CRISI DI GOVERNO
Responsabilità /1

In giorni come questi di (quasi) crisi di governo, le prediche sul senso di responsabilità si sprecano e sono quasi tutte di questo tipo: in piena pandemia mettere in discussione l’operato del governo è da irresponsabili, perché si rischia di andare ad elezioni anticipate.

Certo, c’è la pandemia e, giustamente, tutti gli esperti sconsigliano le elezioni. Questo dovrebbe indurre tutte le forze politiche  ad adoperarsi per evitare, in questa fase, il ricorso alle urne, compiendo così un atto di  responsabilità.

Invece agitare strumentalmente il rischio di elezioni anticipate per far si che l’operato del governo non venga messo in discussione o per condannare chi ha osato farlo è solo bieco tornaconto politico. Ed è sbagliato, perché alimenta la polemica sterile, crea confusione e non consente ai cittadini di farsi una chiara idea di quanto sta avvenendo.

Intanto, non è affatto detto che le elezioni anticipate siano lo sbocco obbligato di una crisi di governo. Anzi, a detta di tutti gli osservatori politici, continua ad essere altamente probabile(oggi come ieri) che gli italiani non tornerano alle urne prima del 2023 (e sicuramente non prima dell’elezione del  nuovo capo dello stato, nel 2022).

Se l’esperienza di governo in corso non dovesse giungere ad una qualche forma di ricomposizione, l’attuale Parlamento potrebbe ancora esprimere delle maggioranze, se non forti almeno autorevoli. Per fare un esempio: persino una riedizione della maggioranza di centro-sinistra che ha sostenuto il Conte 2 sarebbe possibile e questa potrebbe essere anche una maggioranza autorevole se venisse costruita ex novo sulla base di un vero programma politico piuttosto  che su un elenco minimo di punti estrapolati da programmi elettorali tra loro incompatibili.

Va anche considerato che il ricorso alle urne è reso tecnicamente poco praticabile dal fatto che manca una legge elettorale in armonia con la situazone che si è venuta a creare in seguito al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari.

Comunque, è nostra convinzione che la responsabilità di un eventuale ricorso ad elezioni anticipate andrebbe equamente distribuita tra tutte le forze politiche che hanno partecipato all’esperienza del Conte 2 (naturalmente tra i responsabili va incluso anche lo stesso presidente del Consiglio).
Ciò a cui stiamo assistendo, invece, è esattamente l’opposto: il solito tentativo di trovare un capro espiatorio per un andazzo che, fuori dai riflettori, tutti giudicavano insostenibile. Deflettendo così dal dovere professionale per chi fa politica di assumersi le proprie responsabilità.

Per concludere, facciamo anche noi un appello al senso di responsabilità. Lo rivolgiamo ai mezzi di informazione. Va bene assecondare il chiacchiericcio sulle stranezze della politica italiana. Ma, con senso di responsabilità,  i mezzi di informazione dovrebbero trovare anche un po’ di spazio per informare i cittadini del fatto che le istituzioni della democrazia italiana sono in grado di garantire il regolare svolgimento di tutto ciò che è utile per proseguire il contrasto alla pandemia e la campagna di vaccinazione. Gli italiani continueranno ad essere curati (e si spera meglio)anche se non dovesse esserci più Giuseppe Conte alla guida del governo.

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Dalla attualità politica, tre casi, tre situazioni in cui si mostra che avere messo in discussione l’operato del governo è stato un atto di responsabilità .

La vicenda MES

L’utilizzo del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) è stato, come è noto, uno dei punti principali del dissenso di IV nei confronti della conduzione dell’azione di governo da parte del premier Conte.

Già ai primi di aprile 2020, in piena pandemia quindi, l’Eurogruppo aveva deciso di escludere le spese sanitarie, dirette e indirette, legate al Covid-19, dalle condizionalità cui andavano incontro i Paesi che attingevano alle casse del MES. Con le nuove regole, i Paesi possono ottenere liquidità fino al 2% del proprio PIL (l’Italia potrebbe attingere per un ammontare di circa 37 miliardi, subito disponibili). Unica condizionalità è usare i prestiti per spese sanitarie, dirette e indirette, legate all’emergenza coronavirus. I prestiti  hanno una scadenza a dieci anni, un tasso annuale a 0,1%, per un costo una tantum di 0,25% e un costo annuale di 0,005%.
Delle misure messe in campo dall’Unione Europea  per fare fronte alla pandemia il Mes sanitario è quella che presenta meno condizionalità e tassi di interesse addirittura negativi. Si calcola che prendendo in prestito i 37 miliardi disponibili per l’Italia, il nostro paese realizzerebbe (rispetto ad un prestito di eguale cifra attraverso il Recovery Fund), un risparmio (in termini di interessi) di 300 milioni annui.

L’Italia avrebbe potuto accedere al MES fin dall’aprile scorso, 10 mesi fa, e con disponibilità immediata. Il governo ha scelto di non accedervi  dicendo che quei soldi all’Italia non servivano, il nostro servizio sanitario non richiedeva interventi così massicci. Cioè negando l’evidenza e cercando così di camuffare la vera natura della decisione. E anche, in tal modo, aprendo un contenzioso permanente con chi, come la pattuglia di IV nella maggioranza di governo, poneva l’ovvia domanda: perché no?
Le risposte che hanno sempre dato esponenti del M5s sono simili a quelle che vengono date da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, risposte del tipo ‘lo spettro dello stigma’ e sciocchezze del genere (in realtà tutti i Paesi che in passato hanno fatto ricorso al Mes hanno migliorato la propria economia).

Non ci sono ragioni logiche per il No al Mes. Ci sono solo ragioni ideologiche. E, purtroppo, queste ragioni ideologiche si chiamano sovranismo e antieuropeismo. Nella compagine del governo Conte2 queste ragioni allignano soprattutto in una parte consistente del M5s. Ma ufficialmente non se ne fa più parola, mentre si cerca di far passare l’idea di una avvenuta “svolta europeista”. Questa recita però non riesce sempre bene. Proprio a proposito del Mes, recentemente il ministro Di Maio ha pubblicamente affermato: “Finché al governo ci sarà il M5s l’Italia non accederà mai al Mes”. Le remore nei confronti del Mes sono il  retaggio di posizioni antieuropeiste mai realmente superate.

È poi così strano che un partito che fa parte di una coalizione che si autodefinisce di centro-sinistra ed europeista ponga come problema politico da affrontare l’esistenza all’interno della coalizione( e addirittura nello stesso premier)  di tali remore?

Se  dieci mesi fa fossero stati presi i soldi messi a disposizione dall’UE  attraverso il MES, oggi probabilmente disporremmo di un sistema sanitario più attrezzato per affrontare le sfide che la pandemia continua a porci (non dimentichiamo che pur avendo attuato lockdown più duri e più lunghi siamo uno dei Paesi al mondo col più alto numero di decessi  in rapporto al numero degli abitanti).  E anche sul piano economico, non aver attinto ai fondi del Mes sanitario, che offriva condizioni molto più vantaggiose rispetto a quelle del Recovery fund cui ora si dovrà attingere, è stato un atto di pura irresponsabilità, le cui conseguenze non saranno facilmente rimediabili (si tenga presente che i soldi del Recovery arriveranno, se il nostro piano verrà approvato, non prima della seconda metà dell’anno appena iniziato).

Chiedere che non si persista nell’errore e che quindi la scelta precedente venga messa in discussione ora che il nostro fragile sistema sanitario deve affrontare la recrudescenza della pandemia nonché la più straordinaria campagna di vaccinazione che sia mai stata fatta, può essere considerato anch’esso un atto di irresponsabilità?

Si trattava di impegnare il governo a progettare un sistema saitario in grado di aiutare al meglio il Paese per uscire dalla pandemia. Non è stato fatto.

La legge di bilancio 2021

Nel corso del 2020, per far fronte all’emergenza Covid,  sono stati spesi circa 100 miliardi e altri 40 sono previsti dalla Finanziaria 2021 (approvata il 27 dicembre senza che il Parlamento abbia avuto modo di discuterla adeguatamente perché presentata pochi giorni prima dello scadere del tempo utile per evitare l’esercizio provvisorio). Si tratta prevalentemente di spese dello Stato volte ad attutire i colpi inferti al sistema economico dalla pandemia. Certo, tutti questi soldi alcuni benefici immediati li hanno prodotti. Ma visto che si tratta di cifre enormi che andranno ad aggravare il nostro già pesantissimo debito pubblico, è lecito chiedersi: con quali risultati nel lungo periodo? Aiuteranno realmente la ripresa economica del Paese?

Probabilmente no, o non in modo adeguato, stando ai severi ssimi giudizi espressi da molti esperti, soprattutto per quanto riguarda la legge di bilancio dello Stato.

L’Ufficio parlamentare di bilancio l’ha definita “un coacervo di misure senza un disegno”, un collage di interventi pubblici di favore.
Secondo il professore  Sabino Cassese (giudice emerito della Corte Costituzionale) questa legge è una “sagra del corporativismo” nella quale dominano “il  settorialismo e la non-pianificazione”.

In un editoriale sul principale giornale italiano (Corriere Della Sera del 29 dicembre) il prof Cassese mette in evidenza come la nuova legge di bilancio si spinge

“a regolare e finanziare cori, bande e musica jazz, corsi di ‘formazione turistica esperienziale’, recupero della fauna selvatica, veicoli di interesse storico e collezionistico, bonus idrico, l’ottavo centenario della prima rappresentazione del presepe, il voucher per occhiali da vista, fino al ‘piano nazionale demenze’. Persino il ministro dell’economia e delle finanze ha riconosciuto che si tratta di spese ‘troppo settoriali e specifiche’ (voleva forse dire inutili e avrebbe dovuto dire illegittime, perché inserite nella legge di bilancio). Gli autori non hanno, evidentemente, avuto paura del ridicolo”.
Ma non è tutto qui, aggiunge Cassese:

“c’è di molto peggio, come la moltiplicazione di uffici dirigenziali, l’assunzione di nuovo personale nei ministeri e di idonei non vincitori di concorsi e di lavoratori ‘socialmente utili’, purché abbiano superato la sola scuola dell’obbligo (provvedimenti accolti con entusiasmo dal M5s, che poi lamenta la scarsa qualità della pubblica amministrazione), decine di elargizioni e mance, la istituzione di molti fondi e la previsione di finanziamenti fino al 2036, così parcellizzando il bilancio e irrigidendolo”.

Va in più ricordato che si è rischiata una vera e propria crisi di governo perché il M5s (per mantenere fede alla propria ideologia) non ha votato il rinnovo del contratto di programma sul Tav, che per fortuna è passato con il voto favorevole dell’opposizione.

Come si è potuto arrivare a tanto? È la domanda del professor Cassese. L’irresponsabilità mostrata dal governo nella definizione del bilancio preventivo 2021 è riassunta dall’economista Carlo Cottarelli con l’espressione “euforia da deficit”: infatti, per 24,6 miliardi è finanziato in deficit, portando il disavanzo complessivo al 10,8 per cento e il debito al 158 per cento del Pil.

Si trattava di prospettare il futuro dell’Italia post-pandemia. Il governo non ne è stato capace.

Il PNRR                       

Dopo l’approvazione obtorto collo di quella che è la legge fondamentale del Paese (per evitare l’esercizio provvisorio e la conseguente prevedibile turbolenza dei mercati) la piccola pattuglia di IV nella compagine di governo ha dato, come dire, ufficialità alla possibile crisi di governo: non intendendo condividere –ha dichiarato la ministra Teresa Bellanova-  la responsabilità di “sprecare” l’occasione storica offerta dalla Commissione europea con la linea di finanziamento Next Generation Eu (altrimenti detto Recovery fund) per rimettere in sesto e far ripartire l’economia del Paese.

L’occasione storica cui faceva riferimento la ministra Bellanova è la costruzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, finanziato appunto dal NextGenEu, che prevede per l’Italia 209 miliardi da spendere in riforme strutturali e grandi progetti per le generazioni future.

In realtà, sfogliando i giornali degli ultimi due mesi si riscontra che la bozza di piano messa in circolazione dalla presidenza del Consiglio e/o dal MEF ha ricevuto più critiche che approvazioni.

Le critiche riguardano sia il metodo seguito per elaborare il piano sia i contenuti.

Sul piano del metodo il principale rilievo mosso al governo riguarda l’assenza di una discussione in Parlamento per aprire un confronto sia con le forze di goverco che con quelle di opposizione. A questo proposito il vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti ha dichiarato:

”Il Recovery Fund condizionerà i nostri prossimi trent’anni, dovrebbe essere ovvio coinvolgere l’opposizione, perché il governo che arriverà tra due o sei anni, dovrà farsene carico e non potrà dire: ripartiamo da zero. Invece arriva la mitica task force e le opposizioni restano escluse. Mi pare quanto meno un modo miope di fare le cose. Peggio, stupido”.

Un altro punto che ha ricevuto critiche praticamente unanimi è quello relativo al modello di gestione del piano. Tali critiche sono ben sintetizzate in un articolo apparso su La Stampa del 02 12 2020, a firma di Pietro Garibaldi:

“Il Governo ha annunciato che il programma del NextGenEu sarà gestito da un triunvirato formato dal presidente del Consiglio, dal ministro dell’Economia e dal ministro dello Sviluppo economico. Questi 3 ministri avranno il controllo sui 6 manager responsabili delle singole aree di intervento. A valle dei manager, ci sarà poi una task force di 300 (in una bozza successiva, dopo varie critiche, sono diventati 90 –ndr-) specialisti: un vero e proprio nuovo ministero. Difficile capire come questa nuova squadra si interfaccerà con i singoli ministeri, che avranno responsabilità sulle aree di loro competenza. … Abbiamo davvero bisogno di un’altra struttura così complicata? … La cosa più ragionevole sarebbe semplificare il funzionamento dei singoli ministeri e dei centri di spesa, in modo da evitare la paralisi del futuro programma” piuttosto che creare “un nuovo esercito di super tecnici europei che finirà solo per litigare con gli inefficienti centri di spesa esistenti”.

Un apparato verticistico, dunque, tutto esterno all’amministrazione pubblica (i ministeri ma anche i sindaci e le regioni).

Correlato a questo limite vi è poi quello relativo alla programmazione degli interventi. Essa
è  articolata nelle sei aree indicate dalla Commissione europea: Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e cultura, Rivoluzione vede e transizione ecologica, Infrastrutture per una mobilità sostenibile, Istruzione e ricerca, Parità di genere, coesione sociale e territoriale, Salute.

Nelle bozze che circolavano fino a pochi giorni fa, questa era la parte più carente. In alcuni casi la programmazione si limitava ad indicare solo un elenco di obiettivi. In altri vi erano evidenti contraddizioni, come nel caso della Rivoluzione verde, alla quale si dedicava poco spazio pur essendo il capitolo che assorbe circa il 40% dei fondi europei. Poca attenzione anche al tema del turismo, per il quale venivano previsti 3 miliardi di spesa: poca cosa se si tiene conto dei danni subiti dal settore a causa della pandemia e soprattutto se si considera che in Italia nel 2019 il turismo ha contribuito a formare il 13% del Pil nazionale ed ha ancora un grande potenziale di crescita. E poi la contraddizione più grossa, riguardante la Sanità: nonostante il governo, in ottemperanza alle paturnie antieuropeiste dei grillini (ma non solo dei grillini), avesse rinunciato ad accedere ai fondi del Mes, alla riorganizzazione del servizio sanitario erano stati destinati solo 9 dei 209 miliardi a disposizione.

Per quanto riguarda la possibilità che il piano possa risultare uno strumento efficace in funzione degli obiettivi di crescita economica indicati dalla Commissione europea, vale quanto il professor Cottarelli ha scritto (su La Stampa del 9 dicembre):

“Nelle bozze si dice pochissimo sulla necessità di ridurre l’eccesso di norme burocratiche, tranne qualche generico riferimento. Si dimentica quasi completamente la fondamentale questione delle riforme organizzative, di gestione e di incentivi del personale necessarie per orientare la nostra pubblica amministrazione verso la produzione di servizi migliori. E non c’è nulla su quanto il governo intenda fare per migliorare la concorrenza tra imprese, un’omissione seria per un’economia che, penso, dovrebbe rimanere un’economia di mercato”

Come è stato più volte ripetuto in questi giorni dal presidente Conte, alcune proposte di IV (dopo la minaccia di dimissioni delle ministre Bellanova e Bonetti) sono state accolte e inserite nell’ultima bozza (ma senza acconsentire ad un confronto aperto). Il piano, a detta di molti, è migliorato. Ma nel suo impianto generale è rimasto, per usare ancora una volta una espressione di Cassese, “una raccolta di progetti senza un chiaro obiettivo e disegno del nostro futuro”.

Un giudizio molto pesante, che rende comprensibile la preoccupazione espressa al presidente del Consiglio dalla ministra Bellanova annunciando l’intenzione di dimettersi.
Un giudizio che trova ampia conferma in quanto ha scritto in un editoriale sul quotidiano Domani del 13 gennaio il direttore Stefano Feltri:

“La presentazione del Pnrr necessita di una più precisa definizione. … Sappiamo , più o meno, cosa vogliamo fare ma non abbiamo idea di quando, come e con chi farlo. … Il mese di crisi (dicembre –ndr) ha anche prodotto un impatto positivo sulla bozza del piano, che dimostra come una discussione aperta e nel merito avrebbe potuto accelerare il processo e produrre risultati migliori dei negoziati riservati che il governo ha mandato avanti per mesi. Senza che neppure i ministri fossero ben consapevoli della sintesi prodotta da palazzo Chigi. …
Gran parte del documento è di difficile interpretazione, si tratta quasi soltanto di titoli, più che di progetti. Quasi mai viene indicato qual è l’obiettivo da raggiungere. L’analisi del Forum disuguaglianze (animato dall’ex ministro Fabrizio Barca) denuncia che un numero assai elevato di progetti al momento manca di indicare i risultati attesi o, cosa ancora più grave, confonde questi con le realizzazioni dei progetti stessi. … Il governo sembra considerare come un successo riuscire ad elargire i soldi, non c’è quasi mai indicato un obiettivo misurabile da raggiungere”.

Ricordiamo quanto già riferito all’inizio di questa nota relativa al PNRR, ovvero la frase pronunciata dalla ministra Bellanova annunciando l’intenzione sua e della ministra Binetti di rassegnare le dimissioni:

non intendiamo condividere la responsabilità di sprecare l’occasione storica offerta dalla Commissione europea con la linea di finanziamento Next Generation Eu per rimettere in sesto e far ripartire l’economia del Paese.

L’immagine in evidenza è tratta da: agi.it

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