Quando avremo un governo europeista? /1

Come tutti ricorderanno, coloro che hanno spinto per far nascere il governo Conte 2 avevano in mente sostanzialmente due cose: porre fine ad un governo retto dalla coalizione tra due partiti populisti e antieuropeisti (la Lega di Salvini e il M5s di Di Maio) che tanto danno aveva procurato al prestigio internazionale del nostro Paese e scongiurare il rischio di elezioni anticipate, che con tutta probabilità avrebbero decretato la vittoria del centrodestra  (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) sotto la guida di un leader populista ed antieuropeista (sempre Salvini).

Insomma, dare all’Italia un governo europeista era l’obiettivo dell’operazione Conte 2. Una operazione necessaria. Per rimanere agganciati ai valori delle grandi democrazie del vecchio continente, riconquistare la fiducia dei mercati e porre così le condizioni per una ricostruzione, in prospettiva, della struttura economica del nostro Paese (attraverso gli strumenti della cooperazione e della solidarietà che caratterizzano e giustificano l’esistenza stessa dell’Unione Europea).

L’ “evoluzione” del M5s

Una operazione necessaria e tuttavia dolorosa. Perché portava la sinistra riformista ed europeista a formare una coalizione con un partito/movimento ideologicamente e dichiaratamente euroscettico.
Una operazione che è stata facilitata dalla convinzione che fosse in atto nel M5s (e nel presidente del Consiglio da esso designato) una evoluzione in senso democratico ed europeista. Cosa era successo?

Non è semplice dire come possa essersi formata una tale convinzione. Ci limitiamo a evidenziare due o tre elementi di contesto.
Alle elezioni europee del maggio 2019 il sogno di tutti i populisti e sovranisti del continente di dare una spallata alla struttura ancora piuttosto fragile dell’Unione Europea non si è realizzato. I sovranisti sono numericamente cresciuti ma (quasi ovunque) non hanno vinto. Caso brexit a parte, chi puntava a costruire le condizioni per mettere in piedi governi nazionali del tutto sganciati da qualsiasi controllo sovranazionale si è dovuto ricredere. L’architettura dell’Unione, pur con tutte le sue fragilità, ha ricevuto una sostanziale conferma dal voto dei cittadini europei. Le posizioni sovraniste ed euroscettiche sono uscite ridimensionate, hanno perso un po’ del loro appeal.
C’è poi un secondo elemento da considerare. Sul M5s ha pesato,  oltre il brusco risveglio dal sogno sovranista,  il pessimo risultato conseguito alle elezioni: in un anno ha visto dimezzare i propri consensi (dal 32% al 15%), mentre l’alleato di coalizione è passato dal 17% al 35%. Quando Salvini ha reso più evidenti le sue mire egemoniche sull’operato del governo Conte 1 l’unica alternativa possibile (escludendo il ritorno alle urne) era accettare un rapporto con chi prima era stato considerato il nemico ovvero il Pd. Nell’agosto del 2019, dopo l’inattesa e incauta decisione di Salvini di porre fine al Conte 1, quando Renzi e Zingaretti  hanno proposto la costituzione del governo Conte 2, tra le condizioni poste al M5s e a Conte vi era proprio un mutato atteggiamento nei confronti dell’Europa.
Bisogna dire che già da qualche mese le posizioni del M5s andavano staccandosi da quelle della Lega: non solo i 14 deputati  Cinquestelle al parlamento di Strasburgo non sono confluiti nel gruppo sovranista capeggiato da Salvini ma il 16 luglio una parte di essi aveva addirittura votato a favore della elezione della tedesca Ursula von der Leyen (CDU) a presidente della Commissione europea. La capodelegazione del M5s ha rilasciato la seguente dichiarazione:” Il Movimento 5 stelle ha un’anima diversificata … oggi, pur con riserve e con le dovute cautele, appoggia questa Commissione”.

Questa ostentata duttilità non deve trarre in inganno. Infatti Di Maio, probabilmente per non alienarsi le simpatie dei duri e puri del Movimento, non perde occasione per ribadire: noi cambiamo un po’ (a seconda delle circostanze) ma “in fondo rimaniamo sempre gli stessi”.

È vero, se si gratta la superfice, la narrazione che i nostri populisti di governo usano fare dell’Unione Europea è sempre la stessa, il messaggio che intendono veicolare non è cambiato: l’Europa è politicamente sbagliata e socialmente ingiusta.
Ma (elemento di novità rispetto a un passato smaccatamente euroscettico) dicono: noi siamo qui per migliorarla, per cambiare le regole. Come dire: tutto il buono che verrà sarà merito nostro.

E per risultare più credibili hanno dismesso (fino a un certo punto, naturalmente -ndr) la vecchia retorica sovranista. Di Maio ha smesso di petulare dell’Europa dei banchieri e di evocare a ogni piè sospinto lo spettro del “referendum sulla permanenza nell’euro”. Conte non ha perso occasione per esprimere la volontà di impegnarsi per “una Europa più forte” ed ha più volte definito l’Italia un paese “sovrano ma non sovranista”.

Tutto ciò al Pd è bastato per considerare che i barbari fossero ormai romanizzati.

Prima che sopraggiungesse la crisi pandemica, non vi sono state grosse occasioni che potessero mettere  seriamente alla prova la presunta conversione europeista del principale partito della maggioranza giallorossa (nonché la presunta conversione europeista dello stesso Premier).
Quando, agli inizi di aprile dell’anno in corso, ha incominciato a prendere forma la risposta economica della Unione Europea alla crisi innescata dal coronavirus, essa ha riacceso antiche polemiche ed antiche prese di posizione ideologiche che sembravano messe da parte.

Per dare una idea concreta del riemergere del sopito sovranismo, ricordiamo alcune affermazioni del nostro presidente del Consiglio a proposito della prima elaborazione, avvenuta il 6 aprile, di un pacchetto di misure discusse nell’Eurogruppo per contrastare la crisi economica. Si parlava di incentivi e fondi messi a disposizione con il meccanismo del Mes, alleggerito delle tradizionali condizionalità.
Conte ha così commentato la proposta dell’Eurogruppo: ”Strumento inadeguato e insufficiente, l’Italia non vi ricorrerà”.
In una intervista rilasciata alla BBC (della quale rende conto Il Sole 24 ore del 08 04 2020) Conte dice: “Io chiedo un ammorbidimento delle regole. Altrimenti dobbiamo fare senza l’Europa e ognuno fa per sé”. Nella stessa intervista, secondo quanto riferisce il quotidiano milanese, il premier sottolinea come l’Italia abbia i conti in regola e non chiede a nessun altro paese di farsi pagare il suo debito, perché il suo debito –ribadisce- se lo paga da sola, avendo fondamentali economici solidi e riforme di struttura, in un sistema integrato. E sempre nella stessa intervista, Conte mostra di essere interessato dalla proposta francese di istituire un fondo di solidarietà, da finanziare con debito comune europeo (quello che poi diventerà il Recovery fund). Ma –conclude la nota del Sole 24 ore- serve tempo. E intanto ciò che preoccupa il capo del governo italiano è che potrebbe essere inevitabile che l’Italia sia costretta ad accettare il Mes.

Insomma, più di come arginare il devastante impatto della pandemia sul nostro fragile sistema sanitario, Conte si mostrava preoccupato di vedersi  costretto a usare il Meccanismo Europeo di Stabilità .

Nota sul MES

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) esiste dal 2012, per fornire assistenza finanziaria agli stati membri in difficoltà che ne fanno richiesta (Lo scopo, naturalmente, è anche quello di tutelare l’intera area euro). Ne hanno finora usufruito 5 stati: Irlanda, Portogallo, Grecia, Cipro e Spagna. Il prestito veniva definito sulla base di una rigorosa condizionalità, nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di una analisi scrupolosa della sostenibilità del debito pubblico.
Questo meccanismo, ovviamente, è ancora in vigore e recentemente è stata avviata una sua riforma.
Il 9 aprile 2020 l’Eurogruppo (Il coordinamento dei Ministri delle finanze dei 19 stati membri che adottano l’euro) ha deciso di escludere le spese sanitarie, dirette e indirette, legate al Covid-19 dai normali vincoli del Mes.
La messa a punto definitiva del cosiddetto MES Sanitario è avvenuta l’8 maggio: i Paesi possono ottenere liquidità fino al 2% del proprio PIL (l’Italia potrebbe attingere per un ammontare di circa 37 miliardi, subito disponibili). Unica condizionalità è usare i prestiti per spese sanitarie, dirette e indirette, legate all’emergenza coronavirus. I prestiti  hanno una scadenza a dieci anni, un tasso annuale a 0,1%, per un costo una tantum di 0,25% e un costo annuale di 0,005%. Le richieste potranno essere fatte fino alla fine del 2022, ma la scadenza potrà essere estesa.
Delle misure messe in campo dall’Unione Europea, per fare fronte alla pandemia, il Mes sanitario è quella che presenta meno condizionalità e tassi di interesse più vantaggiosi.

NOTA su PNRR, un piano per la prossima generazione

L’idea di istituire un fondo di solidarietà, da finanziare con debito comune europeo, fu lanciata dal rappresentante francese ad una riunione dell’Eurogruppo nell’aprile scorso. Dopo vari incontri e trattative durati  poco più di un mese, il 27 maggio la Commissione ha formulato la proposta ai Paesi membri di costruire un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), mettendo a disposizione un nuovo strumento (accanto a quelli già esistenti) denominato Next Generation EU, che viene spesso chiamato anche Recovery fund, incorporato in un bilancio complessivo di circa 1800 miliardi di euro. Un intervento così grande non si era mai visto prima. Esso servirà per costruire la ripresa post pandemia dei Paesi membri e il passaggio ad una Europa più ecologica, più digitale e resiliente. L’approvazione definitiva del Next Generation Eu da parte del Parlamento europeo è avvenuta il 16 dicembre scorso, dopo che l’azione congiunta di Macron e della Merkel era riuscita a convincere Ungheria e Polonia a togliere il veto.
La dotazione dello strumento Next Generation Eu è di 750 miliardi di euro: 390 sono trasferimenti (soldi dati a fondo perduto) e 360 per prestiti a tassi molto agevolati. Un Paese per accedere deve presentare un piano nazionale di ripresa e resilienza, rispettando alcune priorità (37% dei fondi richiesti per la transizione all’economia verde , 20% per l’economia digitale) e accompagnare  il piano con riforme indicate sempre dall’UE. I piani devono essere presentati entro aprile prossimo e approvati dalla Commissione europea. I fondi verranno erogati man mano che i piani procederanno nella loro realizzazione, monitorata sempre dalla Commissione.
L’Italia è la principale beneficiaria del provvedimento, probabilmente perché è l’economia con maggiori difficoltà strutturali, ufficialmente perché è il paese più colpito dalla pandemia. Le sono stati destinati 209 miliardi, da impegnare entro il 2023 e spendere entro il 2026. Dei 209 miliardi 81 sono a fondo perduto (da non restituire) e 128 da rimborsare entro il 2058.

L’avversione al Mes (e all’Europa)

Mes sanitario e PNRR sono due possibilità che l’UE ha messo a disposizione dei paesi membri come “misure eccezionali”. Pertanto non vanno viste come il superamento o la negazione dei presupposti su cui è nato e si regge tuttora il mercato comune europeo. Non va cioè mandato in soffitta il principio per cui la crescita ha come presupposto la stabilità finanziaria (tranne, appunto, in casi eccezionali). E anche nei casi eccezionali bisogna mostrare realismo e sensatezza. Invece, i sovranisti (sia quelli dichiarati che quelli mascherati) fanno l’operazione opposta. Vogliono far passare l’idea che quanto si sta facendo in via eccezionale sia/debba essere la vera regola. Viene in mente una frase di Margaret Thatcher: una volta le è stato chiesto perché secondo lei i populisti prima o poi falliscono. La sua risposta è stata: perché prima o poi i soldi degli altri finiscono.

I grandi debiti possono essere fatti  a condizione che vengano utilizzati per produrre vera crescita. Questo è il senso dei prestiti europei: usarli per mettersi in carreggiata, per poter continuare a crescere sulle proprie gambe. L’Europa dice: facciamo debito comune per dare soldi a chi ne ha bisogno (dando di più a chi ha bisogno di più) ma vogliamo vedere come vengono spesi ovvero se veramente vengono investiti per produrre reale crescita economica. Ma gli euroscettici criticano fortemente qualsiasi idea di vincolo e di condizionalità e ripetono il solito ritornello: l’Europa è brutta e cattiva perché vuole ficcare il naso nei nostri affari. La realtà però ci dice che i Paesi come la Gracia e il Portogalle che in passato hanno usato i prestiti condizionati europei hanno poi avuto una economia in forte crescita.

Magari ci sbagliamo, ma a noi sembra che, stando alle parole e alle decisioni dei nostri governanti, non si possa dire che l’orientamento europeista sia quello prevalente. Soprattutto se guardiamo come è stata finora affrontata la questione dell’utilizzo dei fondi del Mes.

In una recente intervista, pubblicata sul quotidiano La Repubblica il 7 dicembre, il nostro ministro degli Esteri  Luigi Di Maio ha dichiarato: “Facendo mie le parole del ministro Gualtieri (Pd) ricordo a tutti che il Mes vale 300 milioni, non 37 miliardi. Se penso che stiamo discutendo da un anno per 300 milioni, quando abbiamo speso 100 miliardi in 10 mesi, mi preoccupo”.

Fa bene il ministro Di Maio ad essere preoccupato. Ma soprattutto noi italiani dovremmo essere preoccupati, per il fatto di avere un ministro che confonde l’ammontare del risparmio in termini di interessi (300 milioni annui), che potremmo realizzare facendo un prestito con il Mes,  con l’ammontare della cifra che usando il Mes potremmo prendere a prestito (37miliardi, finalizzati a rendere più efficiente il sistema sanitario). In verità una gaffe di questo tipo non sarebbe possibile se non vi fosse un pregiudiziale atteggiamento di rigetto nei confronti di una misura che implica riconoscere nei meccanismi dell’Unione Europea una qualche forma di autorità. È il solito refrain dei sovranisti: nessuno ci può giudicare. E così, ciò che costituisce una garanzia viene percepito come un rischio.

Questo atteggiamento il ministro Di Maio lo condivide, come abbiamo visto, con lo stesso presidente del Consiglio. Conte infatti, nel mese di aprile, dichiarandosi contrario all’utilizzo del Mes chiedeva all’Europa un ulteriore “ammorbidimento delle regole”; ma poi, quando nel mese di luglio l’ammorbidimento c’è stato la decisione di non utilizzare tale misura non è cambiata (mentre l’inefficienza del nostro sistema sanitario è andata aumentando via via che cresceva il peso della pandemia) .

Sia Di Maio che Conte sostengono che con il Recovery fund e con il supporto della Banca Centrale Europea (che continua a comprare i nostri titoli di stato) “non si capisce a cosa ci serva il Mes”.
È un’altra affermazione che lascia perplessi.
È una affermazione che non tiene conto del fatto che i 37 miliardi del Mes erano a nostra disposizione sin dal marzo scorso (mentre il Recovery diventerà operativo dall’estate prossima).  E con quei soldi si sarebbe potuto incominciare a porre mano alle innumerevoli falle del nostro sistema sanitario.

Invece di usare il buon senso, ovvero prendere i soldi del Mes e provare a riorganizzare quello che non andava, i nostri governanti andavano raccontando la favola che l’approccio italiano alla pandemia era un modello che tutto il mondo ci invidiava. Ma dove? Pur avendo fatto più lockdown e tenuto le scuole chiuse più a lungo siamo il paese con il maggior numero di decessi per Covid in Europa. Non essendo riusciti a mettere in piedi una buona strategia di tracciamento (qualcuno si ricorda dell’App Immuni?) abbiamo avuto alti livelli di trasmissione del virus. Ci avevano detto che questo inverno sarebbe stato utile fare il vaccino antinfluenzale ad un numero maggiore di persone (almeno tra gli anziani), ma molte Asl hanno ricevuto una quantità di dosi inferiore a quella dello scorso anno (e il vaccino non si trova nemmeno nelle farmacie). Per non dire della tragica situazione degli ospedali che per occuparsi della pandemia hanno  dovuto trascurare tutti gli altri malati (anche quelli con patologie importanti come gli oncologici e i cardiopatici). La lista  dei problemi che in 9 mesi si sarebbero potuti affrontare meglio avendo a disposizione più risorse potrebbe continuare a lungo. Ma tant’è. Possiamo solo augurarci (e lo facciamo di cuore) che prima o poi qualcuno verrà chiamato a rispondere di tutta questa insensatezza. Così come ci auguriamo che prima o poi avremo anche noi un governo che, libero da pregiudizi ideologici, guardi all’Europa più come ad una opportunità che come a un rischio.

Per concludere, invitiamo (soprattutto coloro che fossero ancora propensi  a credere che con il governo Conte 2 sia stata realizzata una svolta europeista) a riflettere sulla seguente affermazione del ministro Di Maio (ripresa più volte da molti esponenti del suo partito): “Finché il M5s sarà al governo l’Italia non farà mai ricorso al Mes”.
Di fronte ad una tale affermazione sorge il dubbio che i nostri governanti non abbiano capito bene le finalità delle due linee di intervento messe a disposizione dall’Unione Europea, nonché le modalità e le condizionalità reali che le differenziano. E questo è ulteriore motivo di preoccupazione, considerando lo straordinario lavoro di ricostruzione della propria economia cui il nostro Paese dovrà dedicarsi,  una volta superata l’emergenza pandemica, per allestire l’Italia della Prossima Generazione. Ma su questo avremo modo di ritornare.

La foto in evidenza è tratta da lacittafutura.it
Le altre foto, nell’ordine, da:fanpage.com; corriere.it

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