REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE
A che punto è il piano vaccinale per l’Italia

Un cittadino svizzero conosce il giorno e l’ora in cui gli verrà somministrato il vaccino anti-Covid. Anche in Germania e in altri Paesi europei stanno lavorando per dare risposte precise alle sacrosante preoccupazioni dei cittadini sui tempi e sui modi di uscita dall’incubo coronavirus.
E in Italia?

Nella conferenza stampa di fine anno (secondo quanto riportatto dall’Huffpost del 30 Dicembre) il nostro presidente del Consiglio, rispondendo a specifiche domande dei giornalisti, ha assicurato che il piano vaccinale sta procedendo speditamente e che “in primavera inoltrata potremo avere un primo impatto significativo”, con il vaccino a 10-15 milioni di cittadini.

Ma leggendo il Piano Strategico del Governo si evince che sul personale che somministrerà i vaccini si hanno solo vaghe idee. Cioè, mentre si sa quali e quante dosi di vaccino arriveranno e quando (della cosa se ne è occupata direttamente la Commissione europea) il Piano del Governo deve ancora individuare i vaccinatori e definire l’intera struttura logistica e organizzativa.
Il Piano, infatti, alla voce “Organizzazione delle sedute vaccinali e Figure coinvolte” dice:

 Il personale delle unità vaccinali sarà costituito da un numero flessibile di medici, infermieri, assistenti sanitari, OSS e personale amministrativo di supporto. Si stima, al momento, un fabbisogno massimo di circa ventimila persone. A tal riguardo, si prevede di agire da un lato ricorrendo ad un cospicuo e temporaneo ricorso alle professionalità esistenti nel Paese, anche attraverso la pubblicazione di un invito a manifestare la disponibilità a contribuire alla campagna di vaccinazione, con l’attivazione di conseguenti modalità contrattuali definite ad hoc, nonché alla stipula di accordi con il Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito dei percorsi formativi delle scuole di specializzazione medica. Sul piano organizzativo, a livello nazionale, saranno definite le procedure, gli standard operativi e il lay-out degli spazi per l’accettazione, la somministrazione e la sorveglianza degli eventuali effetti a breve termine.

Stessa vaghezza per quanto riguarda l’organizzazione dei “Punti vaccinali”:

A livello territoriale verranno stabilite la localizzazione fisica dei siti, il coordinamento operativo degli addetti, nonché il controllo sull’esecuzione delle attività. …  saranno pertanto identificati referenti che risponderanno direttamente alla struttura di coordinamento nazionale e si interfacceranno con gli attori del territorio, quali i Dipartimenti di Prevenzione, per garantire l’implementazione dei piani regionali di vaccinazione e il loro raccordo con il Piano Nazionale di Vaccinazione. Con l’aumentare della disponibilità dei vaccini, a livello territoriale potranno essere realizzate campagne su larga scala (walk-in) per la popolazione presso centri vaccinali organizzati ad hoc e, in fase avanzata, accanto all’utilizzo delle unità mobili, il modello organizzativo vedrà via via una maggiore articolazione sul territorio, seguendo sempre più la normale filiera tradizionale, incluso il coinvolgimento degli ambulatori vaccinali territoriali, dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta, della sanità militare, e dei medici competenti delle aziende.

Come si può vedere è ancora tutto in alto mare, tutto declinato al futuro e in termini di ipotesi allo studio.

Con queste premesse, è realistico prevedere che nel corso della campagna vaccinale, ufficialmente partita lo stesso giorno (Domenica 27 dicembre) in tutta Europa, da noi sarà effettuato un numero di vaccinazioni inferiore al numero dei vaccini disponibili. Soprattutto nella prima fase (quella che dovrebbe terminare nella tarda primavera).

Per carità, non è una cosa semplice fare un piano vaccinale della portata richiesta da questa pandemia. Ma l’approssimazione che è dato riscontrare, tanto nei documenti ufficiali quanto nelle esternazioni dei rappresentanti del Governo, piuttosto che rassicurare i cittadini desta meraviglia e grande preoccupazione. Quando ad esempio Conte dice che in primavera inoltrata potremo avere un primo impatto significativo, con il vaccino a 10-15 milioni di cittadini, dice qualcosa che, se considerata attentamente, non rassicura affatto. Intanto perché tra 10 e 15 milioni di vaccinati non c’è una piccola differenza. Cinque milioni di vaccinati in più o in meno potrebbe voler dire decine di migliaia di morti in meno o in più.

Se poi si guarda la tabella 1 a pag. 4 del Piano Strategico Nazionale si legge che, in base al piano acquisti europeo, viene stimato che in primavera inoltrata in Italia saranno giunti più di 60 milioni di dosi. Perché Conte dice che ci saranno 10 – 15 milioni di vaccinati? È semplicemente una delle solite sciatterie presenti nei suoi discorsi o, più malauguratamente, è una implicita ammissione che non riusciremo a fare tutti i vaccini acquistati? E perché non dovremmo riuscire? Forse perché non saremo in grado di predisporre il tutto, ovvero luoghi e personale adatti e sufficienti? E quanto potrebbe costare in termini di maggiori contagi e numero di decessi questa inefficienza sanitaria?

E allora torna in campo la domanda che più volte ci siamo posti (e che più volte e con grande autorevolezza hanno posto i principali organi di stampa) guardando alle azioni messe in campo dal governo Conte 2 in questo lungo tempo della pandemia:
perché (sin dal marzo scorso) non sono stati presi (e spesi) i soldi del Mes? (36 miliardi disponibili fin da subito e ad interessi zero, per dotare il paese di un sistema sanitario più adeguato alla situazione).

Il fatto che questa domanda non abba mai ricevuto una risposta sensata mette in luce l’aspetto che più di ogni altro caratterizza l’azione politica dell’attuale governo: l’incapacità di fare scelte sufficientemente adeguate alla reale dimensione dei problemi che il nostro Paese si trova a dover affrontare.

La foto in evidenza è tratta da ilbolive.unipd.it
Le altre foto, in ordine, da: pt24.it; aliautonomie.it.

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