Perché lo ha fatto

Molti, pur condannando l’invasione russa in Ucraina, dicono che non bisogna attribuire tutta la colpa di questa guerra a Putin: la Nato si è andata sempre più espandendo verso est e ciò ha causato il fatto che si è formata in Russia una “mentalità da bunker”.

È un ragionamento sbagliato, per il semplice motivo che non corrisponde al vero. Non che non vi sia in Russia una sindrome da accerchiamento, ma non è vero che essa sia il risultato della azione della Nato.

Nel 1991, con lo scioglimento dell’Unione Sovietica, è stato sciolto anche il Patto di Varsavia, che legava all’impero sovietico quasi tutti gli stati dell’Europa dell’est. Questi stati sono diventati repubbliche indipendenti e negli anni successivi hanno potuto liberamente scegliere di aderire alla alleanza militare guidata dall’America (NATO) o alla alleanza militare guidata dalla Russia (OTSC). Questo processo si è poi concluso nel 2004, nel senso che dal 2004 (cioè da 18 anni a questa parte) non si è più registrato alcun “allargamento” della Nato verso est. L’Ucraina è l’unica di quelle repubbliche indipendenti che è rimasta fuori sia dal patto OTSC che dal patto Nato. E gli americani non hanno mai fatto pressione (e neppure semplicemente richiesta) volta a far aderire l’Ucraina alla Nato.

Il fatto che non vi sia una politica di espansione della Nato verso est è ulteriormente dimostrato dal fatto che i paesi membri della Nato hanno più volte respinto la richiesta di adesione avanzata dall’Ucraina. L’ultima volta pochi giorni prima dell’invasione messa in atto da Putin.

I fatti, insomma, mostrano che l’allargamento della Nato a est è un pretesto inventato da Putin. In realtà Putin ritiene (e lo ha detto più volte) che l’Ucraina “appartiene” alla Russia perché ne faceva  parte sia sotto il regime zarista nell’’800 sia sotto il regime comunista nel ‘900.

Con questa logica lui avrebbe il “diritto” di riannettersi anche le repubbliche baltiche (e se non verrà fermato non è detto che non ci provi).
Qualsiasi farneticante teoria frulli nella testa di Putin la Russia, come qualsiasi altro paese al mondo, non ha alcun diritto di invadere e sottomettere un Paese libero e indipendente. Se lo fa passa dalla parte sbagliata della storia, per propria scelta non perché vi sia stato in qualche modo indotto.

Ma allora, al di là di ogni affermazione pretestuosa, perché Putin lo ha fatto?

La spiegazione più verosimile è quella sostenuta da Federico Rampini in un articolo apparso sul Corriere Della Sera del 27 Febbraio.
La narrazione vittimista circa le mire aggressive degli occidentali (fatta propria anche da tutti coloro che vogliono riconoscere a Putin delle attenuanti per la sua odierna aggressione all’Ucraina) non è nuova nella storia della Russia, ma nella dottrina di Putin fa la sua prima apparizione intorno al 2007. Fino ad allora Putin non aveva mai parlato di accerchiamento e non considerava l’America un nemico. Che cosa è accaduto per cambiare radicalmente la sua visione? La risposta più verosimile –  dice Rampini – sono le ‘rivoluzioni arancioni’, che gli fanno temere una perdita di consenso. È quando si sente minacciato nel suo potere interno, che comincia a vedere congiure americane per rovesciarlo: dietro le manifestazioni di Mosca contro di lui indica la mano della Cia, e del magnate progressista ungherese-americano George Soros. Il teorema sulla Nato aggressiva, l’accusa all’Occidente di avere calpestato le promesse, è la reazione di un leader che sente vacillare il proprio potere interno. Lo applicherà ad ogni ‘rivoluzione arancione’, compresa la rivolta di piazza Maidan a Kiev, che nel 2014 porta alla caduta a furor di popolo del presidente filorussoYanukovich.

Che gli americani e altri occidentali abbiano appoggiato le opposizioni a Putin e ai regimi filorussi dei paesi vicini, è innegabile. Però non bastavano la Cia e Soros a ispirare quelle proteste, dietro c’era il disagio reale delle popolazioni. Putin ha fallito nella sfida più importante, la modernizzazione del suo paese. Certo ha rimesso ordine in casa rispetto agli anni caotici della presidenza di Boris Eltsin, quando la Russia si era impoverita al punto da avere un Pil equivalente a quello del Belgio. Oggi la ricchezza del paese è un po’ migliorata – anche perché «indicizzata» al prezzo del petrolio e del gas – ma il suo Pil resta nettamente inferiore a quello dell’Italia. Poco davvero, per una nazione che ha quasi il triplo della popolazione italiana. La Russia rimane un petro-Stato, afflitto da arretratezze gravi, ha un’eccellente tradizione scientifica ma i suoi migliori laureati in matematica devono emigrare nella Silicon Valley in cerca di opportunità”.

(…) “Mentre l’economia russa restava arretrata, Putin l’ha resa più autarchica: ha meno debito pubblico, meno debito estero, meno dipendenza dai mercati finanziari occidentali; è un’economia che lui prepara da anni per resistere alle sanzioni. Ma i benefici per il popolo russo dove sono? Putin si è condannato a subire la maledizione degli Zar: i grandi modernizzatori come Caterina e Alessandro non riuscirono mai a migliorare il proprio paese portandolo al livello delle potenze occidentali; cercarono compensazioni nelle avventure imperiali. La sindrome dell’accerchiamento non è una storia nuova: la Russia si è sempre sentita insicura e ha sempre «esportato» insicurezza cercando di allargare il proprio territorio per proteggersi dalle invasioni. Ha la superficie più vasta del pianeta, eppure non si sente mai abbastanza grande”.

Così conclude Rampini: “Visto che non possiamo cambiare la storia russa, avremmo dovuto tenerne conto, evitando di risvegliare demoni antichi? Il processo all’allargamento della Nato trascura il contesto. Polonia, Paesi Baltici, Ungheria, Cecoslovacchia, «appartenevano» all’Europa e alla cultura occidentale, quando il patto di Yalta li abbandonò nelle mani di Stalin dopo la seconda guerra mondiale. Per quasi mezzo secolo furono soggetti al dominio sovietico. Non appena cadde la cortina di ferro della guerra fredda vollero tornare alla loro collocazione storica. Respingere quelle richieste sarebbe stato un ulteriore tradimento. Putin del resto non vorrebbe solo ricacciare la Nato dietro i confini del 1997. Osteggia anche l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, la civile, pacifista, inerme Unione europea, che non schiera missili alle sue frontiere”.

C’è anche un’altra spiegazione che bisognerebbe provare a dare ed è quella relativa al fatto, come dicevamo all’inizio, che non sono pochi coloro i quali si affannano a fornire alibi alla Russia e colpe all’Occidente. Come ad esempio ha fatto in Italia la pur benemerita Associazione nazionale partigiani,  che il 22 Febbraio (due giorni prima dell’invasione russa, quando però ai confini dell’Ucraina c’erano già schierati 200.000 soldati pronti ad invaderla) prendendo posizione su quanto stava accadendo ha dichiarato: “ Il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass da parte della Russia è l’ultimo drammatico atto di una sequenza di eventi innescata dal continuo allargamento della Nato a est vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia”. E chiedeva: “ Biden cessi immediatamente sia la clamorosa ingerenza nella vita interna dell’Ucraina iniziata fin dai tempi di Maidan, quando nel governo ucraino entrò la statunitense Natalia Jaresco, sia le sue dichiarazioni belliciste e le sue ininterrotte minacce nei confronti della Russia!”.

Ma questa è un’altra storia, della quale non ci occupiamo in questo post.

Nota: Natalie Jaresko, in ucraino: Наталія Енн Яресько, figlia di immigrati ucraini negli Stati Uniti, è stata ministro delle finanze dell’Ucraina dal 2014 al 2016,

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