REFERENDUM COSTITUZIONALE 2020
I veri riformisti /1

Nel Pd c’è chi sostiene che per essere veri riformisti bisogna votare SI al referendum che si terrà il prossimo 20 settembre sulla drastica riduzione del numero dei parlamentari. I sostenitori del NO sarebbero solo degli utopisti senza legami con la realtà.
Se ne può avere conferma leggendo, sul quotidiano Il Foglio del 10 agosto, un articolo del deputato del Pd Andrea Romano.

Il ragionamento che fa Andrea Romano è piuttosto complesso, perché ha l’obiettivo ambizioso di far cambiare opinione a chi (come molti militanti e molti elettori del Pd) ha finora sostenuto le ragioni del NO (il Pd in precedenza ha votato compattamente e per ben tre volte contro questa modifica della Costituzione voluta dai grillini e varata dal governo Conte 1, ovvero Lega e M5s).

Il ragionamento parte dalla seguente domanda: “Può un riformista battersi per conservare l’esistente, sostenendo per di più che quell’esistente funzioni alla perfezione?”.

Andrea Romano riconosce che oggi la democrazia parlamentare riceve molte minacce da parte di chi è animato “dall’antico pregiudizio reazionario verso le assemblee rappresentative, amplificato dal nuovo pregiudizio populista verso le istituzioni democratiche”. Ma questo pregiudizio è alimentato dal “cattivo funzionamento dei parlamenti democratici”. Bisogna riconoscerlo. “Ogni sforzo per rafforzare la democrazia rappresentativa –dice Romano- deve muovere dal riconoscimento, il più possibile franco e onesto, del cattivo funzionamento delle assemblee parlamentari e dal conseguente impegno a renderle più efficaci ed efficienti”. E aggiunge:  nei sostenitori del NO “questo riconoscimento manca del tutto” e non fanno altro che parlare “di una democrazia perfettamente funzionante”. E “immaginare di fermare o capovolgere la retorica antiparlamentare opponendole il ritratto irrealistico di una democrazia perfettamente funzionante, e quindi niente affatto bisognosa di essere migliorata e rafforzata, è un’aspirazione forse nobile ma destinata certamente a essere travolta dalle cose”. Infine, pescando nell’armamentario di una retorica piuttosto vetero, Romano afferma che la “nobile aspirazione” dei sostenitori del NO “corrisponde al fondo a quella ‘vocazione minoritaria’ che troppe volte ha afflitto e menomato il riformismo italiano, spingendolo a battaglie perse in partenza”.

Mamma mia!
Dopo un attimo di smarrimento per il complesso ragionamento, ci chiediamo: esistono veramente i riformisti di cui parla Andrea Romano che, in riferimento al nostro Paese, narrano di un sistema parlamentare perfettamente funzionante, che non abbisogna di modifiche e aggiustamenti?
La domanda, naturalmente, è retorica.
Il deputato del Pd costruisce una premessa falsa (i sostenitori del NO narrano di una democrazia perfettamente funzionante) per poter affermare che i sostenitori del NO non si battono per migliorare e rafforzare il sistema democratico. In sostanza sono riformisti solo a parole, utopisti malati di ‘vocazione minoritaria’, etc. etc.
Ma, come è noto, la tipica tesi dei riformisti, tutti (passati, presenti e di qualsiasi fede politica), è che la democrazia parlamentare non è un sistema perfetto e tuttavia non si intravede nulla di meglio, perciò conviene tenerselo e cercare (con le riforme appunto) di farlo funzionare nel migliore dei modi.

Il vero problema è quali riforme servono per far funzionare meglio il sistema. Ridurre il numero dei parlamentari di per sé è una garanzia che tale obiettivo si raggiunga? Certo che non lo è.
Ma seguiamo il ragionamento del deputato Pd.

I veri riformisti sono, naturalmente, gli attuali dirigenti del Pd che alla nascita del governo Conte 2 hanno siglato un patto politico con il M5s, in virtù del quale il Pd ha accettato di sostenere il provvedimento grillino, pur avendolo sempre avversato, “perché finalmente la riduzione del numero dei parlamentari è stata inserita dentro un più ampio disegno di riforma” delle istituzioni democratiche.

Ciò che tradisce la pretestuosità del ragionamento di Andrea Romano è la parola “finalmente”.
Sono passati meno di quattro anni da quando la riduzione del numero dei parlamentari era stata inserita in un disegno di riforma delle istituzioni democratiche, non in una vaga ipotesi ma in un ben definito quadro di riforma costituzionale, e con un governo riformista di centro-sinistra guidato proprio dal Pd. Sappiamo come è andata a finire.

Insomma, non può bastare un semplice patto sottoscritto tra due partiti per ritenere che “finalmente” ci sono le condizioni per “impegnarsi per una coraggiosa riforma democratica”.
Quello che si può dire, onestamente, è che la riforma populista del Parlamento, “ispirata da una retorica antiparlamentare” (sono parole di Andrea Romano) si farà certamente, e con l’avallo del Pd; la “coraggiosa riforma democratica” è, allo stato dei fatti, una aspirazione certamente nobile ma che potrebbe essere travolta dalle cose.

Del resto, qual è l’idea di riforma dello Stato sulla quale si sarebbero accordati Pd e M5s? Qualcuno la conosce? Andrea Romano la conosce? Se la conosce, perché non la racconta. Se c’è veramente una tale idea (e non solo un vago impegno a cambiare la legge elettorale) perché Andrea Romano afferma nel suo articolo che la “perfida retorica del populismo antiparlamentare”, e non altro, “ispira le posizioni del Movimento 5 stelle”?

La frittata può essere rigirata come si vuole. Ma, specie per chi si dichiara riformista, dire SI al referendum del 20 settembre vuol dire una sola cosa: dare legittimità al pregiudizio populistico contro la democrazia parlamentare.

A volte bisogna battersi per conservare l’esistente, pur sapendo che quell’esistente non funziona alla perfezione.

L’immagine in evidenza è tratta dal sito comune.vergiate.va.it

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