REFERENDUM COSTITUZIONALE 2020
I veri riformisti /2

In un precedente post abbiamo preso in considerazione la tesi, sostenuta dal deputato del PD Andrea Romano, secondo cui chi non vota SI al referendum sul taglio dei parlamentari mostra di avere paura del cambiamento ed è pertanto un conservatore.

Il nostro punto di vista, da riformisti, è che si debbano operare i cambiamenti che possono dare più forza alle istituzioni democratiche (e gli altri no). Quindi non va assecondata la strategia populista che usa la retorica del cambiamento ma il cui intento (tra l’altro dichiarato) è gettare discredito sulla democrazia rappresentativa (non risulta da nessun documento o dibattito interno che il M5s abbia dismesso l’obiettivo strategico della democrazia diretta).

Pertanto ci stupisce la leggerezza con la quale molti esponenti/simpatizzanti del Pd affermano che si può essere d’accordo sulla riduzione del numero dei parlamentari anche in assenza di una ipotesi di riforma più complessiva (al cui interno tale misura potrebbe invece trovare una giusta collocazione come strumento volto a rendere più efficiente il funzionamento dell’attuale sistema democratico). E si manifesta fiducia che quella riforma certamente si farà. 

È su questa lunghezza d’onda, ad esempio, anche l’intervento di Pietro Ichino, ex senatore del Pd, su Il Foglio del 14 agosto.

Ichino innanzitutto chiarisce che i motivi “seri” per cui un riformista dovrebbe votare SI non sono “quelli che mossero inizialmente il M5s a promuovere con la Lega la legge costituzionale ora sottoposta al giudizio del popolo”.
Non è un motivo serio “quello del risparmio di denaro pubblico” (non ci sarà una significativa riduzione dei costi , perché “la struttura amministrativa del Senato e della Camera resteranno quelle che sono”).
Non è un motivo “serio” quello, sbandierato originariamente dal M5s, di “infliggere un duro colpo alla ‘casta’” (la casta “più temibile non è quella che siede in Parlamento sotto i riflettori dei media e soggetta periodicamente al vaglio elettorale, bensì quella dei molti dirigenti e funzionari inamovibili delle due Camere e dei Ministeri, le cui cariche non hanno limiti di durata, o quella dei boiardi che con pochissima trasparenza occupano le miriadi di grandi e piccole poltrone degli enti pubblici e delle imprese controllate da governo, regioni e comuni. … Un taglio drastico è stato deciso da una legge voluta dal governo Renzi, ma poi non è stato attuato”).

A Ichino, insomma , non piacciono i moventi originari della proposta referendaria, sono poco seri. E gli dispiasce anche “la debolezza della sua carica riformista: che si sia scelto, cioè, di diminuire il numero dei parlamentari senza modificare corrispondentemente la rappresentanza delle regioni nell’elezione del capo dello stato, e soprattutto senza diminuire il numero delle Camere cui spetta dare la fiducia al governo: quella sì era la riforma necessaria (ed è stata sciaguratamente bocciata il 4 dicembre 2016)”.

Ma nonostante i limiti evidenziati, Pietro Ichino vede in modo positivo la proposta referendaria e invita a votare SI, in base ad alcune considerazioni.

La prima considerazione è che la riduzione del numero dei parlamentari è “pur sempre appartenente da decenni al patrimonio programmatico del centro sinistra” (“una riduzione simile dei parlamentari era già prevista nel programma di governo dell’Ulivo nel 1996” ed era prevista “all’incirca nella stessa misura nella riforma costituzionale sostenuta dal centro-sinistra guidato da Matteo Renzi”).

Il nostro punto di vista su questa considerazione fatta da Ichino (e alcune buone ragioni per rispondere NO al quesito referendario):
Non è corretto dire che la riduzione del numero dei parlamentari appartiene al patrimonio programmatico del centro-sinistra. A quel patrimonio appartiene una cosa diversa: la riduzione come parte di un disegno di bicameralismo differenziato. Molti democratici  sanno che non è la stessa cosa. Ma c’è dell’altro: non solo il tema del bicameralismo perfetto non è toccato dalla riforma della Costituzione sulla quale siamo chiamati a votare, ma non è presente neppure nel cosiddetto “accordo” siglato tra Zingaretti e Di Maio. Insomma, anche nella ipotesi molto ottimistica che si andrà prima o poi a discutere di una riforma più ampia, questa non toccherà comunque la vera anomalia del nostro Parlamento (che tanto danno arreca al  suo funzionamento): il fatto che abbiamo due Camere che fanno esattamente la stessa cosa e che i rimandi delle leggi da una camera all’altra sono la causa principale di lungaggini e inefficienza.

A nostro avviso è più coerente, nel fronte del  SI, chi afferma, come fa ad esempio il senatore del Pd Dario Parrini, che il taglio dei parlamentari, sic et simpliciter, “è una cosa in sé giusta”. Giusta, quindi, a prescindere da un qualche disegno di riforma più complessiva (che molto probabilmente questo governo non farà mai).
Ma cosa c’è di diverso nella posizione espressa da Parrini (e in fondo condivisa da Ichino) rispetto a quello che hanno scritto i populisti nella loro proposta referendaria?

La seconda considerazione fatta da Ichino riguarda la rappresentanza parlamentare dei territori.
Secondo i sostenitori del NO, la riduzione dei rappresentanti prevista nella proposta referendaria comporterà una minore capillarità. “Quando questo taglio entrerà in vigore –dice invece Ichino- il rapporto numerico tra membri del Parlamento e cittadini sarà in linea con la media di quello degli altri maggiori paesi europei (oggi è nettamente superiore)”.

Se si auspica (come pure fa Ichino) che si vada verso un bicameralismo differenziato e si ha fiducia nel fatto che quanto prima questo obiettivo verrà realizzato, allora, quando si ragiona sulla rappresentanza parlamentare dei territori, bisognerebbe considerare unicamente la camera bassa (cioè la camera che in tutti i paesi europei concede o toglie la fiducia ai governi). Bene, se facciamo un confronto tra i paesi europei relativamente ai rappresentanti della camera bassa in rapporto alla popolazione risulta quanto segue: se verrà approvata la proposta referendaria, l’Italia passerà al primo posto per distanza tra numero dei deputati e numero degli abitanti (come mostra il grafico pubblicato da openpolis.it, che può essere consultato qui). Ovvero –dice openpolis- diventeremo il Paese dell’UE con meno deputati ogni 100.000 abitanti (0,7). Questi dati danno ragione ai sostenitori del NO.

La terza considerazione espressa da Ichino è che “l’entrata in vigore di questa legge costituzionale allargherebbe lo spazio politico per un discorso di riforma istituzionale di più ampio respiro, del quale il paese ha gran bisogno: non dimentichiamo-dice Ichino- che anche la maggior parte delle forze politiche schierate per il NO il 4 dicembre 2016, da D’Alema a Berlusconi, proclamava la necessità e la possibilità della trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, con attribuzione alla sola Camera dei deputati del potere di dare e togliere la fiducia al governo”.
Ichino non aggiunge altro per spiegare i perché della sua considerazione.

L’idea che di fronte alla difficoltà a fare una riforma vera (i vari tentativi passati sono tutti falliti) si debba scegliere di farne una non vera non sta in piedi.
Cosa induce a credere che nell’attuale situazione politica (il M5s, in omaggio alla propria ideologia populista, non riesce a fare con i riformisti neppure alleanze per le elezioni comunali) apportare al sistema bicamerale questa molto parziale modifica (su un aspetto considerato poco rilevante e urgente) possa segnare l’inizio di un percorso  per mettere in campo la riforma “seria” che veramente serve al Paese per rendere più efficiente il Parlamento e più forte la democrazia?
È inutile dire che questa domanda non trova risposta.
Essere “veri” riformisti, moderati e sostenitori delle opportunità dei piccoli passi non c’entra nulla. I piccoli passi  sono pur sempre all’interno di un percorso di cui si intravede in qualche modo una traccia.
Nessuno dei sostenitori del SI al taglio dei parlamentari come pungolo per una battaglia riformista porta delle prove evidenti, degli indizi concreti di un cammino che si sta per intraprendere. Esprimono un loro puro desiderio, una speranza: non sta scritto da nessuna parte ma potrebbe succedere.

Certamente “un riformismo con la testa sulle spalle (come dice Claudio Cerasa su Il Foglio del 12 agosto) deve occuparsi di come aggiungere a questa riforma imperfetta degli utili correttivi capaci di aiutare il potere legislativo ed il potere esecutivo a essere più efficienti di oggi”. Ma sono cose alle quali si dovrà lavorare ”in futuro”. E oggi?
Nella concretezza dell’oggi  c’è il quesito referendario che ci chiede se ci sta bene o meno la pura riduzione del numero dei parlamentari. Ribadiamo: una cosa che non appartiene al patrimonio programmatico del centro-sinistra e, per tale motivo, non si può dire (come fa indirettamente Ichino e direttamente Cerasa) che il NO regala ai populisti una battaglia che populista non è. La pura riduzione del numero dei parlamentari è una battaglia tipicamente populista. Meglio No, grazie.

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