La soluzione dei tre stati

Così  la chiama, nel presentarla, il noto opinionista del NYT Thomas L. Friedman.
Con l’espressione “la soluzione dei tre stati” Friedman sintetizza l’idea che non c’è alcuna speranza che il conflitto israelo-palestinese possa essere risolto finché non vi sarà “un cambio di leadership a Teheran, Gerusalemme e Ramallah”.

Prendendo per prima cosa in considerazione la situazione politica dell’Iran, Friedman cita l’opinione del noto esperto Karim Sadjadpour: “Questa regione non vedrà alcuna pace o stabilità significativa finché l’attuale governo sarà al potere a Teheran“. Bisogna solo sperare che prima o poi il popolo iraniano trovi il modo per liberarsi del regime che oggi lo opprime.

Una volta, ricorda Friedman, Iran e Israele erano paesi alleati. Tutto cambiò con la rivoluzione islamica del 1979, che portò al potere l’Ayatollah Khomeini.  L’Iran divenne una teocrazia che “dava priorità alla diffusione della propria ideologia islamica – e alla distruzione dello Stato ebraico di Israele”.

Per realizzare questo suo obiettivo la teocrazia iraniana, che dispone di ingenti risorse, finanzia i vari movimenti estremisti appartenenti all’integralismo islamico presenti in Medio Oriente (tra cui Hamas) per diffondere l’ideologia iraniana. Si tratta di una minoranza: “un 5% di fanatici che stanno rendendo la vita un inferno al 95% di palestinesi, libanesi, siriani, yemeniti e iracheni che vogliono semplicemente vivere in pace”.

Ecco perché un cambio di regime a Ramallah (sede dell’ANP) sarebbe importante. L’Autorità Nazionale Palestinese attualmente guidata da Mahmoud Abbas è “corrotta e inetta”, ma abbraccia ancora “l’idea di una convivenza pacifica con Israele e condivide gli accordi di Oslo volti a realizzare la soluzione due stati per due popoli”.

Se l’ANP fosse “un’istituzione di governo efficace” potrebbe sostituire Hamas nel governo di Gaza e portare avanti con Israele la soluzione a due stati, anche con il sostegno di alcuni paesi arabi moderati.

Ma tutto questo non sarà comunque possibile permanendo alla guida del governo d’Israele l’attuale  leadership. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sempre fatto di tutto per “frustrare e impedire l’emergere di un’Autorità Palestinese efficace, … ha trascorso anni assicurandosi che Hamas ricevesse risorse sufficienti dal Qatar per rimanere al potere a Gaza, e impedendo l’istituzione di un organo decisionale palestinese unificato”.

(Come abbiamo scritto in un precedente post) Netanyahu ha infatti la responsabilità di aver favorito le mire di Hamas ad acquisire il controllo sulla Striscia di Gaza a scapito dell’Autorità Nazionale Palestinese, che era favorevole alla soluzione dei due stati. Soluzione che però non è mai piaciuta a Netanyahu come ad Hamas. Il primo per tenere in vita l’obiettivo degli estremisti religiosi ebrei di condurre una occupazione strisciante della Cisgiordania, il secondo per tenere in vita la speranza di distruggere Israele.

L’approccio di Netanyahu – dice Friedman – è stato vergognoso e non nell’interesse di Israele.  Inoltre, Netanyahu ha oggi un motivo in più per non collaborare con l’Autorità Palestinese: è sotto processo con l’accusa di corruzione, “ ha bisogno di mantenere il suo incarico per patteggiare, in caso di condanna”. Pertanto non può fare a meno dell’appoggio dei partiti suprematisti ebrei di estrema destra che rifiutano la soluzione a due stati in quanto  essa implicherebbe la rinuncia in tutto o in parte ai territori occupati nella Cisgiordania.

Secondo Friedman, se l’orientamento politico del governo israeliano cambiasse radicalmente, nella direzione di costruire una vera e proficua collaborazione con l’Autorità Nazionale Palestinese per renderla efficace, credibile e legittima (“manifestando la volontà di trasferire ad essa maggiori responsabilità di governo e di sicurezza  in Cisgiordania e a Gaza  – non appena ne avrà creato le capacità – e la volontà di invitare negli Stati Uniti, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita per contribuire a portare l’Autorità Palestinese a quel livello e finanziare le sue istituzioni”) si otterrebbero  risultati di grande portata: Israele riguadagnerebbe popolarità e sostegno, l’Iran e Hamas verrebbero “sgonfiati”, i paesi arabi avrebbero meno difficoltà a collaborare con Israele. Insomma si riaprirebbe la speranza per una risoluzione del conflitto.

Ci troviamo in un momento caotico in Medio Oriente, dice Friedman.  Tutto quello che so per certo – conclude – “è che un’Autorità Palestinese efficace, credibile e legittima è la chiave di volta per ogni risultato dignitoso: una soluzione sostenibile a due Stati, un’alleanza arabo-israeliana sostenibile contro l’Iran, una politica sostenibile degli Stati Uniti e della NATO in Medio Oriente per proteggere un l’Israele democratico dalla teocratica Teheran e la rimozione sostenibile della “carta Palestina” dalle mani dell’Iran” (che la usa per “distoglie l’attenzione dallo schiacciamento del suo stesso popolo, in particolare donne e ragazze, e le loro aspirazioni democratiche”).

L’immagine in evidenza: Foto di Bret Wharton su Unsplash    

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