CRISI DI GOVERNO
Responsabilità /2

Fra non molto, quando si sarà chiusa definitivamente la “tragicommedia parlamentare” (copyright Massimo Cacciari) alla quale abbiamo assistito in questi giorni, per forza di cose Governo e Parlamento  dovranno provare a fornire qualche risposta concreta ai problemi che affliggono il Paese. Ce ne sono di antichi, che ereditiamo da 30 anni di scarsa crescita nonché da un debito pubblico spropositato e da riforme mancate. Problemi quindi che non sono inediti, ma che la pandemia ha amplificato. E poi ci sono quelli direttamente  indotti dalla pandemia.

La narrazione che in questi giorni il premier Conte ha cercato di accreditare circa l’azione del suo governo è quella di un impegno scrupoloso, competente ed efficace su tutti i fronti. Un attivismo costruttivo che viene però ostacolato dal drappello di parlamentari di IV e dalle ambizioni personali del loro leader.

Cercare un capro espiatorio per le proprie insufficienze non è cosa nuova in politica. Dice il filosofo Massimo Cacciari (La Stampa del 16 gennaio 2021):

È il ritornello che si sente da trent’anni, una volta da ‘destra’ e la volta dopo da ‘sinistra’: ridurre la nostra crisi politica, culturale, istituzionale alla misura di questo o quel personaggio. E allora vediamo come sostituirlo, andiamo a pesca di ‘responsabili’ o, come si appellano in epoca di Recovery Plan, di ‘costruttori’ .

E, in riferimento al caso pecifico, Cacciari aggiunge:

È colpa di Renzi se la prima stesura del Recovery Plan faceva schifo? È stato Renzi a impedire al Pd di imporre la sua revisione? Al Pd sembra che aiuti e sostegno alle categorie più colpite siano stati forniti con tempestività ed equità? … Pare normale alle forze che sostengono Conte andare avanti con provvedimenti di assai dubbia ragionevolezza che si succedono di settimana in settimana, in una situazione che va pericolosamente normalizzando lo ‘stato di emergenza’? Sarà certo irresponsabile aprire crisi al buio, ma anche non porre tali domande. È irresponsabile non porsele, non comprenderne l’urgenza, almeno quanto produrre ulteriori sconquassi in vista delle scadenze di primavera, quando non potremo più rinviare e rimandare, quando finirà il blocco dei licenziamenti, quando centinaia di migliaia di imprese non ce la faranno a sopravvivere.

Responsabilità significa, in primo luogo, impegno a progettare il futuro. Senza questo non ci può essere ripresa, non c’è resilienza. Senza questo il PNRR resterà un semplice elenco di buone intenzioni (anche se in questo elenco verranno accolti alcuni degli opportuni suggerimenti di IV) che difficilmente si tradurranno in efficace azione di governo.
In fondo è questa la sfida che ci ha lanciato l’Europa mettendoci a disposizione molteplici strumenti di credito (il Next Generation EU, Il Mes, il SURE, il piano BEI ) per una quantità di denaro mai vista prima:

Con il piano Next Generation EU, l’Europa  si aspetta di sapere quale futuro abbiamo progettato per i nostri giovani, per la Next Generation italiana; quale formazione; su quali opportunità di lavoro potranno contare i nostri figli nei prossimi dieci-quindici anni; di quali infrastrutture, materiali e digitali, pensiamo di dotarci; con quali investimenti e in quali settori si caratterizzerà il nostro rilancio economico; quali riforme della amministrazione, della giustizia, del fisco accompagneranno gli investimenti pubblici e faciliteranno gli investimenti privati (nonché la loro auspicabile sinergia) per mettere in moto una crescita duratura, che dovrà continuare anche dopo la spinta iniziale. Il tutto tenendo sempre bene in vista la bandiera della sostenibilità ambientale.

Non solo le intenzioni, quindi, ma che cosa si farà di preciso. Anche per consentire agli esperti della Commissione europea di valutare la congruenza dei progetti rispetto agli obiettivi indicati, di seguire lo svolgimento dei medesimi  e di programmare l’erogazione dei fondi necessari (come si sa i fondi non arriveranno tutti in una volta ma in più fasi, in base allo stato di avanzamento dei lavori).

Insomma l’Italia dovrà fare come altri Paesi hanno già fatto (ad esempio la Francia): una vera programmazione, nella quale vengono indicate le tappe di realizzazione del Piano e viene annesso il cronoprogramma di realizzazione dei singoli progetti. Cosa che non era neanche abbozzata nella bozza che è diventata l’oggetto del contendere tra Conte e Renzi e che le ministre Bonetti e Bellanova hanno chiesto di poter contribuire a modificare attraverso un confronto aperto (ricevendo un netto rifiuto).

Gestire la grande quantità di denaro che potrebbe giungerci attraverso il PNRR non sarà una impresa da poco, sia sul piano politico che sul piano tecnico.

Sul piano politico perché le riforme che dovranno essere fatte implicano la capacità di riprogettare l’intero sistema paese.  Si tratterebbe di porre finalmente mano alle riforme, appunto, di sistema, che riguardano il funzionamento delle istituzioni politiche (Parlamento, Governo, Regioni), il funzionamento-ammodernamento dell’apparato burocratico-amministrativo, il funzionamento-ammodernamento del sistema produttivo. Tutto ciò implica lungimiranza e implica l’assunzione di enormi responsabilità.
Sul piano tecnico perché noi veniamo da una lunga tradizione di incapacità di spendere i fondi europei.
 Ogni anno riusciamo a spendere molto meno della metà dei fondi strutturali e di investimento che ci vengono normalmente assegnati dall’Unione Europea per riparare scuole ed ospedali, fare piste ciclabili, far partire imprese ed altro; la maggior parte dei progetti che vengono avviati poi non vengono conclusi.

Per le ragioni suddette, ci chiediamo se c’è qualcuno che può veramente credere che il governo venuto fuori dalla tragicommedia parlamentare dei giorni scorsi sia il più adatto a gestire l’uscita dalla pandemia e la ricostruzione post-covid.

Per queste stesse ragioni molti ora incominciano a chiedersi se sia realmente convenuto al Pd assecondare la scelta un po’ avventata del premier Conte di liberarsi della presenza in maggioranza del gruppo di IV. Zingaretti pensa realmente che Giuseppe Conte e il M5s siano i partner più adatti per affrontare una stagione di grandi riforme?
Certo, nell’attuale gruppo dirigente del Pd c’è sempre stata tanta voglia di mettere politicamente fuori gioco Renzi. Quindi il contrasto di IV con il presidente del Consiglio è stata una occasione da cogliere al balzo. Ma, come giustamente osserva Federico Geremicca su La Stampa del 16 gennaio, che c’entra tutto questo con il bene del Paese?

E ci chiediamo anche una cosa molto importante da un punto di vista politico: l’operazione condotta da Conte e dal Pd ha aumentato o ridotto la vocazione riformatrice della coalizione di governo? O si crede che si possano fare le riforme senza i riformatori? E passato anche tra i democratici il principio che l’apparenza può tranquillamente sostituire la sostanza, ovvero che basti dichiararsi europeisti per essere automaticamente considerati tali e, magari, anche progressisti e riformisti?

A nostro modesto parere, sarebbe stato il caso di provare a  mettere in piedi un governo di unità nazionale (cosa che noi sosteniamo da tempo)  o comunque un governo che coinvolgesse le  principali forze politiche del Paese sulla base di un programma ben definito e condiviso (sull’esempio degli ultimi  governi  tedeschi  della Merkel).
Si è preferito invece tirare a campare, mantenendo in vita un governo di coalizione senza che la coalizione abbia mai neanche provato a costruire una base programmatica comune. E quindi un governo politicamente debole, che si limita a rincorrere i problemi, i cui interventi spesso hanno avuto l’effetto di alimentare il caos più che di produrre soluzioni (per amore di brevità omettiamo gli esempi).

L’immagine in evidenza è tratta da: ilmessaggero.it
Le altre immagini sono tratte (in ordine) da: notiziedelgiorno.it

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento