La CEI, il divieto e la preghiera
“Le comunicazioni del Governo rappresentano uno sforzo di incoraggiamento, all’interno di un quadro di onesto realismo, con cui si chiede a ogni cittadino un supplemento di responsabilità… È con questo sguardo di fiducia, speranza e carità che intendiamo affrontare questa stagione. Ne è parte anche la condivisione delle limitazioni a cui ogni cittadino è sottoposto. A ciascuno, in particolare, viene chiesto di avere la massima attenzione, perché un’eventuale sua imprudenza nell’osservare le misure sanitarie potrebbe danneggiare altre persone. Di questa responsabilità può essere espressione anche la decisione di chiudere le chiese. Questo non perché lo Stato ce lo imponga, ma per un senso di appartenenza alla famiglia umana, esposta a un virus di cui ancora non conosciamo la natura né la propagazione” dalla Presidenza della Cei del 12 marzo 2020.
L’adesione a questa indicazione è stata quasi totale, tranne che per le cinque chiese di Gallignano, Scafati, Maser, Sant’Irpino e Marina di Cerveteri (subito strumentalizzate, come bandiere, dagli organi di informazione dei tradizionalisti cattolici) su un totale di circa 26.000 parrocchie nel territorio nazionale.
Dal giorno lunedì 27 aprile la pratica sanitaria condivisa da Chiesa e governo è stata messa in crisi, dopo che sono state rese note le disposizioni governative in merito alla nuova fase della quarantena, disposizioni che confermano il prolungarsi della chiusura delle chiese. Il comunicato della Cei ed il commento di Avvenire sono chiari. In un editoriale il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio: “Sarà molto difficile far capire perché, ovviamente in modo saggio e appropriato, si potrà tornare in fabbriche e in uffici, entrare in negozi piccoli e grandi di ogni tipo, andare in parchi e giardini e invece non si potrà partecipare alla Messa domenicale. Sarà difficile perché è una scelta miope e ingiusta. E i sacrifici si capiscono e si accettano, le ingiustizie no» e sul tema fede e fase 2, scrive di «ferita incomprensibile e ingiustificabile”.
Da parte nostra appoggiamo la protesta Cei perché ci sembra legittima, motivata con appropriati argomenti.
Tuttavia soffermiamoci ancora non tanto sulla sacrosanta (senza ironia) richiesta, quanto sull’insistenza, da parte di molti fedeli, a voler pregare in luoghi preposti. Anche essa è legittima e la Costituzione autorizza ogni religione ad avere il proprio tempio, ma per i cristiani è proprio indispensabile? Che ci sia l’opportunità, per qualsiasi fede, di pregare in uno spazio delimitato (chiesa, mosche, sinagoga, ecc) resta una libertà civile. Rappresenta tuttavia un bisogno prioritario per un cristiano? E’ una modalità spirituale che Gesù – che pure andava al Tempio e nelle sinagoghe – riteneva obbligatoria e necessaria? Nel vangelo di Giovanni 4,20, parla la donna samaritana: “…i nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorarlo.” Risposta di Gesù: “Credimi donna, è giunto il momento in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre…è giunto il momento in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità perché il Padre cerca tali adoratori…”. Se il tempio per antonomasia, Gerusalemme, ed i santuari vari non sono necessari al Padre, cosa resta?
Resta – come aspetto essenziale – il pregare Dio “in spirito e verità” cioè nel “tempio interiore” – dentro di noi – che Lui ha fatto a sua immagine, dove, per chi crede, c’è lo Spirito e la Verità, c’è il soffio della divinità che ivi ha lasciato la sua traccia. Il “tempio interiore”, quel luogo appartato e silenzioso, che è interno ad ogni individuo, rappresenta il luogo che gli consente di rivolgersi al Mistero che lo sovrasta, Mistero che viene definito con nomi diversi in culture e tradizioni differenti ma che, per tutte esse, sempre alberga in ogni persona. Per esempio il Budda parla dell’ ”isola del sé” e di prendere rifugio in essa; nel taoismo cinese esiste “il cuore dentro il cuore”, la dimensione più intima di ogni individuo. La “coscienza”, quella sensazione di avere in noi un qualcosa più grande e più profondo dell’io, quella realtà che in Kant fa da pendant al “cielo stellato sopra di noi”, quel luogo diventa la sede indispensabile per rivolgersi a Dio. Vorremmo ricordare ai fedeli che intendono ancora confrontarsi con modalità differenti di pensiero e di pratica spirituale, l’indicazione di Agostino di Ippona: “Uomo, non uscire fuori da te, rientra dentro di te, la Verità abita nell’uomo interiore”.
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