Sintesi del dibattito sulla pena di morte
PROTAGONISTI:
1) Il gesuita, teologo e cardinale Avery Robert Dulles, S.J, molto stimato dal papa emerito Benedetto XVI.
2) Papa Francesco e interpreti (Famiglia Cristiana, pastore Paolo Ricca, cardinale Ladaria).
Verrà utilizzato per il Card. Avery Dulles S.J., Cristianità n. 340 (2007) il testo della conferenza tenuta dal porporato statunitense nella sede newyorkese della Fordham University, dove ha la Cattedra di Religione e Società; per Francesco ed interpreti verranno utilizzati due lettere di Francesco, i testi in allegato di Famiglia Cristiana, un intervento del pastore Ricca.
DOMANDA: la pena di morte è una violazione del diritto alla vita e una usurpazione da parte degli esseri umani dell’unica signoria di Dio sulla vita e sulla morte?
RISPOSTA: si deve rispondere alla domanda partendo anzitutto dalla Rivelazione, così come ci è pervenuta attraverso la Scrittura e la Tradizione, interpretate sotto la guida del Magistero della Chiesa. Questa risposta è comune sia al cardinale Dulles che a Papa Francesco ma porta tuttavia a due conclusioni differenti cioè
al Catechismo di papa Ratzinger con il n°2267: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani”, approvato da Dulles ma modificato da Francesco;
al Catechismo di papa Francesco con il 2267 modificato: «Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo» giudicato da Dulles non corrispondente alla religione cattolica.
PASSIAMO ALLE ARGOMENTAZIONE proposte dal Cardinal Dulles e da Papa Francesco, argomentazioni che essi hanno elaborato PARTENDO DAGLI STESSI TESTI e giungendo a due letture diverse.
L’Antico Testamento letto dal cardinal Dulles (da Alleanza Cattolica “Cattolicesimo e pena capitale”): “Nell’Antico Testamento la legge mosaica specifica non meno di trentasei peccati gravi, punibili con l’esecuzione mediante lapidazione, rogo, decapitazione o strangolamento. Di questa lista fanno parte l’idolatria, la pratica della magia, la bestemmia, la violazione del sabato, l’omicidio, l’adulterio, la bestialità, la pederastia e l’incesto. La pena di morte è stata considerata particolarmente adatta come punizione per l’omicidio poiché, nell’alleanza con Noè, Dio ha stabilito il principio secondo cui “chi sparge il sangue dell’uomo / “dall’uomo il suo sangue sarà sparso, / “perché ad immagine di Dio, “Egli ha fatto l’uomo” (Gen. 9, 6). In molti casi si vede come Dio giustamente punisce i colpevoli con la morte, com’è successo a Core, Dotan e Abiram e alle loro mogli e ai bambini (cfr. Nm. 16). In altri casi persone come Daniele e Mardocheo sono intermediari di Dio quando puniscono giustamente i colpevoli con la morte.”
L’Antico
Testamento letto da papa Francesco e interpreti (Gen. 4,15): “Dio pose un segno su di
lui affinché chiunque lo incontrasse, non lo uccidesse» Don Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura presso
la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (da “Toscana Oggi” rubrica
del 18/2/2019) “Il testo della Genesi, cap. 4,9-19: dopo l’omicidio di Abele, compiuto da
Caino, Dio non interviene per punire, ma per porre l’assassino di fronte alle
proprie responsabilità. «Dove è Abele tuo fratello?». Caino viene interpellato
di fronte al crimine che ha commesso, ma si rifiuta di sentirsi responsabile:
«sono forse io il custode di mio fratello?» La radice del crimine
commesso sta nel non riconoscere l’altro come un fratello, ma nel vederlo come
un oggetto di cui posso disporre come voglio. Il sangue di Abele grida a Dio
per aver giustizia. La conseguenza per Caino è una triplice condanna: la
maledizione come lontananza da Dio e
dalla vita; la rottura del rapporto positivo con la terra, e la condizione di
esule e fuggiasco che caratterizzerà Caino, esule, nella terra di Nod. La vera
punizione dell’omicida è la solitudine accompagnata dal rimorso, che
accompagnerà Caino per tutta la vita. Ma nonostante tutto neanche Caino viene
abbandonato da Dio: di fronte alla sua paura, che lo seguirà sempre, di
essere ucciso da chiunque lo incontrerà, Dio lo protegge dalla vendetta:
nessuno potrà uccidere Caino. Il segno posto su Caino è il segno
dell’amore di Dio, che protegge anche l’omicida, senza giustificarne l’azione.
Solo Dio è capace di perdonare il male, senza per questo legittimarlo.
L’omicidio di colui che ha ucciso è forse più grave. È il senso della vendetta
divina che colpirà sette volte tanto, chi oserà attentare alla vita di Caino.” Anche
il teologo valdese Paolo Ricca (Comunità
di Sant’Egidio new 22/2016) usa questa argomentazione antico testamentaria
contro la pena di morte: ”La
Genesi contiene quella che possiamo considerare la parola decisiva, tra tutte
le parole che ci sono nella Bibbia, contro la pena di morte. Dio «pose un segno
su Caino affinché nessuno, trovandolo, lo uccidesse». Dio è il primo ad “abolire”
la pena di morte. Meglio ancora: non si tratta di abolire la pena di morte, ma
di impedire che ci sia la pena di morte, che essa venga istituita. Cioè,
secondo questo passo, l’assassino – Caino, fratricida – ha da qualche parte un
segno che Dio gli ha messo. Quest’uomo non deve essere ucciso. Secondo questo
passo, la pena di morte non avrebbe mai dovuto essere istituita. Se gli uomini,
l’Umanità nel suo insieme, singoli e Stati, avessero preso sul serio questo
segno posto da Dio su Caino… Che
cosa è, però, questo segno? Come sapete, probabilmente, sono state date un
numero quasi incalcolabile di interpretazioni del segno; ma a me pare che la
più semplice delle interpretazioni sia questa: il segno che Dio mette su Caino
è un segno di appartenenza. È come se Dio dicesse: «Caino appartiene a me, non
appartiene a te!». Sia che tu sia la singola persona che cova la vendetta
contro questo assassino, che vuole fargliela pagare, che vuole rendergli pan
per focaccia, “occhio per occhio, dente per dente”; sia che tu sia una singola
persona, sia che si tratti della società, che si vuole difendere e che vuole
punire per dare una lezione affinché altri non facciano come Caino: qualunque
sia la situazione, quello che qui risulta chiaro è il segno, un segno di
appartenenza. Dio dice: «Caino è mio, non è tuo. A Caino ci penso io, non ci
devi pensare tu!». E non è che Dio perdoni Caino. Al contrario: lo condanna.
«Sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra». Sarai in fuga perenne, cercherai di
fuggire da te stesso; cercherai di fuggire dal delitto che hai commesso; il
fantasma di tuo fratello Abele ti accompagnerà in questa fuga impossibile. Non
avrai pace. Non
era ancora venuto Gesù, che è morto anche per Caino e per tutti i Caino della
storia umana. Caino
non avrà pace, perché nessun assassino può mai avere pace se non incontra Gesù.
Caino non poteva incontrare Gesù. Quindi, non è che Caino viene trattato da Dio
come se non fosse successo niente: no. Caino porta il peso del suo delitto, ma
vive! Vive. Non può venire ucciso perché Dio lo “sequestra”, per così dire,
pone il segno di appartenenza a Dio. E questo segno di Dio su Caino impedisce
la pena di morte: in questo senso, Dio è il primo “abolizionista”.”
Il Nuovo Testamento letto dal cardinal Dulles (testo già citato): “Nel Nuovo Testamento il diritto dello Stato di mettere a morte i criminali sembra dato per scontato. Gesù stesso si astiene però dall’usare la forza personalmente. Egli rimprovera i suoi discepoli quando costoro vorrebbero che scendesse il fuoco dal cielo sui samaritani come punizione per la loro mancanza di ospitalità (cfr. Lc. 9, 55). Più tardi ammonisce Pietro di mettere la sua spada nel fodero piuttosto che opporre resistenza (cfr. Mt. 26, 52). Tuttavia, in nessun caso Gesù nega che lo Stato abbia l’autorità d’infliggere la pena capitale. Nei suoi dibattiti con i farisei, Gesù cita — mostrando approvazione — il severo comandamento secondo cui “chi maledice il padre e la madre sia messo a morte” (Mt. 15, 4; Mc. 7, 10 riferendosi a Es. 21, 7; cfr. Lev. 20, 9). Quando Pilato ricorda a Gesù che ha l’autorità di crocifiggerlo, Gesù precisa che l’autorità di Pilato gli viene dall’alto, cioè da Dio (cfr. Gv. 19, 11). Gesù si compiace delle parole del buon ladrone, crocifisso accanto a lui, quando questi ammette che lui e il suo compagno ricevono la ricompensa dovuta per le loro azioni (cfr. Lc. 23, 41). I primi cristiani evidentemente non hanno avuto niente contro la pena di morte. Essi approvano la punizione inflitta ad Anania e a Safira quando sono rimproverati da Pietro per la frode commessa (cfr. At. 5, 1-11). La Lettera agli ebrei fa un ragionamento che parte dalla premessa secondo cui “quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni” (Eb. 10, 28). Paolo ripetutamente si riferisce al legame che vi è fra peccato e morte. Egli scrive ai Romani, con un apparente riferimento alla pena di morte, che l’autorità “[…] non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male” (Rm. 13, 4). Nessun passo del Nuovo Testamento disapprova la pena di morte.”
Il Nuovo Testamento letto da papa Francesco e interpreti:dal citato discorso dell’undici ottobre 2017: “Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. E’ in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. Mai nessun uomo, «neppure l’omicida perde la sua dignità personale» (Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte, 20 marzo 2015), perché Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio il quale, sapendo di avere sbagliato, chiede perdono e inizia una nuova vita. A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità”.
Da Famiglia Cristiana 17/8/2018: “I Vangeli infatti, in molti modi, sottolineano la dignità assoluta di ogni vita umana. Limitiamoci a un episodio che riguarda direttamente il nostro tema e che ci viene raccontato dal Vangelo di Giovanni (8,2-11): Gesù interviene per sospendere l’esecuzione della pena capitale nei confronti di un’adultera. Con le parole: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra», egli mette i giudici-esecutori che si apprestavano a lapidarla, di fronte alla realtà della propria condizione umana: voi che siete peccatori, come potete pensare di disporre della vita degli altri? Col suo intervento Gesù vuole chiarire, nella coscienza di ciascuno, la differenza tra il Creatore, che dispone della vita, ma ne dispone creandola e donandola, e le creature, le quali, di fronte alla grandezza della vita ricevuta, devono rispettarne il mistero. Gesù, in un primo momento, non entra nel merito del giudizio sulla donna, ma contesta la pretesa del potere, della legge, sulla vita umana: aprendo così la legge mosaica, interprete della volontà divina, alla sua lettura secondo lo Spirito di un Dio che è Amore. Gesù rivela le intenzioni originarie di Dio al di là della durezza dei cuori di cui la legge è denuncia. E, dopo che tutti se ne sono andati, Gesù, che pure avrebbe potuto giudicarla, aggiunge: «Neppure io ti condanno»: è la manifestazione dell’amore e del rispetto di Dio per la creatura, amore e rispetto ai quali anche l’uomo deve giungere.” Dal teologo Paolo Ricca (Comunità di Sant’Egidio new 23/2/2016): “La seconda parola, quella di Gesù, va oltre il segno di Caino. In che senso? Nel senso che Gesù dice, praticamente: «Voi avete inteso che fu detto: non uccidere. Ma io vi dico, chiunque si adira col proprio fratello sarà sottoposto a giudizio…» Matteo 5,21. Cioè io vi dico che ci sono tanti modi di uccidere. Puoi uccidere anche con una parola. «Le parole sono pietre», diceva Carlo Levi. Ma le parole sono anche pugnali. Puoi veramente uccidere con una parola. Ci sono tanti modi di uccidere, dice Gesù. Cioè, la morte si può travestire in tanti modi: anche, appunto, attraverso una parola, ma in tanti altri modi. Se ad esempio abolisci la pena di morte ma continui a produrre armi, tu continui a produrre morte, perché le armi uccidono anche quando non si adoperano: uccidono quando sono fatte, quando sono costruite. Se tu abolisci la pena di morte ma consideri divine, sacre, le leggi del mercato, tu produci morte, con le leggi: molte leggi sono micidiali, sono mortali. Ecco la grandezza della parola di Gesù, che ci fa capire che ci sono molti modi di uccidere. Ed essendoci molti modi di uccidere, l’abolizione della pena di morte – sacrosanta com’è – non può essere altro che il primo passo verso quella che è il vero nodo della faccenda, e cioè l’abolizione della morte. Dobbiamo passare dall’abolizione della pena di morte all’abolizione della morte! Non parlo della morte naturale: anche Gesù ha subito questa morte. Ma parlo delle mille forme di morte che dilagano nel nostro mondo di oggi. Sempre è successo, ma sembra che succeda sempre di più.”
L’interpretazione della pena di morte nei Padri e Dottori della Chiesa.
La Tradizione vista dal cardinal Dulles (documento già citato): “Ritornando alla Tradizione cristiana, possiamo notare che i Padri e i Dottori della Chiesa sono pressoché unanimi nel sostenere la pena capitale, anche se alcuni fra loro — come per esempio sant’Ambrogio (339-397) — esortano i chierici a non pronunciare sentenze capitali o a servire come esecutori. Per rispondere all’obiezione che il quinto comandamento proibisce l’uccisione, sant’Agostino (354-430) scrive ne La città di Dio: “Lo stesso magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere. Si eccettuano appunto casi d’individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona. Non uccide dunque chi deve la prestazione al magistrato. È come la spada che è strumento di chi la usa. Quindi non trasgrediscono affatto il comandamento con cui è stato ingiunto di non uccidere coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte”. Nel Medioevo un certo numero di canonisti insegnava che i tribunali ecclesiastici non dovevano irrogare la pena di morte e che i tribunali civili dovevano pronunciarla soltanto per i crimini più gravi. Ma canonisti e teologi più famosi asserivano il diritto dei tribunali civili a emettere la pena di morte per reati molto gravi come l’omicidio o il tradimento. San Tommaso d’Aquino (1225 -1274) e il beato Giovanni Duns Scoto (1265-1308) invocano l’autorità della Scrittura e della Tradizione patristica e portano argomenti di ragione.”
La Tradizione vista da papa Francesco e interpreti: dal discorso dell’undici ottobre 2017 “Con una consequenzialità di verbi, la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione esprime la dinamica diveniente del processo: «Questa Tradizione progredisce […] cresce […] tende incessantemente alla verità finché non giungano a compimento le parole di Dio”. La Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare …. Non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo. «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri» (Eb 1,1), «non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio» (Dei Verbum, 8). Questa voce siamo chiamati a fare nostra con un atteggiamento di «religioso ascolto”, per permettere alla nostra esistenza ecclesiale di progredire con lo stesso entusiasmo degli inizi, verso i nuovi orizzonti che il Signore intende farci raggiungere”. Da Famiglia Cristiana 12-10-2017: “D’altra parte, già tra i Padri della Chiesa troviamo opinioni molto diverse circa il potere di infliggere la pena di morte. Atenagora, Tertulliano, Origene, Lattanzio, hanno avuto parole di condanna per la pena capitale. Sant’Agostino, invece, la ammetteva, basandosi sul noto passo di san Paolo nella Lettera ai Romani: «Ma se fai il male allora temi, perché non invano essa [l’autorità] porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male» (Romani 13,4). Questo passo sottolinea la caratteristica da parte dello Stato di esercitare la giustizia anche attraverso la forza; non deve necessariamente venire inteso, come fa Agostino, come una giustificazione, in via di principio, della pena capitale. Agostino dà la propria interpretazione con la sensibilità del suo tempo storico; ma una interpretazione non è, di per sé, dottrina. Inoltre, bisogna considerare il passo citato nel contesto della Lettera. Paolo sta spiegando l’atteggiamento che il cristiano deve avere verso tutti; subito dopo avere espresso il dovere di riconoscere l’autorità pubblica, Paolo espone il precetto generale di cui i doveri verso l’autorità costituiscono un caso particolare: «Verso ciascuno non avete che un debito: amatevi gli uni gli altri. Chi infatti ama l’altro, ha portato la Legge a compimento» (Romani 13,8-9). Dunque l’autorità è sempre vista – e valutata – in riferimento alla “nuova legge” dell’amore, deve, cioè, armonizzarsi con l’amore di Dio per le sue creature: è questa autorità al servizio di Dio che i cristiani devono riconoscere. I cristiani dunque non possono accettare passivamente qualunque autorità e la sua legge: per questo, nei primi secoli, si rifiutavano di riconoscere all’imperatore una dignità divina, contestando, in tal modo, la sua autorità … Ma è un problema di Tradizione, che risale a san Tommaso d’Aquino il quale nella Summa Teologica osservava che “quando una persona è divenuta un pericolo per la comunità o è causa di corruzione degli altri, essa viene eliminata per garantire la salvezza della comunità”. San Tommaso aggiungeva poi nel “De caritate” che chi uccideva facendo osservare la giustizia non commetteva peccato. Il Concilio di Trento, nel sui Catechismo, n° 328, ribadiva la riflessione di san Tommaso così come il Catechismo maggiore di Pio X, al n° 413, dove si dice che è lecito uccidere quando si combatte “una guerra giusta” e quando “quando si eseguisce per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto”. Qualcosa è cambiato, almeno nella spiegazione di una sensibilità diversa nel Compendio di Benedetto XVI pubblicato nel 2005 dove si rileva n° 469 che “oggi a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere il crimine rendendo inoffensivo il colpevole, i casi di assoluta necessità di pena di morte sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”. E’ un ragionamento che aveva già fatto Giovanni Paolo II nel 1999, in visita negli Stati Uniti, suscitando polemiche visto l’uso della pena di morte che si fa oltreoceano, quando riconobbe che “la società moderna possiede gli strumenti per proteggersi, senza negare ai criminali la possibilità di ravvedersi”. Quindi l’appello “per abolire la pena di morte, che è crudele e inutile”.
La pena di morte in ambito cattolico.
La pena di morte nella storia della Chiesa secondo il cardinal Dulles (documento già citato): “Nel conferire autorità magisteriale all’approvazione della pena di morte, Papa Innocenzo III (1198-1216) chiedeva a quei discepoli di Valdo (sec. XII), che cercavano la riconciliazione con la Chiesa, di accettare la seguente proposizione: “Per quanto riguarda il potere secolare dichiariamo che può esercitare il giudizio di sangue, senza peccato mortale, purché nel portare la vendetta proceda non per odio ma per atto di giustizia, non in modo incauto, ma con riflessione”. Nel Basso Medioevo e agl’inizi dell’epoca moderna la Santa Sede ha autorizzato l’Inquisizione a consegnare gli eretici al braccio secolare per le esecuzioni. Nei territori pontifici la pena di morte era imposta per diversi reati. Il Catechismo Romano, pubblicato nel 1566, tre anni dopo la conclusione del Concilio di Trento (1542-1563), insegnava che il potere di vita e di morte è stato affidato da Dio alle autorità civili e che l’uso di questo potere, lungi dal comportare il crimine dell’omicidio, è un atto — sia pure estremo — di ubbidienza al quinto comandamento. Nell’epoca moderna, Dottori della Chiesa come san Roberto Bellarmino S.J. (1542-1621) e sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) sostenevano che alcuni criminali dovessero essere puniti con la morte. Venerabili autorità come Francisco de Vitoria O.P. (1483-1546), san Tommaso Moro (1478-1535) e Francisco Suárez S.J. (1548-1617) erano d’accordo su questo punto. John Henry Newman (1801-1890), in una lettera a un amico, riteneva che il magistrato ha il diritto di portare la spada, e che la Chiesa deve approvare che la spada sia anche utilizzata, nel senso in cui Mosé, Giosuè e Samuele l’hanno usata contro crimini abominevoli. Per tutta la prima metà del secolo XX, il consenso dei teologi cattolici in favore della pena di morte in casi estremi è rimasto solido, come si può ben vedere da manuali e da voci di enciclopedie di quel tempo. Lo Stato della Città del Vaticano, dal 1929 fino al 1969, ha avuto un codice penale che prevedeva la pena di morte per chiunque tentasse di assassinare il Papa. Papa Pio XII (1939-1958), in un’importante allocuzione a medici, affermò che era riservato al potere civile il diritto di privare i condannati del beneficio della vita in espiazione dei loro crimini”.
La pena di morte nella storia della Chiesa secondo papa Francesco: dal discorso dell’undici ottobre 2017 “Nei secoli passati, quando si era dinnanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell’applicazione della giustizia a cui doversi attenere. Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli.”. Da Famiglia Cristiana 11-10-2017: “Sulla pena di morte la Chiesa ha sbagliato e anche il Catechismo va cambiato. Papa Francesco fa quello che nessun dei suoi predecessori ha mai fatto e pronuncia un articolato “mea culpa” per il fatto che “purtroppo anche nello Stato pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia”. Si tratta del terzo mea culpa di Francesco dopole scuse alla comunità valdese per le persecuzioni cattoliche durante il viaggio a Torino fatto nel 2015 e dopola richiesta di perdono ai pentecostali, durante la visita a Caserta al suo amico il pastore Giovanni Traettino, per le persecuzioni fasciste nei loro confronti appoggiate anche dalla Chiesa.”
CONCLUSIONI dei protagonisti.
Cardinal Dulles (documento già citato): “Il Magistero cattolico negli ultimi anni si è espresso sempre più contro la pratica della pena capitale. Papa Giovanni Paolo II nella Evangelium Vitae dichiarava che, “a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale”, i casi in cui l’esecuzione del reo sarebbe assolutamente necessaria “[…] sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”. Ancora, a Saint Louis, nel gennaio del 1999, il Papa lanciò un appello perché si arrivasse a un consenso riguardo all’abolizione della pena di morte argomentandola come “nello stesso tempo crudele e inutile”. Vescovi di molti paesi hanno parlato allo stesso modo. I vescovi degli Stati Uniti d’America, da parte loro, avevano già affermato, nella dichiarazione votata a maggioranza nel 1980, che “[…] nelle condizioni della società americana contemporanea le finalità legittime della pena non giustifichino l’imposizione della pena capitale”. Da allora in poi sono ripetutamente intervenuti per chiedere clemenza in casi particolari. Come il Papa, i vescovi non respingono la pena capitale come principio, ma dicono che non è giustificabile come praticata oggi negli Stati Uniti d’America. Nell’arrivare a questa conclusione prudente il Magistero non sta rovesciando la dottrina della Chiesa. La dottrina rimane com’è stata: cioè lo Stato, di principio, ha il diritto d’imporre la pena di morte a persone condannate per crimini molto gravi. Ma la tradizione classica ha ritenuto che lo Stato non dovesse esercitare questo diritto quando gli effetti negativi superano quelli positivi. Quindi il principio stesso lascia aperta la questione se e quando la pena capitale fosse conveniente. Il Papa e i vescovi, con il loro prudente giudizio, hanno concluso che nella società contemporanea, almeno in paesi come il nostro, la pena di morte non dovrebbe essere chiamata in causa poiché, facendo un confronto, essa fa più male che bene. Io personalmente sostengo questa posizione. In una breve carrellata ho toccato problemi numerosi e complessi. Per mostrare meglio quanto ho cercato di dimostrare, vorrei proporre, come sintesi finale, dieci tesi che sintetizzino la dottrina della Chiesa, così come io la capisco.
1. Lo scopo della pena nei tribunali civili è quadruplice: la riabilitazione del reo, la protezione della società da esso, la deterrenza di altri potenziali criminali e la giustizia retributiva.
2. La giusta retribuzione, che cerca di stabilire il giusto ordine delle cose, non deve essere confusa con la vendetta, che è riprovevole.
3. La pena può e deve essere irrogata con rispetto e con carità verso la persona punita.
4. La persona che compie il male può meritare la morte. Secondo gli esempi biblici, Dio stesso a volte infligge la pena, altre volte spinge altri a farlo.
5. Individui o gruppi privati non possono arrogarsi il diritto d’infliggere la pena di morte.
6. Lo Stato ha il diritto, di principio, di irrogare la pena capitale in casi in cui non vi sono dubbi sulla gravità del delitto e sulla colpevolezza dell’accusato.
7. La pena di morte non dovrebbe essere applicata se i fini della pena sono raggiunti in modo uguale o migliore senza mezzi che comportino lo spargimento di sangue, come la carcerazione.
8. La sentenza di morte può essere sconveniente se comporta effetti negativi considerevoli sulla società, come errori giudiziari, aumento dello spirito di vendetta o mancanza di rispetto verso il valore della vita umana innocente.
9. Le persone che rappresentano la Chiesa in modo speciale, come chierici e religiosi, tenendo conto della loro specifica vocazione, dovrebbero astenersi dall’irrogare o dall’eseguire la sentenza di morte.
10. I cattolici, nel cercare di formarsi un giudizio sull’opportunità di sostenere la pena di morte come principio generale o in una determinata situazione, dovrebbero prestare attenzione alle indicazioni del Papa e dei vescovi. L’insegnamento cattolico attuale dovrebbe essere compreso, così come anch’io ho cercato di fare, in continuità con la Scrittura e con la Tradizione”
Papa Francesco (documento già citato): “Oggigiorno la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato. È un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo e sulla società e la sua giustizia misericordiosa, e impedisce di conformarsi a qualsiasi finalità giusta delle pene. Non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta. Per uno Stato di diritto, la pena di morte rappresenta un fallimento, perché lo obbliga a uccidere in nome della giustizia. Dostoevskij scrisse: «Uccidere chi ha ucciso è un castigo incomparabilmente più grande del crimine stesso. L’assassinio in virtù di una sentenza è più spaventoso dell’assassinio che commette un criminale». Non si raggiungerà mai la giustizia uccidendo un essere umano. La pena di morte perde ogni legittimità a motivo della difettosa selettività del sistema penale e di fronte alla possibilità dell’errore giudiziario. La giustizia umana è imperfetta, e il non riconoscere la sua fallibilità può trasformarla in fonte di ingiustizie. Con l’applicazione della pena capitale, si nega al condannato la possibilità della riparazione o correzione del danno causato; la possibilità della confessione, con la quale l’uomo esprime la sua conversione interiore; e della contrizione, portico del pentimento e dell’espiazione, per giungere all’incontro con l’amore misericordioso e risanatore di Dio. La pena capitale è inoltre una pratica frequente a cui ricorrono alcuni regimi totalitari e gruppi di fanatici, per lo sterminio di dissidenti politici, di minoranze, e di ogni soggetto etichettato come «pericoloso» o che può essere percepito come una minaccia per il loro potere o per il conseguimento dei loro fini. Come nei primi secoli, anche in quello presente la Chiesa subisce l’applicazione di questa pena ai suoi nuovi martiri. La pena di morte è contraria al significato dell’humanitas e alla misericordia divina, che devono essere modello per la giustizia degli uomini. Implica un trattamento crudele, disumano e degradante, come lo sono anche l’angoscia previa al momento dell’esecuzione e la terribile attesa tra l’emissione della sentenza e l’applicazione della pena, una «tortura» che, in nome del dovuto processo, suole durare molti anni, e che nell’anticamera della morte non poche volte porta alla malattia e alla follia. In alcuni ambiti si dibatte sul modo di uccidere, come se si trattasse di trovare il modo di «farlo bene». Nel corso della storia, diversi meccanismi di morte sono stati difesi perché riducevano la sofferenza e l’agonia dei condannati. Ma non esiste una forma umana di uccidere un’altra persona. Oggigiorno non solo esistono mezzi per reprimere il crimine in modo efficace senza privare definitivamente della possibilità di redimersi chi lo ha commesso (cfr. Evangelium vitae, n. 27), ma si è anche sviluppata una maggiore sensibilità morale rispetto al valore della vita umana, suscitando una crescente avversione alla pena di morte e il sostegno dell’opinione pubblica alle diverse disposizioni che mirano alla sua abolizione o alla sospensione della sua applicazione (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 405). D’altro canto, la pena dell’ergastolo, come pure quelle che per la loro durata comportano l’impossibilità per il condannato di progettare un futuro in libertà, possono essere considerate pene di morte occulte, poiché con esse non si priva il colpevole della sua libertà, ma si cerca di privarlo della speranza. Ma, sebbene il sistema penale possa prendersi il tempo dei colpevoli, non potrà mai prendersi la loro speranza. Come ho detto nel mio discorso del 23 ottobre scorso, la pena di morte implica la negazione dell’amore per i nemici, predicata nel Vangelo. «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà».
Una risposta
[…] uccide e invita ad uccidere, quando è il caso, e un Deus che ama perfino il suo nemico (vedi qui: Sintesi del dibattito su pena di morte). Sarà necessario prima o poi, da parte dell’intera Ecclesia, essere pienamente consapevole di […]