate precedenti”, giudizio sostenuto soltanto perché Francesco medesimo ha dichiarato di aver raccolto nell’enciclica molti degli interventi da lui fatti sulla fraternità e l’amicizia sociale.
La nostra valutazione
La nostra valutazione è diversa: l’enciclica, nella sua stesura finale, è diventata non la riproposizione di un tema già svolto, ma una lunga lettera, innanzitutto attorno all’essenza del Vangelo, e, a partire da questa, Francesco ha voluto rivolgersi agli abitanti del pianeta, non solo ai cattolici, suggerendo un progetto che affrontasse i grandi temi della nostra epoca. In questa ampia disanima il Papa ha usato il filtro dell’etica cristiana, quella del fondatore, recuperata direttamente alla fonte e non quella mediata dal Catechismo.
Sostenere che si tratti di “discorsi già fatti” dal Papa significa quindi, da una parte, pensare che il Vangelo letto in chiesa la domenica sia la stessa aria fritta continuamente ripetuta e sempre uguale (è vero per chi non lo mette in pratica) e, dall’altra parte, vuol dire sottovalutare l’operazione che ha fatto Francesco, indicando alla grande platea mondiale il punto inderogabile e qualificate del cristianesimo (cioè non l’ortodossia ma l’ortoprassi, non la Verità dei dogmi ma la Carità dell’amore) e usandolo poi come metodo per analizzare e capire la realtà del terzo Millennio.
La delusione dei tradizionalisti
E’ comprensibile la delusione dei tradizionalisti, per i quali “Fratelli tutti” è il manifesto del deismo, dell’indifferentismo, del panteismo e perfino dell’islamismo; infatti l’enciclica vuole giustamente essere “cattolica”, avere un respiro universale e quindi mette a fuoco ciò che Gesù ha chiesto e fatto, non quello che la Chiesa di Roma (a cui si riferiscono i nostalgici) ha successivamente costruito: dai dogmi mariani all’ l’infallibilità del pontefice, dal clero strutturato all’esclusività della salvezza solo in Vaticano perché “extra Ecclesia nulla salus”, mentre invece “il paradosso è che a volte coloro che dicono di non credere vivono la volontà di Dio meglio dei credenti”.
Tutto l’armamentario del sovranismo Romano, a cui comunque Francesco aderisce silenziosamente e con pudore, in questo caso non viene menzionato perché fa parte di una identità specifica e poco “cattolica”, meramente divisoria e separatista rispetto a quella globalizzazione della parola di Gesù che, anche in questo scritto, il papa persegue. Ciò su cui Francesco non media e non è disposto a concessioni riguarda la diffusione dell’esempio del Samaritano affinché “si possa rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune.”
La bussola con cui leggere la realtà
Accanto al tema principale della parabola del Samaritano, tutti gli altri capitoli – anche se importanti – restano successivi nella scala gerarchica valoriale e rimangono secondari. Capire quindi quanto corretta e completa sia l’analisi di Francesco sugli argomenti socioeconomici e politici, a nostro parere, diventa importante ma non decisivo, non è il punto da cui partire nell’interpretazione del testo, anche se resta un terreno che può e deve essere approfondito, ma dopo.
Quanto Francesco sia contro la globalizzazione (ha dichiarato di accogliere la “globalizzazione poliedrica”, che garantisce un mondo aperto, e di rifiutare quella omologante, “sferica”), quanto Francesco sia contro il mercato (ha dichiarato ingiusto il “liberalismo senza freni” ma ha elogiato la libera impresa e gli imprenditori lungimiranti), quanto Francesco sia contro ogni tipo di uso della violenza ( ha definito ogni guerra come la continuazione di una politica profondamente sbagliata, tuttavia ha richiamato al dovere di difendersi e di difendere chi è soggetto ad un sopruso): l’analisi di papa Francesco resta opinabile. Opinabile rimane il fatto di aver realizzato nell’enciclica un equilibrio, una mediazione tra gli estremi che giustamente Francesco respinge: liberismo rapace ed egoista contro economia statalista totalitaria, globalismo che uccide le differenze contro sovranismo che rimane impotente di fronte alla complessità, la guerra come risposta ai problemi contro la meschina pavidità nell’uso della forza quando invece è necessaria ed inevitabile). Nei confronti dei principi assoluti noi preferiamo usare il consiglio di Francesco stesso: utilizzare il “discernimento”, la valutazione caso per caso.
Ciò che invece rimane un punto fermo, la bussola con cui leggere la realtà per papa Francesco è il fatto che “tutti abbiamo una responsabilità riguardo a quel ferito che è il popolo stesso e tutti i popoli della Terra. Prendiamoci cura della fragilità di ogni uomo e di ogni donna, di ogni bambino e di ogni anziano con quel atteggiamento di prossimità del buon Samaritano”.
Tutte le parti in corsivo sono tratte da “Fratelli tutti”.
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