La migliore manovra possibile?

Scrive Carlo Cottarelli, su La Stampa del 17 ottobre, che la manovra economica varata durante la notte dal governo giallorosso “non guarda alla crescita”. E la definisce una manovra “salvo intese”, perché è vero che è stata approvata all’unanimità ma “salvo Intese”. Sintomo, dice Cottarelli, “insieme all’orario inusuale in cui è terminato il consiglio dei ministri, di una difficoltà a trovare intese sui dettagli”. Questo vuol dire che la monovra non è del tutto definita e molti punti specifici sono rinviati ad accordi successivi.
Dice ancora Cottarelli: “Il governo dice che è espansiva ma i dati sono chiari. Il deficit pubblico dovrebbe restare immutato rispetto a quest’anno, al 2,2 per cento del Pil … e quindi non c’è una spinta sulla crescita dell’economia”.

Il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, aveva dichiarato alla stampa: “garantisco che siamo tutti concentrati per dare a questo paese la migliore manovra possibile”.

Guardando i commenti su vari giornali abbiamo visto che, sia pure con accenti diversi a seconda della maggiore o minore simpatia per il governo giallorosso, in genere il giudizio complessivo non si discosta molto dall’idea che la manovra economica per il 2020 sia in sostanza una manovra così così. Una manovra da 30 miliardi che ne destina (giustamente) 27 per evitare l’aumento dell’Iva e per tutto il resto mette a disposizione 7 miliardi. Di conseguenza:  taglia il cuneo fiscale ma non più di tanto, riduce alcune tasse ma ne aumenta delle altre, prevede nuovi investimenti pubblici ma solo se si troveranno le risorse, promette maggiori sussidi per gli asili nido ma a partire dal prossimo anno scolastico e così via. E, in definitiva, lascia invariate le previsioni della crescita indicate dal governo precedente (allo 0,4 per cento).

Gli intenti annunciati al momento della formazione del nuovo governo erano diversi: si parlava di voler puntare decisamente sulla crescita: del pil dell’occupazione dei consumi .
Ciò, in realtà, per un paese che è sostanzialmente fermo da circa vent’anni sarebbe indispensabile.

Su questo punto (ovvero su ciò che servirebbe al paese e che, volendo, sarebbe possibile) il discorso più chiaro e convincente è, ancora una volta, quello fatto da Elsa Fornero. L’ex ministra del governo Monti esprime il suo punto di vista in un intervento, scritto insieme a Raffaele Corvino, apparso  sul giornale Il Foglio del 16 ottobre. Il nodo che viene affrontato è: cosa sarebbe necessario per puntare seriamente alla crescita?
Proviamo a riassumere la complessa e articolata risposta.

Le politiche di bilancio espansive implicano: “diminuzione delle imposte e aumento della spesa là dove sarebbe opportuno, per esempio per formazione e ricerca o per la green economy”.
Ma con un debito pubblico elevato (come ha l’Italia) “ridurre le imposte è pressoché impossibile mentre ridurre la spesa diventa socialmente difficile visto che ogni spesa pubblica avvantaggia qualcuno e togliere qualche beneficio può risultare pericolosamente impopolare.” … .

A questo punto la nostra economia avrebbe bisogno di quello che viene chiamato  ”uno choc positivo”. Le parti sociali si sono già espresse in tal senso insistendo sul taglio del “cuneo fiscale”, “ossia il divario, per l’impresa, tra costo del lavoro e retribuzione lorda e, per il lavoratore, tra retribuzione lorda e netto in busta paga, con la differenza dovuta a imposte e contributi sociali“. … Un minor cuneo fiscale per i lavoratori “permetterebbe loro di avere un reddito disponibile più elevato a parità di retribuzione lorda; un minor cuneo fiscale dal lato delle imprese ne aumenterebbe la competitività, inducendole a una possibile riduzione dei prezzi e a una maggiore domanda di lavoro, evitando delocalizzazioni o chiusure”.

Ridurre il cuneo però costa, e non poco: “8 miliardi per accorpare i primi due scaglioni Irpef, abbassando l’aliquota per i redditi tra i 15 e i 28 mila euro dal 27 al 23 per cento, più altri 10 miliardi se si volesse tagliare anche solo di un punto il cuneo a carico delle imprese (secondo calcoli del Centro Studi Confindustria“).

Dove trovare le risorse necessarie?
– una prima risposta è: con la lotta all’evasione fiscale.
Se si tiene conto delle stime che vengono fatte sull’ammontare delle entrate sottratte al fisco dall’evasione, una efficace lotta agli evasori risolverebbe il problema risorse. Ma bisogna essere realistici e rendersi conto che questa risposta è “puramente teorica”. La lotta all’evasione è importante e va portata avanti, ma “cancellare l’evasione è utopistico”. “Cambiare le abitudini in materia di pagamenti e gli atteggiamenti nei confronti del fisco rimane un obiettivo molto ambizioso e necessariamente graduale”.
– una seconda risposta è: utilizzare in una logica diversa le risorse attualmente dedicate a quota 100 e al RdC, con un ragionamento di questo tipo:
“Una riduzione del cuneo fiscale, attraverso l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef riguarderebbe oltre la metà dei contribuenti. … Rimarrebbero esclusi gli incapienti … Mettendo sul piatto altri 2 miliardi, secondo le stime del Csc, si potrebbe finanziare un sussidio per i più poveri. Calcolato però sul reddito da lavoro effettivamente percepito, evitando alla radice il disincentivo al lavoro insito nel reddito di cittadinanza …  Il costo complessivo di questi due interventi – spalmato su circa 30 milioni di persone – ammonterebbe a 10 miliardi. Un costo inferiore alla somma delle risorse stanziate per rdc e quota 100 per i prossimi anni (16 miliardi di euro). …

Prendere atto del declino dell’economia e delle sofferenze della società impone il dovere morale, oltre che politico, di scelte coraggiosamente rivolte alla crescita e all’occupazione, anche sacrificando, o inquadrando in una logica diversa, discusse misure come quota 100 e reddito di cittadinanza”
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