SIMBOLI RELIGIOSI
Povero Cristo

il crocifisso rappresenta un simbolo condiviso universalmente nello stesso modo?

In merito al contenuto della recente sentenza della Corte di Cassazione sull’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, segnaliamo il commento della Newsletter del Vaticano e un articolo di Riforma (quotidiano online delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia).                                                                                                             

Nella sostanza la definizione normativa della Cassazione prevede la non obbligatorietà della presenza del simbolo cristiano nelle aule scolastiche, che non equivale al suo divieto perché esso viene demandato alla singola comunità scolastica (come poi ciò avvenga resta nel vago). Non solo, aggiunge la Suprema Corte, può essere prevista in aula la presenza anche di altri simboli religiosi. Ecco il passaggio del testo:
L’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi. Il docente dissenziente non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso, ma deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua libertà negativa di religione”.

E perche il crocifisso non dovrebbero discriminare chi non ci si identifica? La Cassazione sostiene che “la laicità italiana non è ‘neutralizzante’: non nega le peculiarità e le identità di ogni credo e non persegue un obiettivo di tendenziale e progressiva irrilevanza del sentire religioso” quindi, siccome il crocifisso è non solo un simbolo religioso, ma ha anche un valore culturale (tra l’altro universale) perché esprime una serie di principi sui quali si fonda il vivere civile e la nostra Costituzione, esso può essere tranquillamente appeso in un luogo pubblico. Questo comporta che, per la Cassazione, il fattore religioso non debba essere escluso dalla sfera pubblica e dai suoi contesti, perché così vuole una laicità “positiva” (non come quella francese, radicalmente esclusivista, cioè quella laicità per la quale la religione, ogni religione coi suoi simboli, resta un fatto privato).
E’ curioso che la Cassazione non pretenda dagli eventuali altri simboli religiosi lo stesso livello di universalità attribuita al Crocifisso.

Questa sentenza a noi sembra un pericoloso “guazzabuglio”: si sta passando dalla “religione di stato” (che non esiste per legge in Italia dal 1948 quando la Costituzione Repubblicana ha garantito, nell’articolo 3, l’uguaglianza degli individui a prescindere dalla religione (per la Chiesa cattolica è soltanto dal 1965 che si ebbe, con la “Dignitatis Humanae” il riconoscimento ufficiale della fine dei Concordati di monopolio religioso) alle “religioni di stato”, passo avanti verso il pluralismo delle scelte ma un passo indietro rispetto alla laicità coerente (abbiamo già sottolineato che i giudici stessi, furbescamente manipolando il linguaggio, hanno definito la loro opzione come “laicità positiva”, che è un ossimoro nel momento in cui consente la presenza di uno  o più simboli religiosi negli spazi pubblici). 

Invece della chiarezza della posizione laica tout court, per cui in una aula di una scuola non devono essere presenti simboli religiosi, abbiamo la proposta dell’esposizione – almeno facoltativa! – degli stessi, scelti dalla maggioranza dei presenti. Può darsi che l’arredo scolastico non subisca alcuna modifica e questa norma resti una delle tante non applicate e disattese, ma temiamo che in futuro sarà invece fonte di contenziosi, assolutamente non necessari rispetto ai problemi più urgenti della scuola.

Ancora un elemento della sentenza ci sembra fuorviante, perchè sta alla base del ragionamento per cui il simbolo del crocifisso non è fonte di “divisione”: lo affermano i giudici quando sostengono che il Crocifisso ha acquistato una valenza “universale” ed ha impregnato la nostra cultura, i valori più alti che la società persegue, come quello della solidarietà.
Lo affermava già Natalia Ginzburg in un articolo sull’”Unità”, che fece assai discutere.  I giudici – come la Ginzburg –  in questo caso hanno utilizzato una verità (il messaggio di Gesù è fondato sulla solidarietà tra gli esseri umani e l’amore verso il prossimo ne è il cuore) per sostenere una visione del simbolo quanto meno semplificata. Perché non tutti i cristiani hanno scelto di seguire Gesù, con umiltà e senza violenza, sulle orme del Buon Samaritano.

La croce e il crocifisso nel passato hanno rappresentato spesso un elemento di paura se non di terrore per genti di altre religioni (dagli ebrei ai musulmani) o di credenze atee/agnostiche (almeno nei luoghi in cui vigeva il potere temporale della Chiesa cristiana), ma anche per gli stessi cristiani, quando hanno visto croce e crocifisso impugnati come un randello su di loro e le loro famiglie (pensiamo alle stragi dei catari ed eretici del medioevo fino alle sanguinose persecuzioni dei valdesi nell’ottocento).

Di fronte a queste azioni la Chiesa cattolica ha infine preso la decisione di definirle crimini, delitti senza scusanti storiche, e di chiedere perdono. Questo vale per il passato, ma il presente odierno della croce e del crocifisso non è meno contraddittorio. Per limitarci al mondo occidentale, il simbolo è oggi usato senza pudore da politici il cui programma è distante totalmente dai principi di solidarietà a cui si richiama il Vangelo e la cui concezione di “prossimo” è assimilabile tutt’al più a quella del “vicino di casa” (una loro organizzazione opportunamente si chiama “Fratelli d’Italia”). Negli Stati Uniti, il peggior presidente mai avuto nella sua storia, il quale ha spaccato il paese portandolo sul terreno della violenza e dello scontro, è riuscito a fare questa chirurgica operazione politica di contrapposizione tra i cittadini travestendosi da uomo di fede, da “crociato”, usando la religione cristiana in funzione della sua concezione della “difesa della vita” (cioè contro ogni possibilità di consentire l’aborto ma a favore ed applicando la pena di morte nelle carceri).

Oggi nel mondo esistono decine di Chiese evangeliche che si affiancano ai tradizionalisti cattolici per cercare di affermare, all’ombra delle loro croci, una guerra senza quartiere tra le forze della Luce e quelle delle Tenebre, dove queste ultime rappresentano tutti coloro che non condividono la loro visione: altro che universalità allargata di un messaggio di solidarietà. Radio Maria, che rappresenta una “potenza” per numero di ascoltatori e capacità di diffusione, non a caso ha appoggiato con toni apocalittici la rielezione di Trump, e da anni continua a martellare sulla necessità di recuperare il senso integrale della Croce, quello che esclude ogni pensiero divergente che non sia l’adesione al modello medievale di società: non “libere Chiese in liberi stati” ma la subordinazione in campo etico da parte dello Stato alle decisioni prese dagli interpreti del pensiero di Dio. Questi fanatici vorrebbero regolare e controllare scelte personali e private, cioè tutte le fasi principali della esistenza, la nascita, le espressioni sessuali, e lo stesso momento della morte, e pretendono di imporre ad ogni persona la propria morale, fondata, secondo loro, sulla Croce e su colui che ne era inchiodato.

Recuperando il senso delle parole della Cassazione, cioè che il Crocifisso non discrimina alcuna persona, il quotidiano “Avvenire” titolava l’articolo di prima pagina “La Croce che unisce”. Si, purché si aggiunga che essa, purtroppo, unisce sotto di sé sia i ragionevoli e disponibili al dialogo sia i faziosi integralisti in possesso della Verità della Croce e che, con quella, hanno deciso di dividere i popoli.

L’immagine in evidenza è tratta da: ilsole24ore.com
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: repubblica.it; riforma.it; blogdidattico.it; affarinternazionale.it

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