DAI MEDIA
Il ritorno dei talebani a Kabul

In questi giorni, tutti i giornali, sia cartacei che online, hanno messo in primo piano la tragedia che sta vivendo l’Afghanistan con il ritorno al potere dei talebani. Per rendere conto della situazione che si è venuta determinando e delle responsabilità di noi occidentali (tutti, non solo gli Stati Uniti) abbiamo scelto tre testate: Corriere Della Sera, La Stampa e Linkiesta.

Nella cronaca politica il Corriere Della Sera del 16 08 2021 da la notizia in questi termini:
Kabul è in mano ai talebani e l’intero Afghanistan è diventato un Emirato islamico. Il presidente Ashraf Ghani ha lasciato il Paese, fuggendo in Uzbekistan. In meno di un mese, gli estremisti hanno riconquistato il potere e hanno portato avanti un’avanzata città per città. … . La strada per l’aeroporto si è rapidamente bloccata, sono state chiuse le ambasciate ed evacuati i diplomatici di diversi Paesi, tra cui l’Italia. A questo, si aggiunge il dramma dei profughi che riescono a scappare e non sono certi del loro destino: l’Europa è divisa, l’Austria ha già detto che rimanderà a Kabul i richiedenti asilo, mentre l’Albania è pronta ad accoglierli.

Il dramma di chi cerca di scappare è messo in evidenza anche dal quotidiano La Stampa:
È stata la giornata della fuga da Kabul, una fuga disperata, a tratti suicida. L’immagine che descrive meglio il terrore dopo la restaurazione dell’Emirato islamico da parte dei taleban è quella di un aereo in fase di decollo inseguito sulla pista da una folla di uomini. Alcuni di loro cercano di aggrapparsi al carrello, andando così verso una morte certa. Pochi istanti dopo il video mostra il drammatico epilogo: due puntini neri che cadono nel vuoto mentre l’aereo vola via. L’immagine che restituisce la ragione di tanta paura è invece quella dei leader taleban che durante la notte, dal palazzo presidenziale di Kabul, annunciano un salto indietro di 20 anni.

Tra i video che meglio denunciano l’attuale situazione in Afghanistan c’è quello di una ragazza in lacrime che dice “Noi non contiamo perché siamo nati in Afghanistan, moriremo lentamente nella storia. Non è divertente?”. In realtà -sottolinea La Stampa – il ritorno dei talebani in Afghanistan apre troppi interrogativi sulle donne che durante questi anni avevano conquistato a fatica alcuni importanti diritti.
Preoccupazione è stata anche espressa dai primi italiani rientrati da Kabul: «Abbiamo lasciato migliaia di persone che rischiano la vita, i taleban cercano casa per casa chi ha collaborato con gli occidentali».

Non si può credere – è il commento di Linda Laura Sabbadini su La Stampa del 17 agosto – che non si potesse evitare una situazione così rovinosa. Si è ristabilito uno Stato, culla del terrore. E conclude il suo articolo con queste due considerazioni:
Primo. Possibile che non si sia organizzato un piano di evacuazione serio internazionale per tutti coloro che hanno collaborato e vogliono uscire dal Paese? Non possiamo abbandonarli così. Non si poteva concordare? I corridoi umanitari sono fondamentali, l’Europa deve farsene carico subito.
Secondo. In vent’anni oltre ad armare fino ai denti l’esercito afgano, armi ormai miseramente cadute nelle mani dei taleban, quanto si è investito veramente sulla alfabetizzazione alla democrazia? Io credo non abbastanza. Visto che l’Afghanistan risulta ancora, nonostante i vent’anni di presenza occidentale, a maggioranza analfabeta. Il 45 per cento degli uomini non sa leggere nè scrivere e il 70 per cento delle donne. La speranza risiede nelle giovani di 15-24 anni che nel 56 per cento sono alfabetizzate e nei giovani nel 74 per cento. Si sarebbe potuto fare di più in 20 anni.

Di strada ce n’è molta da fare. E certo non sarà una priorità dei taleban. Prepariamoci ad una mobilitazione permanente e alla pressione sui governi e gli organismi internazionali, in difesa dei diritti del popolo afgano e in particolare delle bambine e delle donne. Le donne e gli uomini afgani dovranno riconquistare la loro libertà, ma se saranno soli non ce la potranno fare. Le donne lo sanno bene. E si mobiliteranno

Perché si è giunti a questo punto?

Non ci sono dubbi sul fatto che ciò che ha reso possibile la rapida offensiva dei Talebani sia stata la decisione dei Paesi occidentali, Stati Uniti in testa, di ritirare i propri contingenti militari.
In serata vi è stata una dichiarazione pubblica proprio del presidente Usa Biden, cosi riassunta nell’edizione online del quotidiano La Stampa:
Biden ha spiegato come l’obiettivo degli Stati Uniti non sia mai stato quello della ricostruzione della nazione, bensì quello di combattere i terroristi di Al Qaeda. «Sono convinto che la mia sia stata una decisione giusta» ha detto «non c’è un momento ideale per il ritiro. Le forze Usa non devono morire in una guerra che Kabul non sa combattere. Gli americani non faranno ciò che gli afghani non sono disposti a fare. Non intendo chiedere alle nostre forze armate di combattere una guerra civile senza fine. Non è nel nostro interesse, non lo chiedono gli americani e non lo meritano le nostre truppe».
«Dovevo scegliere – ha aggiunto Biden – tra rispettare un accordo ereditato dal presidente Trump o continuare a combattere i taleban». Il presidente ha riconosciuto che il mondo sta assistendo a un «rapido collasso» ma ha ribadito che la missione degli Stati Uniti «non è mai stata quella di costruire una nazione. Abbiamo dato al governo afghano ogni strumento per decidere il loro futuro. Non posso continuare a ordinare ai nostri soldati di soffrire, non è quello che il popolo americano vuole. So che la mia decisione sarà criticata, ma penso che sia la decisione giusta per il nostro popolo. Preferisco essere criticato che attendere un quinto presidente che prenda una decisione».

Secondo Massimo Gaggi (Corrire Della Sera del 16 agosto) che il ritiro dall’Afghanistan fosse un disastro annunciato era chiaro fin da quando Donald Trump lo decise da solo spingendo poi il segretario di Stato, Mike Pompeo, a dare ai talebani la patente di interlocutori credibili.  … Il suo successore democratico, convinto anche lui da 12 anni del fallimento di una guerra che lui stesso aveva votato nel 2001, ha confermato la scelta di Trump, pur consapevole degli alti costi del cedimento ai talebani.

La caduta di Kabul è un colpo micidiale per la credibilità internazionale degli Stati Uniti: una vicenda dalla quale anche Biden esce con le ossa rotte, se non altro perché solo cinque settimane fa aveva ridicolizzato con toni perentori i giornalisti che lo interrogavano sui rischi di una ritirata caotica … Biden vive un momento difficile, ma non è detto che perderà la fiducia degli americani: stando ai sondaggi, la maggioranza condivide la scelta di abbandonare l’Afghanistan.

Il vero disastro è il modo in cui vent’anni di lavoro — prima per costruire una diga contro il terrorismo, poi con l’obiettivo di esportare la democrazia e di garantire il rispetto dei diritti delle donne — sono svaniti in poche ore. Ne escono a pezzi soprattutto i servizi segreti che, pur consapevoli della debolezza del governo afghano, avevano escluso la possibilità di un suo crollo prima di 18 mesi.

Gaggi, dopo questa severa critica all’operato di Biden, conclude dicendo che su una cosa Biden ha ragione: se non imparano a farlo da soli, gli afghani non possono pretendere che siano potenze straniere a difenderli a oltranza dall’estremismo islamico. 

L’idea che vi sia stato un errore di sottovalutazione della situazione è presente anche nell’analisi di Domenico Quirico su La Stampa:

È il momento di ammetterlo: l’America, l’Occidente sono rimasti venti anni in Afghanistan, hanno condotto una guerra, scelto e gettato via alleati e governanti, distribuito denaro (150 miliardi dollari l’anno), ucciso migliaia di persone, sulla base di una antropologia immaginaria, bizzarra, affettata, gracilina, tutta agghindata di mediocri astuzie, pretenziosa. …
Insomma: non sappiamo chi sono davvero i taleban che ci hanno cacciati via, sono rimasti qualcosa di inaccessibile e di oscuro. Intendo quali classi sociali rappresentino, se tra loro prevalga alla fine il fanatismo wahabita o il nazionalismo jihadista, dove reclutino martiri e guerrieri come se bastasse, mitologicamente, battere il piede per terra. ….


Non ci siamo resi conto – dice Quirico – che il fondamentalismo è una componente chiave delle élite afghane. I taleban sono una parte dell’Afghanistan.
Trent’anni dopo sono mutati i capi e i guerriglieri. I capi trattano alla pari con i dirigenti cinesi, ormai più dell’oppio i loro maggiori finanziatori. Pechino ha progetti ambiziosi su questa parte della via della seta ora che gli americani sono fuggiti.

Ma il modo in cui la crisi è precipitata in poche ore —dice Gaggi sul Corriere Della Sera
apre scenari assai più drammatici di quelli che erano stati messi in conto dal presidente democratico quando, il 6 aprile scorso, ordinò il ritiro totale e in tempi rapidi, respingendo la richiesta dei capi militari di un’evacuazione più graduale, rinegoziandone le condizioni coi talebani.

Ora si apre un vuoto che può essere sfruttato dall’Iran, dalla Russia e dalla Cina.

Il ruolo della Cina nello scenario che fa da cornice ai fatti di kabul è messo in evidenza anche da un intervento di Angelo Panebianco sul Corriere dell’ 11 agosto. Dice Panebianco: Nell’articolo del 1993 apparso sulla rivista Foreign Affairs il politologo americano Samuel Huntington ipotizzò una futura alleanza fra l’emergente potenza cinese e le forze più radicali dell’islam, generate dall’attuale «risveglio islamico».   …  l’ipotesi/profezia di Huntington sta diventando realtà.  Nel luglio di quest’anno i cinesi hanno ricevuto, con tutti gli onori, una delegazione talebana. È diventato chiaro a tutti che Pechino appoggia la loro rimonta armata in Afghanistan. Ha diverse e solide ragioni geopolitiche per farlo.

Se, fidando anche nell’aiuto cinese i talebani vinceranno la partita, allora l’alleanza (in funzione anti-indiana, oltre che per altri scopi) che già esiste fra Pakistan e Cina, si trasformerà in un triangolo Cina-Pakistan-Afghanistan, con la Cina, ovviamente, in posizione egemone.  …  Dalla vicenda afghana e dal ruolo che vi ha assunto la Cina potrebbero derivare una minaccia e una sfida permanente per l’Occidente.
… l’impatto propagandistico di quella vittoria sugli infedeli sarà fortissimo, genererà un’onda d’urto che arriverà ovunque. Il terrorismo tornerà a minacciare anche l’Europa.

Si noti inoltre che l’insidia per le società libere europee non dipende solo dal terrorismo in sé ma anche dagli effetti politici che il terrorismo può innescare. Operano in Europa forze fondamentaliste, culturalmente e ideologicamente incompatibili con i principi di una società libera, che però, a differenza dei jihadisti, non ricorrono o non ricorrono più alla violenza. Sarà facile per queste forze, in presenza di minacce terroriste, di proporsi agli europei come alfieri della «moderazione».  Ne uscirebbe comunque un’Europa indebolita, culturalmente e politicamente. 

Le critiche all’operato degli Stati Uniti e in particolare del presidente Biden non sono risparmiate nepure dal quotidiano online Linkiesta. Ma il punto centrale dell’analisi del direttore Christian Rocca è la contraddizione che si può riscontrare in molti tra coloro che oggi si ergono a critici severi dell’operato di Biden.
Rocca parla di “Paradosso dell’Afghanistan”: “Dopo vent’anni di contumelie agli americani perché nel 2001, dopo aver subito gli attacchi islamisti a Manhattan e Washington, invasero l’Afghanistan per rimuovere dal potere i talebani che avevano ospitato e protetto Osama Bin Laden nel suo progetto di guerra santa, adesso arrivano le contumelie agli americani perché si ritirano dall’Afghanistan lasciando avanzare i talebani dalle città da cui li avevano cacciati”. 

“L’uscita di scena americana, immaginata ingenuamente da Obama, siglata stupidamente da Trump ed eseguita maldestramente da Biden è un’infamia che segnerà per sempre e con disonore la storia dell’occidente, al pari del genocidio in Ruanda e della carneficina di Srebenica.

Ma quando qualcuno dice che l’intervento in Afghanistan è stato un errore strategico, pur avendo mille ragioni per sostenerlo, visto che gli sforzi umani e finanziari di vent’anni hanno ceduto strutturalmente in due mezzi pomeriggi agostani, sorvola sul fatto che in questo arco di tempo, grazie a quell’intervento militare, due generazioni di donne afghane hanno provato la gioia di emanciparsi, hanno potuto studiare, hanno assaporato la possibilità di una vita dignitosa senza essere stuprate, mercificate e uccise dalla metà patriarcale della popolazione.

Ci sono state bambine che in questi vent’anni di presenza internazionale a Kabul, a Herat, a Kandahar sono diventate donne e fino al ritorno dei Talebani hanno vissuto da donne libere. Ci sono state ragazzine che grazie all’intervento militare hanno cominciato e poi completato gli studi, fino a laurearsi, e hanno vissuto vent’anni da esseri umani e non da oggetto senza valore, da forzare al matrimonio, da inchiavardare dentro un burka e da stuprare a piacimento.

Gli americani hanno commesso molti errori in Afghanistan: Bush si è subito fatto distrarre dall’Iraq; Obama si è stancato di quella che lui stesso ha definito «guerra giusta» e ha fissato una data di disimpegno dall’Afghanistan, come se il diritto delle ragazze a non essere stuprate fosse a scadenza come uno yogurt; Trump ha delegittimato il governo afghano trattando direttamente con i Talebani, facendosi turlupinare come un fesso quale è; Biden ha ereditato l’accordo di Trump ma anziché ridiscuterlo, come ha fatto su altri dossier, ha provocato il patatrac umanitario di queste ore con l’ignominia, ieri notte, di un discorso all’America da leader nazionalista e non da guida del mondo libero.

Quelli che criticarono l’intervento del 2001 contro i talebani però non hanno alcun argomento politico per lamentarsi adesso del ritorno degli attempati ex studenti coranici a Kabul. Se allora gli americani non avessero invaso il paese che ospitava calorosamente Osama Bin Laden, i Talebani non solo avrebbero continuato ad ospitare la centrale del terrorismo islamista ma non avrebbero smesso di brutalizzare le ragazzine e le giovani donne che in questi vent’anni invece sono scampate alla barbarie, al contrario delle loro madri e delle loro sorelle maggiori. Le donne afghane sono state salvate dalla schiavitù per vent’anni. Ora con i Talebani tornano a valere nulla”.

Anche il direttore di Linkiesta evidenzia un errore di sottovalutazione: “Dal 2001 a oggi l’occidente ha tentato tutte le strade, tutte le dottrine, tutte le strategie ma nessuna ha cambiato radicalmente il mondo musulmano. Si è sottovalutato il  ruolo politico dell’Islam”.

L’immagine in evidenza è tratta da: ilmessaggero.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: corriere.it; dagospia.com; ilpost.it; dagospia.com; lastampa.it



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