Lettera aperta a Monsignor Suetta

Gentile Monsignor Suetta, “Io ho la verità” non è una affermazione scandalosa, almeno per noi, semmai, in generale, eccessivamente ambiziosa oppure, in determinati casi, indice di un ego ipertrofico. Anche un ateo può concedere serenamente a colui che ha una fede di credere e sostenere di essere nella “verità”, quando costui giudica un uomo di Nazaret come Dio incarnato, la Realtà Prima come Tre persone con una unica natura, certi particolari libri come contenenti la Parola dell’Assoluto.

Lei, Monsignore, può tranquillamente testimoniare questi concetti, dichiararli “veri” e chiedere al mondo di meditarci sopra. Queste azioni Le saranno sempre garantite finché esisterà, predominante sul piano culturale ed ispiratrice delle leggi dello Stato, la filosofia illuministica della tolleranza che permette a tutte le persone di proclamare la propria “verità” e praticarla. “Dittatura del relativismo” la definiva Benedetto XVI e Lei invece “pensiero unico”, e meno male che esiste in alcune fortunate parti del pianeta questo tipo di “pensiero unico” perché autorizza l’esistenza della molteplicità dei pensieri.

Il problema semmai sorge quando una “verità” diventa privilegiata da parte dello stato e del diritto: allora tutte le altre manifestazioni del pensiero vengono limitate, oppure censurate e represse. Ripetiamo: le verità di fede su esistenze metafisiche, su miracoli e su eventi non dimostrabili secondo criteri scientifici o storici sono assolutamente accettabili e non producono alcun sobbalzo in noi.  Anche le norme morali che discendono da credenze di fede possono essere definibili come “vere” e possono essere accolte e rispettate finanche dal solito ateo. Ci farebbe sobbalzare soltanto se Lei aggiungesse: “La “verità” che io conosco prevede il rispetto di una determinata regola morale, obbligatoria per tutti, indipendentemente dalla loro volontà”. Finché le Sue affermazioni restano sul terreno della libertà di scelta non troveranno alcuna opposizione e la sua dichiarazione di “verità” ed il conseguente modello di comportamento verranno accettati di buon grado. La resistenza (almeno nostra) nasce quando, come cerca di fare ogni tradizionalista che si rispetti, Lei volesse non solo estendere il suo modello alla società intera (il che è più che lecito) ma anche obbligare tutti a rispettarlo, pur non condividendolo.

Le proponiamo un esempio lontano nel tempo e oramai sedimentato nel costume collettivo tanto da non essere più messo in discussione. Si ricorda, gentile Monsignore, il referendum per ottenere il divorzio anche in Italia e la contrapposizione che aveva provocato nel paese? Anche con la vittoria della scelta divorzista, i cattolici, assieme a coloro che ne fossero stati convinti, sarebbero stati liberi di mantenere il loro rifiuto alla pratica del divorzio e nessuno li avrebbe costretti a cambiare idea. Purtroppo, in quella occasione, coloro che possedevano la “verità” avrebbero voluto che anche gli altri – coloro che non “demonizzavano” il divorzio –  si adeguassero alla loro “verità”, per legge, cioè per costrizione. E la gerarchia della Chiesa provò ad impedire che chi ragionava diversamente potesse essere libero di praticare la propria coerenza. Questa prevaricazione non è stata per Lei motivo di sobbalzo? Immaginiamo di no perché Lei è convinto che esistano le leggi naturali della Creazione, volute da Dio e queste sono eterne ed universali (come la negazione del divorzio, anche se il Dio del Primo Testamento lo permetteva!) quindi nel rapporto tra Libertà e Verità la prima è soltanto un mezzo che ha senso quando si adegua alla Verità.

Ci permettiamo di farLe notare almeno una difficoltà fattuale: quando anche esistesse “la cifra che il Signore ha scritto nella Creazione uscita dalle sue mani e dal suo cuore” sarebbe almeno problematico, se non impossibile, determinare con esattezza e definitivamente l’entità di questa “cifra” e la sua traduzione concreta in regole di comportamento, perfino ricorrendo alla Scrittura e alla Tradizione dei Padri.

Un unico esempio recentissimo che Lei conosce bene: l’inviolabilità della persona e la sua dignità, volute da Dio, impediscono che si possa esercitare su qualsiasi uomo la pena di morte (articolo 2267 del Catechismo universale della Chiesa di Roma).
La pena di morte viola il sacro ed eterno diritto alla vita, rappresenta l’usurpazione da parte di esseri umani dell’unica signoria di Dio sulla vita e sulla morte.
Come Lei ricorderà questa norma viene proposta e poi introdotta nel Catechismo solamente a partire dal 2018: prima, per i papi, i vescovi, il clero e i fedeli la morale cattolica consentiva di esercitare il mestiere del boia senza sensi di colpa (vedi art, Dibattito sulla pena di morte).
Pio XII, riprendendo la riflessione di Tommaso d’Aquino: «è riservato al potere pubblico privare il condannato del bene della vita in espiazione della sua colpa, dato che col suo crimine si è spossessato egli stesso del suo diritto alla vita». Attualmente la condanna a morte sarebbe invece un peccato mortale.

Oggi la nuova e recente “legge naturale” per cui nessuno toccherà Caino, questa legge che riconosce “linviolabilità della dignità della persona e il disegno di Dio sull’uomo” (papa Francesco) viene riconosciuta come tale anche perché si è verificata” una nuova comprensione della verità cristiana…per la mutata consapevolezza del popolo cristiano, il quale rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana” (sempre papa Francesco).

La fede, che non teme le domande, prima di giudicare – se e quando è il caso – il mondo, lo ascolta e cresce perché anche la teologia cambia con la storia, Monsignore, e lo stesso Tommaso non risponde più ai nuovi interrogativi della modernità.
Quante volte, invece, quella fede che giudica il mondo lo ha fatto, senza aspettare le domande e le attese perché era convinta di essere la “Verità” definitiva, ed è intervenuta con la violenza verbale, con le armi e con il fuoco contro altri esseri umani.

Ieri, ma anche oggi, attraverso le stragi in nome di Allah o del Dio cristiano – strage di Christchurch 2019 – continua a manifestarsi il fondamentalismo religioso, questo sì poco “relativista” perché convinto portatore della “verità” e di conseguenza del reale “pensiero unico” che esclude tutti gli altri (non la filosofia relativista, che – come diceva Sciascia – è l’antidoto che salvaguardia la nostra libertà e quella altrui). Ecco il motivo per cui a noi piacciono certi “innovatori”: quelli le cui certezze non eliminano il dubbio e la costante interrogazione, quelli che, pur credenti, sanno ascoltare con attenzione gli altri, i samaritani, i pubblicani, gli stessi atei: un esempio luminoso è stato il cardinal Martini, che ancora alla fine della sua vita si chiedeva e chiedeva di rivedere ed approfondire i temi del sacerdozio e del diaconato per le donne, oppure Hans Kung che coraggiosamente si è pronunciato per il testamento del fine vita.
Costoro non sono fuori dalla Chiesa cattolica e a nostro parere non preparano “trappole diaboliche” ma esprimono una interpretazione del Vangelo che non è la sua, gentile Monsignore.

Altri “innovatori” sono già parzialmente o totalmente fuori dalla Chiesa cattolica: sono i membri del clero e gli intellettuali tradizionalisti (dall’arcivescovo Viganò alla Fondazione Lepanto): anche costoro vorrebbero “innovare” l’attuale liturgia, il messaggio e la pratica ecclesiale post concilio, sostituendoli con il programma di un nuovo Medio evo, in cui in particolare la “Dignitatis Humanae” e l’ecumenismo di papa Francesco vengano eliminati perchè anticristiani. Di questi “innovatori” Lei non parla e non solleva alcuna critica (mentre ricorda bene la Chiesa tedesca) eppure essi sono una costante spina nel fianco del pontificato.

Contemporaneamente masse di cristiani in America e nelle periferie dell’Europa abbandonano progressivamente gli elementi razionali e pacifici della loro religione per praticare al loro posto un fideismo irrazionalista, identitario e incline alla violenza non solo verbale. A Lei questo preoccupante evento sociale non risulta?

Infine le “varie cupole finanziarie, da lei menzionate, per esempio i miliardari statunitensi e russi, i grandi centri finanziari (NRA, la lobby delle armi) e le ricchissime chiese evangeliche garantiscono un flusso di denaro incessante per destabilizzare l’azione di Francesco, ma Lei non menziona neppure costoro. Come se non esistessero e non fossero un pericolo reale e mondiale. Forse perchè sono più pericolosi quei sacerdoti che, imitando un loro predecessore che si intratteneva con peccatori e prostitute e non poneva limiti all’accoglienza tra le sue braccia, benedicono l’amore tra due esseri umani?

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