Cosa c’è dietro lo scontro sull’Istituto Giovanni Paolo II /1

L’Istituto Giovanni Paolo II è rimasto fermo alla Humanae Vitae e al Medioevo. Gli anticoncezionali sono ancora vietati per una scelta ideologica, non religiosa.

Il 25 agosto Matzuzzi sul “Foglio” riprende il tema della “riforma” dell’Istituto Giovanni Paolo II alla luce di alcuni aspetti teorico-pratici legati all’enciclica “Humanae Vitae” del 1968, scritta da Paolo VI. Il centro di questa enciclica è consistito nel affermare che ”il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ……. È esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione anche se procurato per ragioni terapeutiche…”. Quindi viene vietato ogni anticoncezionale fino al coitus interruptus (vedi Qui).

L’articolo di Matzuzzi  vuole confermare la validità di tale dottrina attraverso la ripresentazione dell’ intervista a Monsignor Caffarra (direttore dell’Istituto, morto nel 2017) con le sue dotte citazioni sull’eternità della Tradizione, le due verità, l’Infallibilità legata all’assistenza dello Spirito. Per quanto riguarda la morale sessuale, anche l’Istituto Giovanni Paolo II era ed è stato il formatore di teologi e di coscienze attraverso una specifica e peculiare “ortodossia” – cioè il cristianesimo interpretato da Woytila e Ratzinger alla luce della Humanae Vitae – in particolare attraverso la cattedra di teologia morale fondamentale, condotta prima dallo stesso Caffarra poi da Monsignor Melina.
Ricordiamo, tra parentesi, che nel lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II “l’incondizionato consenso all’Humanae vitae ha rappresentato uno dei criteri decisivi per la nomina dei vescovi e l’autorizzazione all’insegnamento”, a parere ben fondato del teologo Lintner, che ha ricostruito specificatamente  la storia dell’enciclica di Paolo VI  (vedi Qui)..
L’ insegnamento di Caffarra e Melina è stato indirizzato alla riaffermazione della visione di un matrimonio fuori dal tempo storico, e le problematiche concrete delle famiglie diversificate della nostra epoca erano tenuti sullo sfondo mentre la risposta alle loro domande consisteva appunto nella proposta della Humanae vitae.
Nella stessa prospettiva numerosi docenti dell’Istituto hanno messo “in sordina” (eufemismo nostro) le aperture innovative che i sinodi e papa Francesco auspicavano. Infatti “nessuno può dimenticare che nell’intensa stagione sinodale e poi anche nei mesi successivi alla pubblicazione di “Amoris laetitia”, alcuni rappresentanti di vertice dell’Istituto insieme ad alcuni docenti si sono affannati con pubblicazioni, dichiarazioni, interventi a convegni e conferenze, a minimizzare la portata della svolta voluta da papa Francesco. Tante le sottolineature critiche sul lavoro del doppio Sinodo e anche sui contenuti dell’Esortazione post sinodale. Attacchi tanto più spiacevoli perché provenienti dal cuore di quell’istituto che avrebbe dovuto rappresentare, nell’ambito della formazione specialistica ai massimi livelli, uno dei motori del rinnovamento, non l’organizzatore di una sorta di fronda” sostiene l’”Avvenire” l’organo della Cei, il 30 luglio 2019 (vedi Qui).

Oggi si può tuttavia sospettare che la scelta storica di Paolo VI, a cui facevano riferimento Wojtila, Ratzinger e l’Istituto di Monsignor Caffarra, scelta contro l’uso della pillola e di ogni contraccettivo senza eccezioni, preceduta dalle indagini da parte di teologi, dalle inchieste da parte dei ricercatori e dai numerosi incontri delle commissioni di esperti, potrebbe essere stata determinata da un motivo molto più semplice di quanto il cardinal Caffarra e Matzuzzi abbiano pensato. Han Kung (“Una battaglia lunga una vita” pg 430 -31) si era spesso chiesto – e non era l’unico –  perché la maggioranza progressista della Commissione di chierici e laici, con a capo il cardinal Doepfner, aperto al cambiamento della dottrina, non fosse riuscita a convincere Paolo VI ad accettare l’uso della pillola. Eppure nel 1966 è stato possibile formulare – da parte di teologi cattolici nominati dal Papa – una dottrina alternativa a quella oggi ufficiale; infatti, secondo la relazione di maggioranza dellaPontificia commissione per il controllo della popolazione e delle nascite”, istituita da Paolo VI per fargli da consulente, l’uso di contraccettivi poteva essere considerato come un’estensione dei metodi naturali, già accolti dalla Chiesa: «L’accettazione di un’unione legittima durante i periodi sterili calcolati della donna – la cui applicazione è legittima se presuppone motivazioni giuste – fa una separazione tra l’atto sessuale che è esplicitamente destinato ad ottenere un effetto riproduttivo e quello che intenzionalmente lo esclude.
La tradizione ha sempre respinto questa separazione con un intento contraccettivo per motivi viziati dall’egoismo e l’edonismo, e tale veste non può mai essere ammesso. La vera opposizione non è da ricercare tra la conformità del materiale ai processi fisiologici della natura e qualche intervento artificiale, poiché è naturale per l’uomo usare la sua abilità al fine di mettere sotto il controllo umano ciò che è dato dalla natura fisica. L’opposizione è da ricercare tra un modo di agire che è contraccettivo e contrario a una fecondità prudente e generosa, e un altro modo, che è in un rapporto ordinato di fecondità responsabile e che ha un interesse per l’educazione e i valori umani e cristiani.
» In sostanza qui si sostiene che il peccato non consiste nell’uso dello strumento ma nell’intenzione con cui le persone compiono l’atto sessuale/amoroso. Anche la pratica dell’Ogino Knaus, quando venisse determinata dall’ interesse solo egoistico di non avere figli o dalla ricerca del piacere edonistico, sarebbe considerata peccaminosa – a ragion veduta- dalla Chiesa stessa.

La tesi dei teologi progressisti, che evidenzia anche la liceità dell’intervento umano (“è naturale per l’uomo usare la sua abilità al fine di mettere sotto il controllo umano ciò che è dato dalla natura fisica”) rappresenta un ragionamento perfettamente logico ed ancora adesso attuale, e resta interna alla dottrina evangelica, per la quale non contano i “sepolcri imbiancati” che rispettano la forma della legge, ma la rettitudine dei cuori. Se Paolo VI avesse fatta propria questa tesi nella scrittura della Humanae Vitae, molte vicende esistenziali sarebbero cambiate – in meglio -: per esempio, alla donna irlandese, madre di cinque figli, col marito magari disoccupato, il buon prete cattolico avrebbe potuto dire, senza paura di compromettersi, che una maternità e una paternità responsabili consentivano l’uso dell’anticoncezionale. Per molti altri cristiani, cioè luterani, calvinisti, metodisti, questo discorso era già possibile farlo, senza problemi morali, fin dal secolo scorso. Perché allora Paolo VI fece la scelta opposta?

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