Il Sinodo per l’Amazzonia /2
I tradizionalisti e l’”abolizione” del celibato
Partiamo dalle parole del cardinale Claudio Hummes, relatore generale del Sinodo che si è aperto il 6 ottobre in Vaticano. Di fronte all’impellente necessità delle comunità cattoliche in Amazzonia, Hummes ha scritto che è necessario che
«si apra la strada all’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati residenti nelle comunità. Al tempo stesso, di fronte al gran numero di donne che oggi dirigono le comunità in Amazzonia, si riconosca questo servizio e si cerchi di consolidarlo con un ministero adatto alle donne dirigenti di comunità».
Ecco ciò che, nei prossimi giorni, diventerà l’argomento più importante, sottolineato dal Cardinal Brandmuller cioè il tema da lui definito “abolizione del celibato”. Ha scritto il novantenne cardinale tedesco, fatto tale da Benedetto XVI nel 2010 (già noto per aver affermato che un collegamento tra omosessualità e pedofilia è stato “statisticamente provato”): “È impossibile nascondere che questo sinodo è particolarmente adatto per attuare due progetti tra i più cari che finora non sono mai stati attuati: vale a dire l’abolizione del celibato e l’introduzione di un sacerdozio femminile, a cominciare dalle donne diacono….”
Affrontiamo oggi solo il primo punto che il cardinal Brandmuller (assieme ai tradizionalisti) solleva come aspetto centrale del sinodo dell’Amazzonia: “l’abolizione del celibato sacerdotale”.
1) Smontiamo il “terrorismo” della mezza informazione: non si tratta di abolire “il celibato sacerdotale” ma di affiancarlo con la figura di “uomini sposati e retti”.
2) Questa è una misura necessaria in una situazione che, a giudizio della maggioranza del sinodo (non della totalità), composta da persone che conoscono bene la realtà di cui parlano (beninteso interpretandola alla luce della loro visione del mondo) è assolutamente inderogabile. Il vescovo Krautler, che fa parte della maggioranza, spiega con chiarezza il perché, visto che l’Amazzonia Krautler la conosce a fondo: missionario dal 1965 in Brasile, è stato vescovo della Prelatura dello Xingu nello Stato del Parà, la diocesi più estesa del Paese, dal 1981 al 2015 (da parecchi anni vive sotto scorta per aver ricevuto minacce di morte a seguito delle sue coraggiose denunce contro gli omicidi e gli abusi di cui sono vittime le popolazioni indigene):
“Migliaia di comunità che non hanno l’Eucarestia se non 2-3 volte l’anno. Per noi cattolici è l’apice della fede, Gesù Cristo ha detto: “Fate questo in memoria di me”, non quando volete, come volete…Quindi questi popoli sono praticamente esclusi dal contesto della Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II affermava che non esiste la Chiesa se non vicino all’altare. Ecco, ho detto a Papa Francesco che questi popoli non hanno un altare. Vogliamo che questi nostri fratelli non abbiamo solo il tavolo della parola ma anche della Eucarestia».
Ma in zone del mondo dove le Diocesi sono estese quanto uno stato non è possibile assicurare la messa ogni domenica: da ciò la soluzione dei “viri probati”, cioè l’ordinazione di uomini anziani, sposati e di provata fede, residenti in una comunità sperduta, in modo che possano distribuire i sacramenti. “Abbiamo messo il celibato davanti all’Eucarestia” ha sottolineato il vescovo Krautler per invitare a rovesciare questo ordine gerarchico.
3) Ultima questione: i “viri probati” potrebbero diventare una misura da applicare anche in altre zone (Europa per esempio) dove la mancanza di preti richiede comunque una risposta: Infatti “E l’apertura disciplinare sarebbe limitata solo all’Amazzonia? Non indebolirebbe il sacerdozio celibe nel resto del mondo? si interroga il cardinal emerito di Caracas Jorge Uroso Savino. Non necessariamente. Il sacerdozio celibe resterebbe come scelta così come l’introduzione del divorzio non ha obbligato le coppie cattoliche a separarsi. La domanda centrale è invece: il celibato sacerdotale è un dogma di fede? Pur contrario a “viri probati” il cardinal Savino scrive: ”…il problema di ordinarli (i viri probati ndr) è una questione di disciplina, di convenienza religiosa e pastorale e richiede di ponderare i pro e contro. Non è un dogma di fede.” Concludiamo col parere di uno studioso mai distante dalla teologia di Benedetto XVI, il cardinal Ravasi:
“La disciplina del celibato sacerdotale fa il suo ingresso ufficiale nel IV secolo, con i concili di Elvira del 306 e di Roma del 386, soprattutto sulla base del modello di Cristo. Tuttavia, anche dopo, per secoli continuerà a sussistere la prassi del sacerdozio coniugale, come è oggi attestato dalle Chiese orientali ortodosse e cattoliche. Secondo il Concilio Vaticano II, il nesso tra sacerdozio e celibato ha un “alto rapporto di convenienza”…Un rapporto che non è però un vincolo teologicamente radicale e necessario.” dal libro “Questioni di fede” pg. 203 ed Mondadori.
Papa Francesco, qualsiasi scelta dovesse alla fine adottare (spetterà a lui e non al sinodo decidere in merito ai “viri probati”) potrà essere criticato a partire da elementi storici attinenti alla realtà attuale, non in base al richiamo alla Tradizione o ancor peggio ai Vangeli. I problemi del mondo di oggi non possono trovare la risposta nei libri, neppure quelli sacri, ma nella scelta responsabile di chi li consulta.
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