La minaccia della sinistra illiberale /2
DAI MEDIA: THE ECONOMIST LINKIESTA IL FOGLIO CORRIERE DELLA SERA
(Qui per leggere la prima parte di questo articolo)
L’appello dell’Economist e i commenti di Il Foglio e il Corriere Della Sera
I fini non giustificano i mezzi
I liberali classici si trovano pienamente d’accordo con la seguente affermazione di Milton Friedman: “la società che mette l’uguaglianza prima della libertà finirà con nessuna delle due”.
Secondo The Economist, l’errore di fondo di una parte della sinistra, che la porta ad essere altrettanto pericolosa, per la democrazia, quanto la destra populista è proprio qui:
“I progressisti illiberali pensano di avere un progetto per liberare i gruppi oppressi. In realtà la loro è una formula per l’oppressione degli individui …. In modi diversi, entrambi gli estremi antepongono il potere al processo, i fini ai mezzi e gli interessi del gruppo alla libertà dell’individuo.
I Paesi guidati dagli uomini forti ammirati dai populisti, come l’Ungheria sotto Viktor Orban e la Russia sotto Vladimir Putin, mostrano che il potere incontrollato è una cattiva base per un buon governo. Utopie come Cuba e Venezuela mostrano che i fini non giustificano i mezzi”.
Gli errori dei liberali
“Ma – si chiede l’Economist – se il liberalismo classico è molto meglio delle alternative, perché è in affanno in tutto il mondo?”.
L’Economist non ha remore nel parlare di imperfezioni ed errori. E descrive lo iato che si è creato tra il duro lavoro richiesto dall’essere un vero liberale e il comportamento delle élite liberali tra la fine del secolo scorso e il primo decennio di quello attuale:
“Il liberalismo ti richiede di difendere il diritto di parlare dei tuoi avversari, anche quando sai che hanno torto. Devi essere disposto a mettere in discussione le tue convinzioni più profonde. Le imprese non devono essere protette dalle tempeste di distruzione creativa. I tuoi cari devono avanzare solo sul merito, anche se tutto il tuo istinto è quello di piegare le regole per loro. Devi accettare la vittoria dei tuoi nemici alle urne, anche se pensi che porteranno il paese alla rovina.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando il loro ultimo sfidante ideologico sembrò crollare, le élite arroganti persero il contatto con l’umiltà e il dubbio di sé, tipici del liberalismo. Presero l’abitudine di credere di avere sempre ragione. Hanno progettato la meritocrazia americana per favorire persone come loro. Dopo la crisi finanziaria, hanno guidato un’economia che è cresciuta troppo lentamente perché le persone si sentissero prospere. Lungi dal trattare con dignità i critici della classe operaia bianca, hanno deriso la loro presunta mancanza di raffinatezza”.
“Questa compiacenza ha permesso agli oppositori di dare la colpa delle imperfezioni durature al liberalismo e, usando la questione razziale, di sostenere che l’intero Paese era marcio fin dall’inizio. Di fronte alla persistente disuguaglianza e al razzismo, i liberali classici possono ricordare alle persone che il cambiamento richiede tempo.
L’appello a reagire
“Ora l’errore che i liberali classici devono evitare è sottovalutare la minaccia. Troppi liberali di destra sono inclini a scegliere uno spudorato matrimonio di convenienza con i populisti. Troppi liberali di sinistra si concentrano su come anche loro vogliono la giustizia sociale.
Si consolano con il pensiero che l’illiberalismo più intollerante appartiene a una frangia”.
“Eppure è proprio contrastando le forze che spingono le persone agli estremi che i liberali classici impediscono che gli estremi si rafforzino.
Applicando i principi liberali, aiutano a risolvere i molti problemi della società senza che nessuno ricorra alla coercizione. Solo i liberali apprezzano la diversità in tutte le sue forme e capiscono come farne un punto di forza. Solo loro possono affrontare equamente tutto, dall’istruzione alla pianificazione e alla politica estera, in modo da liberare le energie creative delle persone. I liberali classici devono riscoprire il loro spirito combattivo. Dovrebbero affrontare i bulli e i cancellatori. Il lberalismo è ancora il miglior motore per un progresso equo. I liberali devono avere il coraggio di dirlo”.
Commenti
Abbiamo già ricordato l’apprezzamento per l’articolo dell’Economist espresso dal direttore del quotidiano online Linkiesta. Qui per leggere l’intervento di Christian Rocca.
Per il direttore del quotidiano Il Foglio, Claudo Cerasa, quello costruito dall’Economist è un affondo formidabile: “perché contribuisce a mettere al centro dell’attenzione un problema vero, tangibile che non ha a che fare solo con la cultura del cancelletto. Ha a che fare con qualcosa di più profondo, di più radicato, che coincide con il tentativo farlocco da parte di un pezzo del mondo progressista di affermare le proprie verità non attraverso un confronto con i propri avversari ma attraverso l’eliminazione delle loro idee. È un affondo giusto, saggio, ben costruito che dovrebbe essere studiato con attenzione da tutti coloro che a sinistra si autoproclamano ogni giorno come i veri argini al pensiero liberale di destra e che spesso non si accorgono di essere ostaggi anche loro di un paradosso mica male: denunciare l’illiberalismo degli avversari imponendo nel dibattito pubblico strategie illiberali utili a combattere i propri avversari non con la forza delle idee ma con la violenza delle fatwe”.
Al giornalista del Corrire Della Sera Gianluca Mercuri, invece, quello pubblicato dall’Economist non sembra un affondo ben costruito. Come abbiamo visto, quando il giornale inglese prova a spiegare perché il liberalismo è in affanno, indica come una delle principali cause l’atteggiamento arrogante assunto dalle élite liberali dopo la caduta del comunismo, con tutta una serie di gravi errori che ne sono conseguiti.
“Qui – dice Gianluca Mercuri – il grande giornale sembra non accorgersi di dare ragione alla «sinistra illiberale»” che proprio quella arroganza e quegli errori combatte.
Ma poi – dice ancora Mercuri – l’Economist se ne rende conto e, nel tentativo di salvarsi in corner, peggiora la situazione, commette un “goffo fallo da rigore” quando afferma che di fronte alla persistente disuguaglianza e al razzismo i liberali classici ricordano alla gente che il cambiamento richiede tempo.
A questo punto Mercuri prende apertamente le parti della sinistra illiberale (che lui preferisce chiamare radicale): “Tempo? Forse duecento anni sono troppi, già sembravano troppi 150 a chi marciava per i diritti civili negli anni ‘60, figurarsi a chi negli anni ‘20 del 2000 deve temere ancora di essere ammazzato da un poliziotto bianco per il solo fatto di essere nero.
L’Economist ha scelto l’esempio sbagliato per denunciare rischi reali. Black Lives Matter è un movimento che ha reagito alla colossale e inaccettabile evidenza di un razzismo permanente e pervasivo, lo ha fatto senza assaltare il Congresso e costruendo una grande alleanza inter-gruppi con i giovani bianchi, le donne e le altre minoranze (Malcom X cacciava i giovani bianchi dai suoi comizi, per dire). E per farlo non si può disconoscere il peccato originale dell’America, che è lo schiavismo, perché quel peccato originale continua a provocare ingiustizia.”
A parte il fatto che accanto al Malcom X che caccia i giovani bianchi dai suoi comizi c’è il Malcom X che dichiara (in un famoso discorso alla nazione, nel ’64, poco meno di un anno prima di essere assassinato)“In passato, è vero, ho condannato in modo generale tutti i bianchi. Non sarò mai più colpevole di questo errore”.
Certo, quel peccato originale va riconosciuto. E l’Economist lo fa, e da ragione agli attivisti del BLM quando dicono di volere “una politica antirazzista che funzioni”. La critica riguarda il metodo.
Mercuri conviene che è giusto denunciare gli eccessi. Il fanatismo delle statue abbattute, del clima di intolleranza e di paura in certe università e in certi giornali non va bene. Ma non va bene, per il giornalista del Corriere, neppure il ”senso di superiorità morale” che aleggia nell’appello a reagire che l’Economist rivolge ai liberali. “È facile – conclude Gianluca Mercuri – citare il solito Milton Friedman («la società che mette l’uguaglianza prima della libertà non avrà nessuna delle due») ma è facile anche ribaltarlo: la società che mette la libertà prima dell’uguaglianza rende liberi solo alcuni”.
Questo ribaltamento dialettico sembra voler stabilire una sorta di parità morale tra il liberalismo e il suo nemico storico, il comunismo (che per vie dirette o indirette resta il riferimento ideologico di buona parte della sinistra illiberale, o radicale).
A nostro avviso ha ragione il direttore del Foglio, quando dice che il testo pubblicato dall’Economist va studiato attentamente. Se lo si studia attentamente si capisce che per l’Economist è il metodo che fa la vera differenza più che gli obiettivi (chi potrebbe dire che libertà e uguaglianza non sono obiettivi entrambi nobilissimi?).
Ed hanno ragione i liberali classici quando dicono che i grandi progressi richiedono tempi lunghi (l’affermazione che Mercuri considera il punto debole del discorso del giornale inglese è in realtà il suo punto di forza).
Non funziona più di tanto la via preferita dalla sinistra illiberale/radicale, che alla lentezza del metodo del confronto antepone la via breve della coercizione (cancellazione è la stessa cosa). Anteporre il potere al processo non è la via giusta (e certamente non è la via dei liberali). Troppo spesso, questa via, quando è stata praticata ha prodotto mali peggiori di quelli che si proponeva di curare.
L’immagine in evidenza è tratta da Linkiesta.it
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