La sostituzione etnica, la crisi di identità europea e Silvio Berlusconi

Un recente articoli di Avvenire “Identità e integrazione, reali antidoti a ogni “sostituzione“di Mario Marazziti, studioso e politico cattolico di notevole esperienza, ci propone alcune interessanti questioni su cui riflettere e confrontarci.

La valutazione dell’evento, da cui parte il ragionamento di Marazziti, ci trova perfettamente d’accordo: si tratta della frase del ministro Lollobrigida sul rischio di una “sostituzione etnica” degli italiani da parte dello “straniero”. Ha dell’incredibile il fatto che questo concetto venga pubblicamente espresso da un ministro della Repubblica italiana.

Commenta Marazziti: “Chi parla preoccupato, da ministro, di “sostituzione etnica” ha spiegato che non sa delle idee di Hitler, del Piano Kalergi, la teoria complottista creata in Austria nel 2005 per dire che gli immigrati fanno parte di un piano per distruggerci, o di Renaud Camus, che rilancia dal 2011 la teoria della Grande sostituzione. Quando non si sa, non si dovrebbe parlare. «L’antisemitismo ci sarebbe lo stesso anche se non ci fosse più nessun ebreo». Ne ragionavo una volta con Amos Luzzatto, a Palermo, ai margini di un incontro per la pace. Era stato cacciato da scuola a dieci anni, per le leggi razziste del 1938: «Non c’è bisogno della realtà per creare il nemico assoluto», diceva.

Marazziti elenca alcuni dati fondamentali per inquadrare il fenomeno emigrazione come una necessità ineliminabile (e vantaggiosa), in questa fase demografica europea, di fronte al calo della natalità, la tendenza allo spopolamento ed il bisogno di mano d’opera. Da uomo di fede coerente Marazziti aggiunge anche una considerazione etica, specificatamente rivolta ai credenti: “Come “umani”, e cristiani, la sfida è quella di non perdere la capacità di immedesimarci nell’altro, ricacciando dietro un fiume di parole evidenze semplici: che uno che rischia di affogare va soccorso. Che quei bambini a Cutro sono senza nome perché sono stati inghiottiti dall’acqua anche i genitori: e questa è una vergogna. Indelebile. Da cui partire per essere migliori.

 Di fronte alla paura del “nuovo”, rappresentato dallo straniero ( “Chi propone un’Europa di Stati sovrani e non un’Unione Europea, i neo-nazionalisti, sbandierano la sostituzione etnica per diffondere una nuova paura, per evitare l’arrivo dei “barbari” “) il vero problema è rappresentato dalla incertezza identitaria di noi, italiani ed europei, che abbiamo dimenticato la forza culturale, sociale ed economica che ci ha caratterizzato per secoli e che impedirebbe di essere “inghiottiti da meno di un profugo, da meno di un rifugiato ogni 180, o ogni 100 europei nei luoghi in cui i profughi sono di più. Come se non si sapesse trasmettere niente né sul piano dei valori che su quello dei modelli sociali, culturali, umanistici, religiosi.” La paura si può fermare con l’integrazione ma per fare questa scelta bisogna avere (o riscoprire) la nostra identità.

Ritrovare la nostra identità di europei ed italiani significa per Marazziti compiere un passaggio essenziale. Bisogna, cioè, superare la “sostituzione antropologica”, questa si reale e ben presente nel III millennio, e che per l’autore consiste nell’avere (quasi) abbandonato la dimensione collettiva, il “noi”, per sostituirla con i bisogni dell’individuo, l’“io”. Marazziti aggiunge che abbiamo ultimamente privilegiato più i diritti civili (riguardanti singole realtà) che quelli umani (più generali e non realizzati compiutamente, a partire dal primo articolo della Costituzione). È una critica rivolta alla politica della sinistra, che in effetti oggi sembra trascurare la dimensione del “cittadino” e del suo sviluppo per concentrarsi su quella dell’“individuo” e dei suoi diritti. Un esempio: di fronte alla sofferenza di milioni di persone impoverite quale urgenza nazionale avrebbe mai la maternità surrogata? Quale agenda politica lungimirante metterebbe al primo posto l’accanimento terapeutico dei malati rispetto all’abbandono terapeutico degli anziani?

Sono considerazioni ponderate con cui fare i conti. Da parte nostra chiediamo a Marazziti e ai cattolici democratici di fare a loro volta i conti con la corrosione – fino alla cancellazione dell’identità solidaristica e moralmente alta a cui essi si richiamano – provocata da quella “mutazione antropologica” che sullo stesso giornale “Avvenire” viene denunciata, nell’articolo di Andrea Lavazza, come opera di Berlusconi e dei suoi emuli: “Quello che non si può fare in morte di Silvio Berlusconi è sottovalutarne l’enorme impatto antropologico sull’Italia dell’ultimo quarantennio.”

L’autore, docente universitario e dal 2021 vicepresidente della Società italiana di Neuroetica e filosofia delle Neuroscienze, svolge una rapida e fortemente critica ricostruzione del lascito berlusconiano, partendo dal cambiamento di costume e di mentalità collettiva che si è realizzato attraverso le reti Fininvest e che ha plasmato, in una buona parte degli italiani, un atteggiamento  di sostanziale estraneità verso la legalità, il senso di responsabilità nel sociale, i doveri verso la collettività.

Un lungo paragrafo esemplifica il messaggio di Berlusconi, del quale non si dimentica (come invece avviene in tanti necrologi) che è stato amico sincero di Putin: “Liberale non era propriamente il modo in cui si era fatto spazio nel mercato radiotelevisivo a colpi di patronage politici, in una cornice normativa, c’è da sottolinearlo, che di liberale aveva ancora meno. La divisione dei poteri non era nelle corde del proto-populista Berlusconi («chi ha l’investitura degli elettori ha diritto di governare»), i formalismi procedurali venivano spesso vissuti come un ostacolo alla tanto sbandierata praticità del fare («creare un milione di posti di lavoro»), i conflitti con la presidenza della Repubblica e, soprattutto, con la magistratura – una disgrazia per il Paese, qualunque sia la prospettiva adottata – hanno segnato la sua linea di governo.”.

Il bilancio finale sottolinea anche altri aspetti passati totalmente sotto silenzio nella apologia televisiva di questi giorni, come il maschilismo del “bunga bunga”, e si conclude con la visione di una autobiografia della nazione Italia che in larga parte si è rispecchiata in ciò che Berlusconi ha rappresentato.

Quando con Marazziti soppesiamo la “sostituzione antropologica” dell’Italia di oggi non dovremmo dimenticare che in gran parte essa rappresenta l’”uomo berlusconiano”.
Questa nostra sottolineatura non è un vezzo di antiberlusconismo di maniera. È invece una sincera preoccupazione che oggi, nel momento in cui si porge l’estremo saluto ad un personaggio comunque rilevante nella storia recente del nostro paese (e, pertanto, prevale la tendenza a metterne in evidenza meriti piuttosto che limiti) si corre il rischio di avallare  prese di posizione che francamente lasciano perplessi.

A questo proposito segnaliamo che proprio accanto alla lucida e puntuale sintesi critica della figura di Berlusconi a firma di Andrea Lavazza, viene pubblicata da Avvenire una breve intervista al cardinal Ruini, che è stato presidente dei vescovi italiani (Cei) dal 1991 al 2007.  “Intelligente e generoso, ha meriti storici per l’Italia.” È il titolo dell’intervista e contemporaneamente la sintesi del pensiero del cardinale, accolto senza alcun commento critico e sottolineando il valore del “moderato centrismo” del Cavaliere e la novità positiva della Chiesa che “non aveva paura di dialogare con le espressioni anche più nuove della società”, perché “Si chiudeva un’epoca e bisognava andare verso il nuovo. Un po’ come sta succedendo in questo nostro tempo. ” .
L’ultima frase è un riferimento al governo Meloni-Salvini (di cui il cardinal Ruini è un fervente sostenitore).

Non c’è altro da aggiungere, tranne questa considerazione: non l’ecumenismo, non la libertà di espressione e neppure la eventuale fecondità di accostare idee diverse potrà mai farci capire come sia possibile tenere insieme due visioni del mondo così distanti.

Immagine in evidenza: Mahdi Bafande su Unsplash

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